Deficit sì o no?Caro Renzi, buttare via soldi non aiuta la crescita

Le ragioni del Governo sulla legge di stabilità considerate a una a una, e valutate sine ira ac studio. Gufi, gufetti, e volatili liberali non hanno tutti i torti

Cercare di mettere ordine alle molte slide mostrate da Matteo Renzi, le più a carattere ornitologico, è un’impresa ardua, sopratutto in mancanza di un panorama informativo in grado di elaborare una critica decisa (al di là dei molti segni di disapprovazione che si palesano però principalmente sui social network): dove gli interessi sono opachi è impossibile aspettarsi salutare asprezza nel dibattito e chiarezza nei messaggi.

Volendo perciò ragionare sulle scelte economiche del Governo non resta che rifarsi a pensieri meno propagandistici, rintracciabili nella cerchia stretta dei policy maker più vicini al Presidente del Consiglio. Fra tutti spicca Tommaso Nannicini, brillantissimo giovane economista italiano, da tutti riconosciuto come uno dei massimi esperti delle relazioni di causa effetto in campo economico. In un blog post di inizi Dicembre il Professor Nannicini ha cercato di delineare le ragioni alla base delle tanto criticate scelte dell’ultima legge di stabilità.

Sia la pubblica opinione italiana, abituata da decenni a spese allegre, ma anche e soprattutto la classe dirigente, si sono assuefatte all’idea che più deficit aiuti ad irrobustire la crescita

Prima constatazione di Nannicini: quando un governo è criticato da campi opposti su uno stesso provvedimento – nel caso specifico il deficit aggiuntivo e il mancato e adeguato stimolo alla domanda aggregata – di solito significa che le scelte sono buone. Ora, a noi pare che non solo la pubblica opinione italiana, abituata da decenni a spese allegre, ma anche e soprattutto la classe dirigente nella sua interezza, si siano assuefatte all’idea – per noi bizzarra in contesto fatto di spese clientelari come quello italiano – che più deficit aiuti ad irrobustire la crescita, in un momento in cui essa è ancora anemica.
Le critiche divergenti sarebbero, perciò quelle dello sparuto gruppo di liberali, che ancora pensa che i problemi più urgenti siano altrove, non certo nella mancanza di stimolo a breve termine.
Ottimo avere ribadito, implicitamente, ciò che tutti piumati nemici stanno dicendo da tempo, ovvero che in un contesto di bassa crescita mondiale la crescita italiana sia fra le più basse non tanto al mondo, ma soprattutto in UE e nei paesi sviluppati. Grande passo in avanti rispetto a certi “storytelling” governativi che potrebbero portare a spiacevoli prese di coscienza.

Ricordiamo che la crescita dello 0.8% di questo anno, e quella vicina ma inferiore al 1,5% del prossimo, sono insoddisfacenti, anche se comparate alla timida ripresa del 2010/2011, prima che l’Italia ricadesse nella crisi della zona Euro. Ribadiamo da tempo un fatto noto a tutti, al Professor Nannicini in particolare: il nostro è principalmente un problema di scarsa dinamica della produttività totale dei fattori, aggravato certamente dalla lunga crisi. Con le ore lavorate che crescono a un ritmo vicino a quello del PIL, non si vede come anche nei prossimi anni si possa sperare in risultati migliori in quanto a crescita della produttività, unico possente motore del benessere.

A dire il vero, Nannicini ammette che l’attuale divergenza di vedute con la Commissione Europea sia da rintracciarsi nella stima degli effetti sulla crescita del PIL potenziale delle riforme strutturali. Nel suo schema interpretativo, i maggiori margini di flessibilità sarebbero stati concessi grazie alle riforme che permetteranno nel futuro di aumentare la crescita del nostro prodotto potenziale, stagnante da 20 anni, non da ieri e, dunque, difficilmente riconducibile a fattori di domanda, stando alla teoria economica prevalente.

Aderiamo pure a tale lettura: più margini sul deficit per più riforme, ma ci permettiamo di ricordare che i segnali di scarsa credibilità agli occhi dei “burocrati di Bruxelles” (per usare una definizione Renziana) che gli addetti ai lavori sanno rintracciare fra i rumori di fondo di una campagna informativa sempre più a senso unico, dipendono dalla constatazione che il Jobs Act da solo – come più volte ricordato sulle pagine de Linkiesta – non basta a rilanciare in modo deciso produttività e salari, spesso scollegati fra loro a livello micro di singola impresa.

Dove sono gli interventi nel campo della contrattazione collettiva, unico moloch intoccabile, che in un sol colpo sconnetterebbe imprese (checché ne dica Confindustria) e sindacati vetero-inciucisti? Nessun segno di una presa di coscienza di un problema oramai fattosi cancrena.

Capitolo scuola. Senza lavoratori competenti, come è possibile pensare che le cose possano migliorare? Siamo sicuri, come detto da Nannicini, che il modo migliore per avvicinare i giovani italiani alla cultura sia un bonus una tantum per i diciottenni? Non sarebbe meglio spendere le risorse in insegnanti di matematica e italiano?

Anche sulla questione scuola gli osservatori meno parziali sono concordi nel ritenere gli interventi del Governo come non risolutivi, poiché si limitano a una sanatoria sui contratti degli insegnanti, da tempo illegalmente prorogati nonostante i continui richiami della tanto vituperata Unione Europea.
Senza lavoratori competenti, come è possibile pensare che le cose possano migliorare sostanzialmente ? Siamo sicuri, come detto da Nannicini, che il modo migliore per avvicinare i giovani italiani alla cultura sia un bonus una tantum per i diciottenni? Non sarebbe meglio spendere le risorse in insegnanti di matematica e italiano? Mistero, che nemmeno il massimo esperto delle relazioni di causa-effetto in campo economico in Italia pare saper svelare adeguatamente senza sollevare legittime critiche.

Nannicini afferma che accusare il Governo di elettoralismo sarebbe come accusare l’Avis perché raccoglie le donazioni di sangue. Noi vorremmo ricordargli, pacatamente, che un Governo con anni di prospettiva politica di fronte a sé ha principalmente una sola strada, per ottenere consenso senza usare soldi pubblici in modo sconsiderato: spendere il suo capitale di consenso per riforme che ottengano risultati in un lustro. È la strada europea, dei Cameron, delle Merkel. Al di fuori di questo, restano soli i rischi di un dissesto che, con il debito pubblico sempre più elevato, nessun bonus da 500 euro ai diciottenni potrà mai farci dimenticare di considerare come assolutamente reali.

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