ELEZIONI IN SPAGNAAlmudena Grandes: il prossimo governo spagnolo nasce già vecchio

L'autrice de Le età di Lulù molto dura con la politica spagnola attuale. Albert Rivera? «Mi ricorda certi profili fascisti degli anni 30». Rajoy? «Indecente». L’economia è ripartita? «La gente nei quartieri la pensa diversamente»

Baciare il pane. Di grano, di mais, di segale, poco importa. «Me l’hanno insegnato i miei nonni, da bambina, quando il pane cascava a terra dal tavolo della cucina. Un riflesso della miseria vissuta nel dopoguerra». La Spagna di oggi sembra avere dei parallelismi: c’è la disoccupazione, ci sono gli sfratti, c’è la corruzione, la povertà: «Ciò che chiamiamo crisi è stata una guerra dei poteri economici contro i cittadini. E noi abbiamo perso». Almudena Grandes non è una donna da mezzi termini: capelli corvini, fedelissima a se stessa, con la passione per la vita, la scrittura, gli uomini, le donne. E la politica, anche. Nella centralissima Casa de Libro di Madrid, davanti a una lunga fila di ammiratori, la scrittrice spagnola firma romanzi. Il suo ultimo, per l’appunto, Los besos en el pan (I baci sul pane): un libro d’attualità che racconta le difficoltà di un quartiere qualsiasi di Madrid di fronte alla crisi. «Ci sarà una traduzione in italiano, a maggio spero», sorride lei, che da giovane esordiente di scandalo e di successo con Le età di Lulù oggi sa d’influenzare l’opinione pubblica nazionale. «Ho la sensazione che dopo il 20 dicembre avremo comunque un governo vecchio. Al posto di un duopolio di partito, un bipartitismo di blocchi», sentenzia. Da sempre legata a Izquierda Unida – dove ha militato anche il marito e letterato Luis García Montero – questa volta getta la spugna: «Ho appoggiato IU per molti anni. Adesso non posso: il partito è colpevole del suicidio della sinistra».

E quindi?
Non chiedo l’appoggio per nessuno. Nessuno mi rappresenta. Questa volta il mio voto è un affare privato.

Scheda bianca?
La verità è che ancora non lo so.

Cosa accadrà domenica?
Ho l’impressione che il Partito popolare sia isterico, nervoso. Avrà dei sondaggi che noi non conosciamo. Il risultato sarà difficile da amministrare: credo che ci saranno quattro partiti con percentuali molto vicine, una situazione molto nuova per noi. Ma non penso ad un governo di minoranza, si arriverà a qualche patto. Ho la sensazione che comunque vada il prossimo governo sarà già vecchio.

Eppure i nuovi partiti politici, come Podemos, hanno portato un cambio sostanziale nel modo di fare politica in Spagna…
Dubito che abbiano realmente trasformato la politica. Ero entusiasta della nascita di Podemos e, naturalmente, dell’arrivo di Ada Colau e Manuela Carmena rispettivamente a capo dei comuni di Barcellona e Madrid. I due sindaci premiano la mobilitazione civile di questi tempi. Ma dal momento che io sono una donna del ventesimo secolo, il marketing di Podemos m’impedisce di aderire al partito… Dicono che non sono né di destra né di sinistra, che l’ideologia non serve a niente? Preferisco rimanere in disparte.

E se dovesse scegliere tra Pablo Iglesias e Albert Rivera?
Preferisco Iglesias, anche se non è il leader dei miei sogni. È un uomo brillante, ma anche arrogante. Come Rivera, solo che Iglesias è più intelligente. Rivera ha troppa fiducia in se stesso. In Spagna lo definiremmo un ‘sobrado’. Ha visto i manifesti? Mi ricordano certi profili fascisti degli anni Trenta. Non mi piace.

Pedro Sánchez, il leader dei socialisti, ha fatto un appello al voto utile? Visto che lei è ancora indecisa potrebbe valutarlo…
Assolutamente no. Anche se dopo il faccia a faccia televisivo con Rajoy ho quasi voglia di metter su un’associazione a suo favore [ride]. Hanno esagerato. In questa campagna elettorale tutti si sono accaniti contro di lui.

Ha fatto bene, in quel dibattito televisivo al quale fa riferimento, a definire Mariano Rajoy una «persona indecente»?
Chiariamo una cosa: indecente non è un insulto. È un aggettivo negativo. Ed evidentemente la traiettoria politica di Rajoy non è stata di certo quella di un politico perbene.

I numeri della gente comune sono diversi. Lo vada a chiedere alla mia vicina, laureata in matematica, che adesso lavora in un negozio d’abbigliamento a 900 euro al mese.

Ma il premier non ha portato fuori la Spagna dalla crisi? In Europa tutti parlano di grandi cifre macroeconomiche, anche il PP si è vantato di questa crescita, del Pil che sale di oltre il 3%, dei posti di lavoro…

I numeri della gente comune sono diversi. Lo vada a chiedere alla mia vicina, laureata in Matematica, che adesso lavora in un negozio d’abbigliamento a 900 euro al mese. Il PP mente, fa pura propaganda. Parlano di lavoro ma quel poco lavoro che hanno creato – e parliamo di 100 mila posti in più rispetto a quattro anni fa – è carta straccia. Usciremo dalla crisi solo quando ogni spagnolo avrà un lavoro decente.

Dice che questa crisi è come una guerra e che gli spagnoli hanno perso. Perché?

È diversa dalle altre crisi del capitalismo. Normalmente chi soffriva apparteneva sempre alle classi più umili. Questa crisi, eccetto gli ultra ricchi, ha invece colpito tutti, indiscriminatamente. Per questo credo sia una guerra. È stata devastante, crudele. E abbiamo perso.

Cosa esattamente?

I nostri diritti, la nostra libertà

Nessuna speranza per il futuro?

Sono un’ottimista congenita. Lotto tutti i giorni con il pessimismo di questi tempi. Penso che la speranza ci sia, ma per cosa? Per vivere come prima? No. Per cambiare Iphone due volte l’anno? No. Per comprarci l’Audi uguale a quella del vicino? No. Bisogna rompere il binomio felicità/consumismo. Se continuiamo ad essere legati alla ricchezza siamo persi. Gli spagnoli sono stati sempre un popolo povero, ma la povertà fino a poco tempo fa non era umiliante, colpevole, non faceva vergogna. Faceva parte dello scenario della vita. E la vita era lottare. Se non avessimo perso questa tradizione, quella dei nostri nonni che vivevano con dignità anche con poco, saremmo molto più forti e capaci di andare avanti.

Bisogna tornare a baciare il pane, quindi…

La verità è che la crisi ha già fatto capire agli spagnoli perché i nostri nonni ci insegnavano a baciare il pane.

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