Those were the days, direbbero gli inglesi. I bei tempi andati, quando José Mourinho andava in conferenza stampa e iniziava lo show. Da bravo giornalista inviato a seguirlo, non dovevi fare altro che sederti e aspettare. Prima o poi, anche prima di una gara sulla carta tranquilla, sapevi che Mou avrebbe sfoderato la stoccata che ti avrebbe regalato il titolo. E pazienza se lo usavano anche gli altri giornali, tanto ti avrebbero letto lo stesso. Perché era impossibile non leggerlo e impensabile non schierarsi: mourinhani e haters, gli schieramenti che hanno animato il calcio italiano tra il 2009 e il 2010 e anche oltre.
Those were the days, quando Mourinho arrivava in Italia da vincente in Inghilterra: al Chelsea gli era mancata la Champions ma per il resto aveva vinto tutto, prendendo il posto di Claudio Ranieri, che a Stamford Bridge aveva fatto un ottimo lavoro fermandosi però prima della linea del traguardo. Il tecnico romano, che già da piccolo cresceva nel covo giallorosso del Testaccio ma chiamavano “Il piccolo Lord” per i modi pacati, si stava ricostruendo una carriera. Prima il Parma, che aveva salvato in pochi mesi, quindi la Juventus. Ahia. Nel senso della rivalità tra le due squadre, ma anche tra i due allenatori. Non deve fare piacere nemmeno a un piccolo Lord sapere che il lavoro che hai faticosamente impostato in un club è stato portato al successo da chi è arrivato dopo di te. Una polveriera, che ci pensa Mourinho ad accendere.
Non deve fare piacere nemmeno a un piccolo Lord sapere che il lavoro che hai faticosamente impostato in un club è stato portato al successo da chi è arrivato dopo di te. Una polveriera, che ci pensa Mourinho ad accendere
Those were the days, quando le provocazioni volavano tra Milano e Torino. Ranieri ha il compito di riportare i bianconeri allo scudetto, dopo averli riportati in Champions da neopromossi (anche quelli erano bei tempi, a seconda della prospettiva). Mourinho ha preso in mano la squadra del ciclo di Mancini. Tutti e due devono vincere. Ranieri spiega che non deve farlo per sapere di fare un buon lavoro. José non aspetta altro: “Ho vinto tante cose nella mia carriera, lui chissà per avere questa mentalità di definirsi uomo che non ha bisogno di vincere…ha quasi settant’anni, ha vinto una supercoppa, una piccola coppa, le grandi cose non le ha mai vinte. Deve cambiare mentalità, ma forse è troppo vecchio”. Sì insomma la sintassi andava aggiustata, ma la frecciata è tirata, ed è pure discretamente infuocata. Mourinho, che in queste situazioni si muove in maniera tattica, vuole smontare l’avversario su tutti i piani, da quello sportivo a quello anagrafico. Ranieri gli ricorda il passato spagnolo, quando lui era al Valencia e Mou era solo allenatore in seconda al Barcellona. Sciabolata elegante.
Those were the days, quando Mourinho imputava a Ranieri di non saper parlare inglese. Succede quando l’interista, impegnato ad alzare il livello della tensione su ogni fronte, smette di parlare con la stampa. Ranieri, ormai alla stregua di un arbiter elegantiarium, fa notare che “Dopo la gara dobbiamo soddisfare le curiosità di voi giornalisti”. E Mou i giornalisti li soddisfa eccome: “Ranieri è stato in Inghilterra cinque anni per dire solo good afternoon e good morning”. Sul campo, finisce con Mou campione d’Italia e Ranieri esonerato. Ma c’è la Roma che ha bisogno di lui. Anche qui, però, le cose non gli vanno bene. Vince lo scontro diretto al ritorno, Mou si prende il triplete e poi se ne va da vincitore, non prima di aver ricordato in una lettera aperta un aneddoto sul suo arrivo al Chelsea dopo Ranieri: “Mi dissero che volevano vincere”.
