Maggioranze incrociate, variabili, trasversali. Era iniziata come una legislatura, sta diventando una soap opera. Ormai in Parlamento le alleanze si stringono e si chiudono con inquietante frequenza. I partiti si trovano, si lasciano, si ritrovano. A perdere qualche puntata si rischia di non riuscire più a seguire il filo della trama. È la moderna declinazione dello storico trasformismo parlamentare. Prendiamo il caso delle unioni civili, la prossima riforma dell’esecutivo. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha deciso di accelerare: nei prossimi giorni il Partito democratico è pronto a votare la legge insieme agli esponenti di Sinistra Italiana, un tempo opposizione. Il calendario del Senato non ammette ritardi, l’approvazione deve anticipare le elezioni di giugno. Per qualcuno il motivo è evidente: una volta chiusa l’intesa, per la sinistra sarà più difficile sfilarsi da un’alleanza con il Pd alle amministrative.
Sulle unioni civili ci sarà anche il voto favorevole del Movimento Cinque Stelle. Proprio loro, i grillini. L’opposizione dura e pura è pronta a serrare le fila con il Partito democratico. E a dirla tutta non è neppure la prima volta
Ma sulle unioni civili ci sarà anche il voto favorevole del Movimento Cinque Stelle. Proprio loro, i grillini, i grandi avversari del premier. L’opposizione dura e pura è pronta a serrare le fila con il Partito democratico. E a dirla tutta non è neppure la prima volta. Lo scorso dicembre pentastellati e democrat avevano già trovato un accordo sui giudici da mandare alla Corte Costituzionale. Un’intesa che aveva sbloccato mesi di impasse, mandando su tutte le furie Forza Italia, esclusa dal confronto. Ecco allora che anche i berlusconiani potrebbero rientrare nella partita delle unioni civili. Il tema è delicato, il partito è diviso al suo interno, eppure alcuni esponenti di Fi hanno già assicurato di essere pronti a votare con la maggioranza. Tradimento o scelta di coerenza? Difficile a dirsi, visto che era stata proprio Forza Italia ad avviare il processo riformatore del governo Renzi, ai tempi del patto del Nazareno. C’è l’impronta di Silvio Berlusconi sulla riforma costituzionale e sull’Italicum. Poi il Cavaliere ha cambiato idea: come ogni soap opera che si rispetti, è arrivato il colpo di scena. L’alleanza è stata rotta, l’intesa disconosciuta. In soccorso del governo è arrivato un nuovo gruppo, guidato da Denis Verdini, ex braccio destro del leader forzista.
Ormai diventa difficile capire chi sta all’opposizione e chi no. È un Parlamento liquido, si passa senza difficoltà dalla critica alla maggioranza e viceversa. Una legislatura con le porte girevoli. E i tanti cambi di casacca – mai numerosi come in questa fase politica – non aiutano a fare chiarezza
Ormai diventa difficile capire chi sta all’opposizione e chi no. È un Parlamento liquido, si passa senza difficoltà dalla critica alla maggioranza e viceversa. Una legislatura con le porte girevoli. E i tanti cambi di casacca – mai numerosi come in questa fase politica – non aiutano a fare chiarezza. E così il premier si arrangia come può. Provvedimento che va in Aula, alleanza che trova. Se con le unioni civili il Pd scopre nuovi alleati, vecchi compagni di viaggio rischiano di andarsene. La riforma non piace ai parlamentari di Area Popolare, storici esponenti della maggioranza di governo. Stavolta i centristi di Angelino Alfano meditano di schierarsi con l’opposizione. Il presidente del Consiglio ne prende atto e corre ai ripari. Per non rompere con gli alfaniani – i loro voti saranno fondamentali quando a Palazzo Madama si tornerà a votare la riforma costituzionale – è già stato trovato l’escamotage. Stando a indiscrezioni giornalistiche, il governo è pronto ad allungare i tempi dello ius soli. La riforma sulla cittadinanza, votata alla Camera con il sostegno della sinistra, verrebbe sacrificata sull’altare dell’intesa con i centristi. I pezzi del puzzle si incastrano. La politica è fatta anche di compromesso, la coerenza è roba vecchia.