Sulla crisi dei rifugiati l’Europa non può permettersi altri errori, come il richiamo all’Italia per la mancata registrazione dei migranti. Per Cecile Kyenge, eurodeputata ed ex Ministro del Pd: “Oggi l’Italia è uno dei paesi che fa di più sull’immigrazione, e andrebbe sostenuta da Bruxelles”. Anche in considerazione del ruolo avuto dall’Italia nelle ultime vicende legate ai migranti la Kyenge non crede che il piano europeo per la creazione di una guardia di frontiera comune (la cosidetta “nuova Frontex”) si traduca in un commissariamento dei confini italiani.
Uno dei problemi reali per il Belpaese è riuscire a raggiungere la quota dei 40 mila rifugiati da ridistribuire negli altri Stati membri in linea con lo schema adottato da Bruxelles. A fronte di un numero di arrivi stimato dall’Organizzazione mondiale per le Migrazioni a quasi 150 mila unità dall’inizio del 2015, (circa il 10% in meno rispetto ai dati del 2014), il numero dei siriani, afghani ed eritrei, ovvero le le nazionalità che l’Unione europea riconosce automaticamente sotto la necessità di protezione internazionale, è basso. La maggior parte degli arrivi in Italia è rappresentato, infatti, da altre nazionalità e da quelli generalmente definiti migranti economici.
La maggior parte degli arrivi in Italia è rappresentata da migranti economici, dove troviamo i 40.000 rifugiati da ridistribuire negli altri Paesi?
Il piano europeo è pensato su due anni. In questo lasso di tempo i numeri saranno raggiunti. Ma siamo anche consapevoli del fenomeno dell’immigrazione economica. Nel rapporto che il Parlamento europeo ha dedicato alla politica migratoria, servito alla Commissione Juncker per elaborare l’agenda sulle migrazioni, esiste un punto dedicato proprio ai migranti economici. La nostra proposta è di ottimizzare i processi di rilascio della cosiddetta “blue card”che autorizza legalmente l’immigrazione qualificata e aprire anche all’immigrazione meno qualificata.
L’Italia, intanto, è stata richiamata dall’Europa per non aver registrato le impronte dei migranti in arrivo.
Il richiamo di Bruxelles riguarda fatti relativi a due anni fa e non tiene conto di quanto si sta facendo oggi. E’ un problema di tempistiche e di tecnicismi. L’avviso sulla procedura d’infrazione è arrivato sicuramente in un momento sbagliato. Sarebbe più giusto richiamare quegli Stati, moltissimi, che sull’emergenza rifugiati non stanno facendo nulla.
Ma l’Europa non rischia di alimentare i populismi?
L’errore sta nel fissarsi sui tecnicismi, mentre l’importante oggi è passare all’azione. C’è bisogno di velocità e capacità di reazione. La Ue non deve permettersi di inviare un richiamo a un paese oggi in prima linea sul fronte dell’immigrazione, per qualcosa che si riferisce a due anni fa. I richiami andavano inviati allora, semmai…
Sulla mancata registrazione dei migranti, però, c’è chi dubita della buona fede dell’Italia.
Dal lavoro condotto dal Parlamento europeo non sono emerse irregolarità: l’Italia si è sempre comportata in modo corretto. E’ il quadro emerso da diverse audizioni a Bruxelles, ma anche da visite sul terreno. Un esempio su tutti è rappresentato dagli hotspot. Siamo partiti a rilento, ma stanno entrando in una fase operativa, oltre a quello di Lampedusa presto saranno attivati anche gli altri 4. Quando un Paese procede a rilento lo sguardo dovrebbe rivolgersi anche all’Europa, che dovrebbe dare man forte agli Stati più esposti..
Il richiamo di Bruxelles riguarda fatti relativi a due anni fa e non tiene conto di quanto si sta facendo oggi. L’avviso sulla procedura d’infrazione è arrivato sicuramente in un momento sbagliato
E questo a quanto pare non succede…
Non credo ci sia nemmeno in atto una battaglia contro l’Italia. Ripeto è un problema di tecnicismi.
Come valuta il nuovo piano della Commissione Juncker, che istituisce di fatto una guardia di frontiera europea?
Credo che la presenza di più Europa lungo le frontiere sia positiva: ci aiuterà non soltanto a gestire possibili crisi future, ma anche a prevenirle. Resta da capire quale sarà il ruolo dell’agenzia e dei diversi Paesi. Al momento ci sono troppi aspetti non definiti per dare un giudizio finale sul piano.
Quindi non crede alla lettura di quelli che interpretano il controllo dei confini da parte di un corpo europeo come un commissariamento delle nostre frontiere?
L’Italia non ha nulla da temere. Abbiamo dato prova di saper gestire in modo appropriato una situazione d’emergenza. Ecco perché credo che non sussista il pericolo di un commissariamento dei nostri confini da parte della guardia di frontiera europea. Uno scenario del genere potrebbe essere immaginato piuttosto per quei Paesi, come l’Ungheria, che in questi mesi hanno mostrato pochissima collaborazione con il resto degli Stati membri.
Per concludere, due parole sui rimpatri. La nuova agenzia europea dovrebbe avere il compito di velocizzarli. E’ così?
L’obiettivo è velocizzare la valutazione delle richieste di asilo. Sui rimpatri il Parlamento è stato chiaro: vanno tutelati in primo luogo i diritti umani. La logica che si vuole adottare è quella dell’analisi caso per caso, in modo da tener conto dell’insieme delle cause che hanno spinto una persona a lasciare il proprio Paese, evitando il crearsi di ingiustizie.