Pacco di NataleLa strage di Natale di Portopalo e la nostra ridicola ipocrisia

Era la notte di Natale del 1996 e a largo delle coste siciliano di Capo Passero morirono affogate quasi 300 persone, indiani, pakistani e cingalesi soprattutto, ma in questi vent'anni non è cambiato proprio niente

È la notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1996, a largo delle coste siciliane, più o meno di fronte alla costa di Portopalo di Capo Passero, il mare è in burrasca. Le onde sono alte, il vento è forte, e laggiù, da qualche parte nel buio, c’è un battello di 18 metri che batte bandiera di Malta e che sta imbarcando acqua. La imbarca dalla prua, da uno squarcio che si è formato proprio sotto il nome, un nome che non è quello di una donna o quello di un mito. Sembra piuttosto quello di un aereo da guerra, o di un’arma capace di uccidere: si chiama F174.

È la notte di Natale, e su quella nave che naviga incerta ci sono circa 470 persone a bordo. Sono soprattutto indiani, pakistani, cingalesi. Alcuni di loro, pur essendo nati in qualche isola dell’Oceano Indiano, non sanno nemmeno nuotare. Mentre l’acqua salmastra continua a fluire a bordo, il comandante, un greco che ha capito subito che non arriveranno mai fino alle coste siciliane, lancia l’allarme. Risponde un’altra nave, che quei 470 passeggeri conoscono già. Si chiama Yohan, batte bandiera dell’Honduras, ed è proprio dalla sua stiva che provengono tutti loro.

Il mare è grosso, fa molta paura persino al comandante greco. E quando lo Yohan arriva a salvarli, è praticamente impossibile compiere le manovre necessarie. Sono momenti che è difficile immaginare stando a terra, possiamo solo immaginarci quanto faccia paura quel mare scuro e turbolento. Poi bastano pochi secondi, una manovra avventata dello Yohan che schianta il piccolo battello maltese e lo spezza in tre. È una strage. Soltanto una trentina di persone riescono ad aggrapparsi ai mezzi di salvataggio a disposizione dello Yohan. Tutti gli altri muoiono affogati.

Sono passati quasi vent’anni da quel tragico Natale. Nel frattempo non solo non è cambiato nulla, ma addirittura la situazione è peggiorata

È la notte di Natale del 1996, e quella è la più grande strage nel mar Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale. Il calcolo dei morti si ferma a 283. Una trentina sono i sopravvissuti accertati. Tutti gli altri sono dispersi.

Sono passati quasi vent’anni da quel tragico Natale. Nel frattempo non solo non è cambiato nulla, ma addirittura la situazione è peggiorata. Il 3 ottobre del 2013, a largo delle coste di Lampedusa, un altro terrificante naufragio ha causato la morte di 366 persone, cancellando il macabro record di Portopalo, che nel frattempo era già stato cancellato dalla nostra memoria. Siamo fatti così, tanto è dura e acre la nostra indignazione, tanto più veloce passa, come una febbre.

Ora siamo nel 2015. Da quell’ottobre sono passati altri due anni. Ma solo quest’anno di morti in mare ce ne sono stati più di 3200. È un’emergenza, ci ripetiamo tutte le volte, come se fosse una malattia passeggera dalla quale si può guarire. Ma se una emergenza dura 25 anni non è più un’emergenza, è un problema cronico, di sistema e non bastano brevi fiammate di indignazione. A cosa serve indignarsi per una settimana per la fotografia di un bambino morto arenato sulla spiaggia, se quella indignazione dura il tempo di uno sbadiglio? Cosa serve urlare Mai più, quando queste cose accadono da più di vent’anni? «Dal 1988 sono morte lungo le frontiere dell’Europa almeno 21.439 persone», scrive Gabriele Del Grande sul suo blog Fortess Europe. Ma lo scrive il 3 ottobre 2014, l’ultima data di aggiornamento.

Cosa serve urlare “Mai più”, quando queste cose accadono da più di vent’anni?

Sono bastati 150 morti sul suolo francese per stendere un velo pietoso su migliaia di persone che scappano e sulle centinaia, spesso bambini, che muoiono. Benissimo, può anche non fregarci niente della gente che soffre, possono anche passarci altissimi i cadaveri di vecchi, donne e bambini che si arenano sulle spiagge turche o greche. Possiamo essere insensibili, se lo vogliamo. Siamo liberissimi di pensare soltanto all’insalata del nostro giardino quando fuori dalla porta di casa la terra è arida. Ma allora non ci possiamo indignare per una foto. Perché in questo caso vorrebbe dire che la differenza tra Aylan e tutti gli altri morti in quello che una volta era il mare Nostrum è soltanto che non tutti vengono bene nelle fotografie.

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