Those were the days, visti dalla prospettiva di un mourinhano. Ma la prospettiva sembra destina a ribaltarsi, acuendo il senso di nostalgia di chi ama lo Special e facendo provare un profondo senso di riscatto a chi invece lo odia visceralmente. Succede tutto al ritorno dei due sullo stesso terreno di contesa, la Premier League. Se c’è una cosa sulla quale Ranieri aveva ragione, è stato l’aver inquadrato la psicologia di José: per sentirsi soddisfatto e realizzato deve vincere. Non serve la consapevolezza di aver fatto un buon lavoro, perché quando Mou se ne va, lascia discrete macerie. La tensione di Mou è la vittoria, sempre. Per questo è tornato al Chelsea: dopo non aver vinto la Champions (la terza in tre squadre diverse) al Real, deve riprovarci lì dove non è riuscito.
La prospettiva sembra destina a ribaltarsi, acuendo il senso di nostalgia di chi ama lo Special e facendo provare un profondo senso di riscatto a chi invece lo odia visceralmente.
These are the days, dove Mou è a metà di quella classifica che vede primo il Leicester di Claudio Ranieri. Uno che si realizza dove c’è bisogno di rimettere a posto le cose. E al Leicester il bisogno c’era, eccome. I Foxes si erano salvati lo scorso anno alla fine di una rimonta clamorosa: fino a due mesi prima della fine, erano già in Championship. Ma a turbare l’ambiente arriva uno scandalo sessuale, un video che vede coinvolti alcuni giocatori, tra cui Pearson, figlio dell’ex tecnico, tutti mandati a casa. In attacco sta esplodendo Jamie Vardy, in campo e non solo. Figlio della Sheffield operaia, l’attaccante ha giocato mezza carriera nella Non-League, come gli inglesi chiamano il sottobosco del calcio locale, prima di esplodere tra i professionisti a 25 anni. Non ha un carattere facile, Jamie. Qualche anno fa, si è beccato 6 mesi per violenza privata. Lui ha sempre raccontato di aver difeso un amico che indossava un apparecchio acustico e che alcuni ragazzi avevano cominciato ad infastidire. Per tutto il periodo della condanna, giocherà a calcio con una cavigliera elettronica. Poi il Sun, con la stagione nuova alle porte, tira fuori un video dove Vardy, che se la spassa in un casinò dopo un gol al Sunderland nella prima di campionato, se la prende in malo modo con altro avventore, liquidandolo con un “Jap, walk on”. Roba non da piccoli Lord, visto che Jap è un termine razzista.
These are the days, quelli in cui Ranieri non è accolto benissimo nella sua nuova avventura, ma lui ribalta tutti da bravo “pensatore”. Perché oltre al problema di Jamie c’è quello di un altro grande attaccante, diciamo più grande di Vardy. Si chiama Gary Lineker e prima diventare una gloria nazionale ha indossato la maglia del Leicester. Come spesso accade in questi casi, la sua parole è vangelo, soprattutto dalle parti dello stadio dei Foxes. “Ranieri ha tanta esperienza, ma la scelta del Leicester è poco ispirata”. Roba da far scappare qualcuno in caso di prima sconfitta, perché nel linguaggio inglese la mancanza di un linguaggio diretto nasconde frecciate niente male. Ok, ma Ranieri nella vecchia terra d’Albione ha fama di Thinkerman, di pensatore. Di uno che rimugina, magari troppo. Che cambia spesso formazione. Strano sentirlo dire, visto che in Italia spesso lo abbiamo visto abbonato al 4-4-2. Anche all’Inter, dove arrivò per qualche mese, per cercare di nascondere sotto al tappeto le ultime ceneri del dopo-Mou. Ma lo abbiamo detto, qui le prospettive sono diverse, ribaltate. Tra il 4-4-2, quello non cambia: appena arriva, Ranieri lo impone. Così come ottiene che Vardy venga multato e chieda scusa in maniera pubblica.
These are the days, tutto è alla rovescia e tutto è tranquillo. Ranieri lunedì sera nel Monday night di Premier ospita da primo in classifica Josè Mourinho, che per tornare in Champions il prossimo anno è assai probabile debba vincere questa. I due non si sono ancora tirati frecciate e regna una strana pace, una calma piatta che solo Mou può rompere. E alla quale solo Ranieri può replicare. Mica come oggi, che al massimo dice di volergli offrire del vino (capirai). Ah, those were the days.