La partita contro il resto del mondo è un concetto fondamentale. Si potrebbero scrivere trattati sulle implicazioni filosofiche, sociologiche e letterarie della lotta tra il gruppo e il mondo intero, tra l’identità e la massa, anche se la dimensione titanica è sminuita dal fatto che nel calcio, come dice il vecchio adagio, si gioca pur sempre 11 contro 11. La cosa più vicina a una vera sfida contro il resto del mondo è stata probabilmente la partita a scacchi giocata e vinta telematicamente da Garri Kasparov contro 57mila avversari nel 1999. Ma è nel calcio che il concetto ha avuto origine ed è nel calcio che ha trovato applicazione universale. Nelle partitelle improvvisate nel cortile di casa, nelle pause durante le gite scolastiche o dopo i pranzi di matrimonio, contrapporre una comunità ben definita e numericamente adeguata all’insieme complementare di tutti gli altri è tradizionalmente uno dei modi più comuni di fare le squadre: Bari contro resto del mondo, quarta C contro resto del mondo, famiglia Di Fonzo contro resto del mondo.
Si potrebbe pensare che questa tradizione affondi le radici nella notte dei tempi, invece ha un’origine ben precisa e nemmeno troppo lontana. Era il 1963, e la Football association inglese aveva deciso di celebrare il centenario della sua fondazione con una sbruffonata che sembrava venire direttamente dalla metà dell’ottocento, quando l’impero britannico poteva ancora pensare di tener testa al mondo intero: sfidare la Fifa a mettere insieme una squadra pescando i migliori calciatori dalle rose di tutte le sue federazioni per affrontare i Tre leoni a Wembley.
La Fifa la prese sul serio. La selezione fu affidata al cileno Fernando Riera, che aveva guidato la sua nazionale al terzo posto ai mondiali giocati in casa nel 1962 e l’anno successivo aveva conquistato lo scudetto portoghese con il Benfica. A difendere la porta fu chiamato il ragno nero Lev Yashin. I terzini erano Djalma Santos, unico rappresentante del Brasile campione del mondo l’anno precedente (il Santos aveva proibito a Pelè di partecipare all’incontro), e il tedesco Karl-Heinz Schnellinger. Di fronte avevano la spina dorsale della Cecoslovacchia vice-campione del mondo: Svatopluk Pluskal, Ján Popluhár e il Pallone d’oro in carica Josef Masopust. Davanti c’era gran parte del talento del Real Madrid cinque volte campione d’Europa: l’ala sinistra Francisco Gento, l’attaccante francese Raymond Kopa e ovviamente la saeta rubia Alfredo Di Stéfano. A completare l’attacco erano la Pantera nera Eusebio e Denis Law del Manchester United, con Ferenc Puskás e la leggenda dell’Amburgo Uwe Seeler pronti a subentrare dalla panchina.