In Italia si muore d’aria

Abbiamo il più alto tasso di morti per inquinamento dell'aria di tutta la Ue. Polveri sottili, biossido di azoto, ozono. L'Agenzia europea dell'ambiente ci boccia. E i legislatori cosa fanno?

L’Agenzia europea dell’ambiente boccia l’Italia. Un rapporto dell’agenzia pubblicato qualche giorno fa, rivela che fra i 28 paesi dell’Ue l’Italia ha il più alto tasso di morti per inquinamento d’aria, ben 84.400 nel 2012 su 491mila a livello comunitario, causati da agenti ‘killer’ quali polveri sottili, biossido di azoto e ozono presente negli strati più bassi dell’atmosfera, col primato del Nord Italia, a Brescia, Monza, Milano e Torino. Cifre ovvie, se pensiamo che solo nel 2006 sono stati commessi ben 24mila eco-reati, per un equivalente volume di affari di 18,9miliardi di euro. Per il rapporto Eurispes del 29 gennaio 2007, in 11 anni, solo in relazione ai rifiuti, ci sono stati 17.097 crimini ambientali, un business illecito che ammonta a 26,9 miliardi di euro.
In teoria di leggi contro gli ‘ecoreati’ esistono, come la n. 319/76 sulle acque ed il Dpr n. 915/82 sui rifiuti, fino ad arrivare al 2006 al codice unico dell’ambiente. Tutto, però, passa dall’inconveniente dell’art. 9 della Costituzione, che pur non parlando di “ambiente” prevede la “tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione”, permettendo un’ampia gamma di interpretazioni. La Corte costituzionale ha però concluso che “nel nostro ordinamento giuridico la protezione dell’ambiente è imposta a precetti costituzionali ed assurge a valore primario ed assoluto”. Ergo, l’ambiente non si riduce al mero “paesaggio artistico”, ma è un “valore” da tutelare.

Per il rapporto Eurispes del 29 gennaio 2007, in 11 anni, solo in relazione ai rifiuti, ci sono stati 17.097 crimini ambientali

E l’Unione europea? La legislazione Ue si fonda sui diversi principi quali la precauzione, l’azione preventiva e la correzione alla fonte di tutti quei danni ambientali causati dall’inquinamento, e sul principio “chi inquina paga”, direttiva finalizzata a prevenire o riparare il danno ambientale. Se esso è già avvenuto, gli operatori saranno obbligati ad adottare misure adeguate per porvi rimedio, sostenendone i relativi costi, un campo di applicazione ampliato ben tre volte per includere la gestione dei rifiuti di estrazione, l’esercizio dei siti di stoccaggio geologico e la sicurezza delle operazioni offshore nel settore degli idrocarburi. Un’interesse, quello dell’ambiente, presente nei vari trattati: con Maastricht (1993) entra nell’agenda Ue, venendo introdotta la codecisione, stabilendo come regola generale il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, mentre col trattato di Amsterdam (1999) si propose il concetto di “sviluppo sostenibile”. Nel 2009 l’obiettivo di “combattere i cambiamenti climatici” diventa un perno del trattato di Lisbona (2009), così come il perseguimento dello sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi.

l’Agenzia europea dell’ambiente denuncia l’eventuale l’inadempienza degli Stati dell’Ue

Oltre alle leggi – tantissime da analizzare tutte in questa sede – esistono istituti di monitoraggio, come l’Eu Impel, l’European Union Network for the Implementation and Enforcement of Environmental Law (Rete dell’Unione europea per l’attuazione e il controllo del rispetto del diritto dell’ambiente), network composto dalle autorità ambientali degli Stati dell’Ue, dei paesi in via di adesione e quelli candidati, per stimolare l’applicazione mediante una piattaforma comune.
C’è anche, appunto, l’Agenzia europea dell’ambiente che denuncia l’eventuale l’inadempienza degli Stati dell’Ue, l’Eionet, la Rete europea d’informazione e di osservazione in materia ambientale, il programma europeo di monitoraggio della terra Copernicus, che si occupa del territorio, mari, atmosfera e dei cambiamenti climatici, e il Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-Prtr), che fornisce dati essenziali provenienti da oltre 30 000 impianti industriali situati nell’Unione, ma pure agli stati europei che non ne fanno parte.

È ovvio che gli eco-reati, spesso e volentieri attribuiti alle ecomafie, sono però frutto anche di imprese private, di amministratori locali e di organi di controllo corrotti che costituiscono reti che compiono reati ambientali. E’ qui che l’azione dello Stato – e dell’Ue – dovrebbe farsi sentire.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club