Siamo davvero sicuri che ospitare le Olimpiadi a Roma sia poi un grande affare? In città c’è chi inizia ad avere qualche dubbio. Mentre il comitato organizzatore ha già lanciato la candidatura della Città Eterna per il 2024, cresce il fronte dei critici. Due giorni fa è stata avviata una raccolta firme per organizzare un referendum cittadino sull’opportunità del grande evento sportivo. Diversi giornalisti, storici e urbanisti hanno già aderito alla campagna avviata dai Radicali. Intanto alla Camera dei deputati arriva una mozione di Sinistra Italiana che mette in discussione i presunti vantaggi dei Giochi olimpici. Un sogno, nella rappresentazione ufficiale, che per molti romani rischia di trasformarsi in un vero incubo.
È una questione economica, anzitutto. Passato l’entusiasmo delle gare, la Capitale potrebbe presto ritrovarsi con un buco in bilancio. L’ennesimo. Così almeno spiegano i critici. Un documento presentato da Radicali Italiani cita un recente studio dell’Università di Oxford. Il risultato non lascia tranquilli. «La scelta di ospitare i Giochi Olimpici – si legge – rappresenta per una città (e per uno Stato) uno dei progetti finanziariamente più rischiosi che si possano intraprendere, il cui costo prevede un sistematico scostamento dai budget preventivi effettuati in sede di candidatura». Secondo lo studio citato, i costi esplodono in media del 179 per cento. Un esempio? Quando nel 2005 fu presentata la candidatura delle Olimpiadi di Londra, era stata prevista una spesa di 2,4 miliardi di sterline. Sette anni più tardi, alla fine delle competizioni olimpiche, «il costo ufficiale totale fu di almeno 8,77 miliardi di sterline».
«La scelta di ospitare i Giochi Olimpici rappresenta per una città (e per uno Stato) uno dei progetti finanziariamente più rischiosi che si possano intraprendere, il cui costo prevede un sistematico scostamento dai budget preventivi effettuati in sede di candidatura»
Il tema non è banale, soprattutto in una città già alle prese con una fisiologica carenza di risorse (per non parlare di sprechi e corruzione). In questi giorni se ne discute anche in Parlamento. La mozione depositata da Sinistra Italiana solleva gli stessi dubbi: a giudicare dalle esperienze recenti, le Olimpiadi sembrano un pessimo affare per le città ospitanti «sul piano dei bilanci pubblici, dell’assetto urbanistico, della qualità della vita prima, durante e dopo l’evento, sia nel breve che nel medio-lungo periodo». I deputati di sinistra citano una ricerca dell’economista Andrew Zimbalist pubblicata da Brookings Institution. In sintesi, si spiega, il meccanismo è lo stesso. «I costi stimati sono sempre, largamente, una frazione delle spese finali effettivamente sostenute dai bilanci pubblici».
Adesso Roma si interroga. Lo spirito olimpico vale il rischio? In un incontro pubblico alla Stampa Estera, due giorni fa il comitato promotore del referendum ha avviato il percorso verso la consultazione pubblica. Il meccanismo è complesso. Solo per depositare il quesito in Campidoglio è necessario raccogliere mille firme. Una volta ottenuto il via libera dall’apposita commissione, ci saranno tre mesi di tempo per la raccolta di firme vera e propria. Ne servono 28mila, pari all’1 per cento della popolazione residente della Capitale. Se tutto andrà come previsto, il referendum sarà celebrato tra aprile e giugno del 2017. Pochi mesi prima della decisione del Comitato Olimpico Internazionale, che a settembre assegnerà le Olimpiadi 2024.
«È una questione di trasparenza» spiega l’ex ministro degli Esteri Emma Bonino. «Io non sono pregiudizialmente contro i grandi eventi, sono stata una grande sostenitrice di Expo. Ma adesso è necessario un dibattito pubblico su costi e benefici di questo appuntamento». Anche perché, spiegano i sostenitori del referendum, al momento non è stato presentato alcuno studio di fattibilità, né un’indicazione sulle spese e gli investimenti in programma. Tra i testimonial dell’iniziativa c’è il giornalista Oliviero Beha. «Evitiamo però di fare confusione – specifica – Chi è a favore della consultazione popolare non è contro lo sport. Questo è un concetto truffaldino che non deve passare». Piuttosto, raccontano, è una battaglia di democrazia. Insieme allo scrittore hanno dato il proprio sostegno alla campagna anche i giornalisti Pierluigi Battista e Oscar Giannino, gli urbanisti Paolo Berdini e Vezio De Lucia, gli archeologi Carlo Pavolini e Fausto Zevi, e poi storici, registi, rappresentanti di comitati e organizzazioni del territorio.
Referendum: una volta ottenuto il via libera dall’apposita commissione, ci saranno tre mesi di tempo per la raccolta di firme. Ne servono 28mila, pari all’1 per cento della popolazione residente della Capitale. La consultazione si terrà tra aprile e giugno del 2017
E se alla fine i romani decideranno di rinunciare alle Olimpiadi, non sarebbero neppure i primi. L’ultima città a rifiutare la candidatura è stata Amburgo. Lo scorso novembre il 51,7 per cento dei cittadini ha votato contro la decisione di ospitare i Giochi. A Boston non è servito neanche organizzare un referendum. Dopo le forti pressioni pubbliche il sindaco ha deciso di ritirare la candidatura della città. Il dossier radicale ricorda anche le consultazioni che hanno spinto al passo indietro le città di St. Moritz, Monaco, Cracovia e Oslo (tutte in gara per le Olimpiadi invernali del 2022). «Boston, Amburgo e Monaco non sono città che amano poco lo sport o rifiutano lo sviluppo – spiega il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi – Sono solo città che hanno ritenuto opportuno aprire un dibattito sul rapporto costi-benefici dell’impresa olimpica». Ma non serve andare troppo lontano. Nel 2012 il presidente del Consiglio Mario Monti aveva già deciso di ritirare la candidatura di Roma 2020 per non mettere a rischio i conti pubblici. «E da allora – insiste Magi – non mi sembra che la situazione economica sia molto cambiata».
Anche perché a pagare le conseguenze di una scommessa azzardata sarebbero proprio i cittadini. Lo insegna la storia recente. Il dossier radicale cita la tassa speciale che gli abitanti di Grenoble hanno dovuto pagare fino al 1992 per ripianare il deficit dei Giochi del ’68. E le gabelle trentennali finite sulle spalle dei cittadini di Montreal dopo le Olimpiadi del 1976. «Anche i cittadini di Barcellona hanno versato 1,7 miliardi di tasse in più – si legge nel dossier – per sanare il deficit lasciato dai Giochi del 1992. Mentre i 60 milioni di dollari di debito accumulati per le Olimpiadi invernali di Albertville sono stati pagati dai contribuenti francesi tramite un aumento del 4 per cento della tassa locale sulla casa». Oltre il danno, la beffa.