La piazza. Il centrodestra in cerca di identità per ora ha solo la piazza per farsi vedere e cementare un patto politico. Non un leader condiviso, non ancora candidati definitivi alle Comunali, non un programma unitario (ci stanno lavorando, ma è lunga, e dura). Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni (in ordine decrescente di sondaggio) hanno giocato la carta della piazza anche questa volta.Il 6 febbraio – il giorno prima delle primarie centrosinistra a Milano- Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia manifesteranno per le strade di Roma. Contro il Governo di Matteo Renzi, che ha appena scelto di sbarazzarsi di Forza Italia nella scelta dei tre giudici della Consulta, facendo invece sponda coi 5 Stelle. E soprattutto per lanciare una campagna elettorale per le amministrative ancora in sordina.
Il caminetto di Arcore non basta più a trovare gli accordi, come accadeva ai tempi di Bossi e Fini. A parole Berlusconi sembra sempre più vicino alle posizioni degli alleati di destra, con cui ha dapprima condiviso la mozione di sfiducia per il caso banche-Boschi, salvo poi dire che non la voterà, restando così sempre ancorato a un atteggiamento pragmatico verso Renzi. Il premier lo esclude dalla scelta dei giudici costituzionali, ma lui e una parte di Forza Italia (vicina a Paolo Romani e non a Renato Brunetta) alla fine pensano che non sia ancora il momento della guerra aperta. Martedì sera i tre leader del centrodestra che verrà hanno trovato intanto un’intesa di fondo su come immaginano un governo guidato da loro: si pensa a un esecutivo formato da 20 persone. Dodici, come gli Apostoli, dovranno venire da fuori, da imprenditoria, cultura, mondo delle associazioni. Gli altri otto saranno politici quasi equamente suddivisi: tre ministri alla Lega, tre a Forza Italia, due a Fratelli d’Italia. Ma chi sarà il candidato premier? Non si sa. Meglio non pensarci, comunque, le elezioni politiche non arriveranno prima del 2017.
I tre leader del centrodestra che verrà hanno trovato intanto un’intesa di fondo su come immaginano un governo guidato da loro. Ma chi sarà il candidato premier? Non si sa. Meglio non pensarci
Allora tutti in piazza, nell’attesa. A Roma, il 6 febbraio, sarà il remake di una manifestazione che ha gettato le fondamenta di questa alleanza. A Bologna, lo scorso 8 novembre, quando il giovane Salvini ha convinto il vecchio Berlusconi a fare per la prima volta da comprimario in pubblico. Ma ancora prima proprio la Lega ha puntellato il suo crescente successo nelle rilevazioni di opinione con una serie di manifestazioni. La prima 18 ottobre 2014, a Milano: contro l’immigrazione clandestina. Piazza Duomo era colma. Poi lo sbarco a Roma accompagnata dall’estrema destra di CasaPound, con il sostegno informale della Meloni. Il 28 febbraio 2015, una piazza del Popolo non proprio piena ma pur sempre densa di aspettative.
Insomma, la piazza – più ancora che i social network e le continue apparizioni in tivù, che lo accomunano anche ad altri leader come Matteo Renzi – sembra la cifra del centrodestra a trazione Salvini. Motivare le persone, dare loro un appuntamento per mobilitarsi, offrire slogan semplici da propagandare. Tornano i vecchi tempi?
Sì e no. La piazza rischia di rappresentare anche la debolezza dell’ambizione dello stesso Salvini. Sul tavolo delle trattative, quelle vere, il leader della Lega infatti ancora non si è misurato fino in fondo. Almeno in termini di risultati. E chi pensa che alla fine la sua influenza sul centrodestra sarà letale – nonostante i sondaggi diano aritmeticamente buone chance di ripresa alla coalizione sfasciata dalla crisi del 2011 e dagli scandali del 2012 in casa Lega – è pronto a scommettere che la piazza non basterà a ridare una guida salda al centrodestra. Esattamente come il caminetto di Arcore.
Il fatto è che Salvini non sembra ancora calato nella parte del leader della coalizione. Preferisce farsi forte del consenso personale, senza imporre alcuna decisione sperando che siano gli altri a bruciarsi. Proprio come Berlusconi, che questo ruolo, a Salvini, glielo farà sudare, cercherà di non concederglielo mai. Lo si vede da come sia sempre il Cav a giocare con le figurine degli eventuali candidati sindaco a Milano e a Roma, per fare fumo sui tentennamenti della coalizione. Ha fatto uscire i nomi di Paolo Scaroni, Paolo Del Debbio, Stefano Parisi e persino di Bruno Vespa. E per ora si è preso solo dei no. Ma questo può non impensierire Berlusconi. Perché le Comunali di primavera rischiano di essere la più grossa trappola per Salvini, più che per lui. Se il centrodestra avrà pessimi risultati, li addebiteranno tutti al segretario della Lega e alla sua linea che non ammette mezze misure. Se saranno più favorevoli, Berlusconi cercherà di intestarsene il merito, sottolineando il suo ruolo di aggregatore. In Forza Italia chi gli è più avverso, come Mariastella Gelmini, vorrebbe che Salvini si candidasse sindaco di Milano, lo stesso pensa anche quella parte della vecchia guardia leghista, a partire da Roberto Maroni, messa in ombra dal suo attivismo. Ma il leader di via Bellerio è saldo nel dire di no all’offerta: significherebbe giocare alla roulette ogni chance di leadeship nazionale. Sia in caso di vittoria, perché a quel punto dovrà fare il sindaco. Sia ovviamente in caso di sconfitta.
Meglio giocare la carta della piazza, per ora.
Twitter @ilbrontolo