Domenica prossima anche l’hojjatoleslam (un grado sotto l’ayatollah) Raúl González andrà a votare. E non solo perché è uno spagnolo da generazioni -madrileno del quartiere di Tetuán- stanco delle «politiche neoliberali che hanno affamato la Spagna». Raúl è anche Jafar Abdellah, uno dei quasi due milioni di musulmani presenti nel Paese, che «insieme ad altri collettivi, sono stati i primi a soffrire la crisi». Il 40% sono spagnoli, il restante 60% stranieri, soprattutto marocchini (40%) e di altre nazionalità come pachistani o senegalesi. Tra le regioni, il maggior numero di islamici si trova in Catalogna, segue l’Andalusia, le comunità di Madrid e Valencia. E tra le città, a parte i luoghi di frontiera come Ceuta e Melilla, proprio Barcellona e Madrid ospitano il più alto numero di persone che pregano Allah. «La società spagnola è ancora in tempo per risolvere i problemi d’integrazione che sono emersi con gli attentati di Parigi, dove la maggior parte dei terroristi era di nazionalità francese», dice Raúl preoccupato.
Occhialini appesi al collo, barba bianca, giacca nera alla coreana, il teologo sciita, 65 anni, è un fiume in piena. All’indomani della morte di Francisco Franco, attuata la Transizione, la nascente democrazia gli sembra solo una versione a colori del franchismo. Comunista e attivista, González non vuole integrarsi nel sistema, e si orienta alla ricerca personale ed esistenziale. Legge di tutto sulla spiritualità, finisce per trovare le risposte nel Corano. Nel 1989 con una borsa di studio va a studiare teologia islamica a Qom, la città santa di Persia – quella delle 85 moschee, 15 mausolei e decine di scuole coraniche – scelta dall’ayatollah Khomeini per vivere e studiare. Il comunista spagnolo diventa hojjatoleslam. Nel 1996 torna a Madrid e si dedica alla traduzione. Nella grande biblioteca sfoggia il Sagrado Corán, la sua versione commentata in castigliano del libro sacro dell’Islam. Raúl, o meglio Jafar, dirige l’ong Musulmani per la Pace: ci sono corsi di arabo e spagnolo, consulenza giuridica e medica, corsi per bambini, feste per l’integrazione. «È un modo per portare i musulmani fuori dalle moschee» spiega. Poi, non ancora soddisfatto, fa il salto in politica ed entra a fare parte di Podemos, diventando il volto visibile di un singolare circolo, guidato da Pablo Iglesias: Podemos Musulmanes.
«I musulmani europei sono sempre più coinvolti in politica, per esempio nel Regno Unito, in Germania, Belgio, Francia. Ma in Spagna la comunità islamica vive ancora spesso ai margini della vita culturale e politica del Paese in cui studia e lavora. Una delle ragioni per cui abbiamo creato Podemos Musulmanes è offrire, soprattutto alle giovani generazioni, un modello civile per trasformare la società e renderla più vicina agli ideali di giustizia che il Corano c’insegna». Il gruppo, oltre a sollecitare l’impegno dei musulmani in politica, chiede l’uguaglianza con le altre fedi di fronte allo Stato. «Il nostro è una delle presenze sociali più deboli -spiega González-, la maggior parte sono immigrati, molti marocchini, e sono stati i primi a soffrire le politiche di austerity degli ultimi anni». Secondo il teologo sciita «i musulmani sono un po’ come gli anarchici» sorride. «Ognuno ha la propria interpretazione, nessuno stabilisce l’ortodossia: questo comporta una naturale emarginazione. E facilita l’islamofobia». Qui si fa serio: «L’Islam non è il Daesh. L’Islam è molto flessibile. Io, per così dire, sono una persona poco religiosa perché sono stato educato in una famiglia comunista, da genitori atei. Non vado molto in moschea a pregare, preferisco farlo a casa. Sì, certo prego cinque volte al giorno e continuo a fare il digiuno. Questo è l’impegno che ho promesso a Dio. Ma sono anche, come dire, molto indù. I modelli non appartengono a Dio. Sono limiti culturali. Il Sacro Corano dice che la conoscenza va acquisita ovunque essa sia, anche dalla bocca di un ateo».
L’ateo in questione, al momento, è dunque Pablo Iglesias. «Anche noi crediamo che lo Stato debba essere laico. Perché la scuola pubblica dovrebbe insegnare a mio figlio l’islam? La religione è una cosa privata, che va appresa in famiglia o nei luoghi di culto. Dovrebbe essere così anche per il cristianesimo», provoca il teologo. Eppure sulle possibili incompatibilità del “credo” di Podemos con alcuni aspetti dell’Islam, González, che è stato candidato fuori lista alle scorse comunali a Madrid, non entra nel dettaglio: l’omosessualità o il matrimonio tra persone dello stesso sesso, per lui, non sono il vero nocciolo della questione. «L’atteggiamento vero di un credente è la difesa dei deboli e degli svantaggiati. I musulmani devono partecipare alla costruzione della società in cui vivono». Per l’hojjatoleslam iberico in fondo non c’è molta differenza tra le grandi religioni: «La linea di fondo è abbastanza semplice: credere in Dio e praticare il culto implica un impegno sociale profondo, cose come non avvelenare l’aria e rispettare tutte le sue creazioni. Dio ci ha reso liberi e ci ha inviato i profeti per sapere come scegliere la libertà». In questo caso la libertà, anche, di andare a votare. E scegliere Podemos.