Rossano, costa ionica calabrese. Qui sorge quella che tutti chiamano la “Guantanamo italiana”. Nel carcere della cittadina calabrese, in provincia di Cosenza, si trovano 21 detenuti accusati di terrorismo internazionale. Quasi tutti integralisti islamici affiliati ad Al Qaeda. Ma c’è anche qualcuno accusato di essere affiliato all’Isis, dice un operatore della struttura. Dopo aver saputo degli attentati del 13 novembre a Parigi, gli agenti della polizia penitenziaria hanno sentito quattro di loro esultare al grido “Viva la Francia libera”. Ora il carcere è ritenuto “obiettivo sensibile”.
Costruita nel 2000, la struttura ad oggi ospita 231 detenuti (a fronte di una capienza di 215) e in passato è finita al centro delle denunce dei reclusi per le condizioni delle celle, le presunte torture e maltrattamenti. All’interno dei cubi di cemento di contrada Ciminata si trova anche uno spazio adibito a moschea, destinato agli oltre 70 reclusi di fede musulmana presenti.
I presunti terroristi sono confinati in una sezione speciale chiamata “Alta sicurezza 2”, supersorvegliati dagli agenti del carcere. Tra di loro c’è anche un terrorista ritenuto appartenente all’Eta, l’organizzazione armata basca. Uno è ritenuto vicino all’Isis. Gli altri 19 sarebbero militanti di Al Qaeda. Tutti con pena definitiva nel 2026.
Dopo aver saputo degli attentati del 13 novembre a Parigi, gli agenti della polizia penitenziaria hanno sentito quattro detenuti esultare al grido “Viva la Francia libera”. Ora il carcere è ritenuto “obiettivo sensibile”
Dal 2009 il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria da Roma ha cominciato a concentrare a Rossano i terroristi impegnati nella guerra santa islamica arrestati su tutto il territorio nazionale. Fra loro c’è anche l’ex imam di Zingoia (Bergamo), il pakistano Hafiz Muhammad Zulkifal, arrestato lo scorso 24 aprile con l’accusa di essere il capo spirituale di una presunta cellula di Al Qaeda con base operativa in Sardegna. Secondo le indagini della Dda di Cagliari, Zulkifal sarebbe anche coinvolto negli attentati di Stoccolma del 2010. Ed era lui il destinatario di una telefonata in cui si parlava della necessità di «pensare al loro Papa». Da qui è passato anche Khalil Jarraya, il 46enne tunisino detto “il colonnello”, ex combattente nelle milizie bosniache, ora espulso dopo la condanna per associazione terroristica internazionale. E anche un altro tunisino, Dridi Sabri, condannato per terrorismo internazionale e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ora anche lui espulso.
Dopo i fatti di Parigi, il carcere ha innalzato i livelli di sicurezza, soprattutto sui visitatori, attivando un pattugliamento armato 24 ore su 24. I vertici delle forze dell’ordine, il prefetto di Cosenza, il procuratore aggiunto della Procura distrettuale di Catanzaro e il direttore del carcere il 18 novembre si sono riuniti per fare il punto sulle misure di prevenzione da attuare contro il terrorismo.
Ma secondo Donato Capece, segretario del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), in visita nella sezione speciale del carcere calabrese, «il livello di sicurezza è pari a zero». L’istituto, dice Capece, «è carente e inadeguato. Dunque noi o siamo eroi o siamo ingenui. Il personale che ci lavora è specializzato, ma carente. Ogni giorno in quella sezione speciale dovrebbero esserci quattro agenti di polizia penitenziaria, ma purtroppo ne abbiamo solo uno e i turni sono estenuanti». Tanto più che spesso avvengono spostamenti tra Rossano e un’ala speciale del penitenziario di Catanzaro.
I terroristi islamici detenuti ogni giorno hanno diritto a un’ora d’aria singolarmente, mai in compagnia. Dalle 18 alle 19 possono andare fuori dalla cella per pregare, e nel periodo del Ramadan la preghiera si protrae fino alle 22. Ma in questi giorni hanno avuto qualche limitazione
I terroristi islamici detenuti ogni giorno hanno diritto a un’ora d’aria singolarmente, mai in compagnia. Dalle 18 alle 19 possono andare fuori dalla cella per pregare, e nel periodo del Ramadan la preghiera si protrae fino alle 22. «Ma in questi giorni hanno avuto qualche limitazione», ha detto Capece. «Non capisco», ha aggiunto, «perché i terroristi islamici debbano essere ristretti nel carcere di Rossano e non a Pianosa o Asinara. Questi soggetti devono essere collocati in posti isolati e non nelle carceri dei centri abitati».
I detenuti che all’ingresso nelle carceri italiane si professano musulmani sono oltre 5.700. E negli ultimi dieci anni, in base ai dati del Dap, su 202 istituti censiti, 52 hanno riservato uno spazio adibito a moschea per la preghiera di gruppo. In nove istituti, invece, è permesso l’ingresso di un imam accreditato dal ministero dell’Interno. Da tempo i sindacati di polizia penitenziaria denunciano la scarsa attenzione al proselitismo delle organizzazioni terroristiche negli istituti di pena. La lingua araba, che i detenuti spesso usano per parlare tra loro, di certo non aiuta. E gli agenti chiedono una formazione mirata. «La Polizia penitenziaria, anche se questo è un fatto poco conosciuto e poco evidenziato dai nostri stessi vertici, è stato uno dei principali strumenti della lotta alla mafia e al terrorismo degli anni passati», dicono. Ora potrebbe esserlo anche per il terrorismo islamico.
“L’istituto è carente e inadeguato. Il personale che ci lavora è specializzato, ma carente. Ogni giorno in quella sezione speciale dovrebbero esserci quattro agenti di polizia penitenziaria, ma purtroppo ne abbiamo solo uno e i turni sono estenuanti”
Intanto, mentre il livello si allerta si alza a Rossano, anche le procure di Catanzaro e Reggio Calabria riesaminano le indagini passate sull’Islam radicale nella regione. La Dda reggina ha messo in piedi una sezione antiterrorismo con due magistrati. «Al momento non emergono collegamenti tra ‘ndrangheta e terroristi, ma ritengo che questo sia un campo investigativo da approfondire», ha detto Federico Cafiero de Raho, procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, «perché il terrorismo internazionale troverebbe nella ‘ndrangheta un alleato particolarmente utile, sia per le coperture dal punto di vista territoriale sia per il tornaconto che la stessa ‘ndrangheta potrebbe avere per le forniture di droga e armi».
La procura di Catanzaro invece tiene sotto osservazione la piccola moschea di Sellia Marina, inserita – secondo quanto riporta il Corriere della Calabria – nell’elenco dei siti a rischio dei servizi segreti italiani. Nel 2011 erano finiti in manette l’imam della moschea e suo figlio, che appena libero sarebbe partito per la Siria per combattere accanto ai militanti dell’Isis. Nel corso delle perquisizioni, erano stati trovati dei video tutorial per realizzare cinture esplosive e fabbricare ordigni.