Il progressismo reazionario di Umberto Eco, ovvero le basi della saggezza del Professore

Nato ad Alessandria il 5 gennaio del 1932, Eco è stato capace di fare il rottamatore negli anni Sessanta e così come di difendere la tradizione negli anni Duemila. Il segreto: 4 solide basi su cui costruire la propria saggezza

Da quando, nel 1963, pubblicò alcuni dei suoi saggi più acuminati nella prima edizione dei Diari minimi ed entrò nell’avanguardistico Gruppo 63, sono passati più di cinquant’anni, e Umberto Eco ha fatto parecchia strada. Ha venduto milioni di libri, ha vinto un premio Strega con uno dei più grandi bestseller di sempre, si è visto assegnare 39 lauree honoris causa da altrettante università sparse per il mondo — da New York a Uppsala — ha tenuto lezioni almeno nel doppio delle scuole, ma soprattutto è entrato a gamba tesa in incontabili dibattiti.

Negli anni Sessanta, in quei dibattiti, ci entrava con il piglio progressista del rottamatore e dell’innovatore, prima sdoganando una bella fetta del pop — da Franti del libro Cuore a Mike Bongiorno — poi decretando contemporaneamente nascita e morte del postmoderno con Il nome della rosa; negli ultimi anni, invece, le sue entrate in scivolata sono state caratterizzate da un piglio un po’ più, permettetemi il termine, reazionario, il piglio del censore, quello di chi ammonisce, di chi avvisa che, continuando in questa direzione, ci andiamo a sfracellare.

La doppia faccia di Eco, quella progressista degli anni Sessanta e quella censoria degli ultimi anni, potrebbe apparentemente sembrare una contraddizione. Ma il cambio della guardia tra il pensiero avanguardistico giovanile e quello retroguardistico senile, non è affatto un cambio, è semplicemente il risultato della strenua fedeltà del Professore a se stesso e al proprio pensiero, intriso da sempre di filosofia medievale e strutturalismo.

Proprio dal quel connubio tra la solidità medievale di un Tommaso d’Aquino e quella moderna di un Vladimir Propp, oggi Eco, che festeggia la veneranda età di 84 anni, è un campione di una sorta di progressismo reazionario. Un’etichetta bizzarra e un po’ contraddittoria, le cui basi sono le seguenti, tutte legate tra loro.

A. Metodo

Tra i libri più letti di Umberto Eco, subito dopo Il nome della rosa, c’è un saggio che tutti coloro che hanno frequentato un’università negli ultimi quarant’anni hanno avuto per le mani almeno una volta. Si tratta di Come si fa una tesi di laurea, edito da Bompiani nel 1977. Il segreto di ogni solidità, infatti, sta alla base, ovvero alla struttura, e per costruirla ci vuole metodo. Una lezione che Eco ha appreso proprio dai medievali, e che non si è mai stancato di ripetere.

B. Memoria

Esattamente due anni fa, il 3 gennaio del 2014, Eco scriveva su L’Espresso una lettera a suo nipote in cui si raccomandava l’allenamento della memoria attraverso l’imparare “par coeur” qualsiasi cosa, dalla formazione della propria squadra di calcio fino alla Vispa Teresa, se servisse. Da quando abbiamo tutti un computer in tasca a forma di telefono, tendiamo a non ricordarci più nulla, delegando la nostra memoria a una ricerca su Google. Scrive Eco: «Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa». Ha ragione da vendere, e ammetterlo non significa essere un nostalgico dei tempi dell’Enciclopedia Britannica, ma semplicemente sapere quanto conta avere una base solida di nozioni da cui partire.

C. Pertinenza

Il terzo cardine del progressismo reazionario di Eco è la competenza e uno dei fortini di competenza che più strenuamente difende è la grammatica. Una delle ultime sortite sferrate durante una Lectio Magistralis dal Professore per alleggerire l’assedio al fortino grammaticale è stata quella contro l’uso improprio del Tu, ovvero contro la tendenza degli ultimi anni di dare del Tu a chiunque. Un problema che parte dalla grammatica ma che va ad intaccare tutto il cucuzzaro: «Il problema del Tu generalizzato non ha a che fare con la grammatica ma con la perdita generazionale di ogni memoria storica e i due problemi sono strettamente legati». Memoria, grammatica, pertinenza, competenza. Nel mondo di Eco, ovvero nel mondo della saggezza, tutto si tiene.

D. Competenza

L’ultimo ingrediente della saggezza di Umberto Eco è l’assoluta fedeltà alla competenza, il cui nemico più poderoso, di questi tempi, è proprio quell’internet che spesso il Professore ha attaccato. Ma attenzione, Eco non è di quelli che scambiano il contenuto con il contenitore, e non attacca mai internet in quanto tale, bensì chi su internet ci si perde, chi, pur non sapendo un acca di qualcosa, su quel qualcosa pontifica, o ancor peggio, chi pur non essendo capace di discernere tra una fonte autorevole e una fonte pataccara, affida la costruzione delle basi del proprio pensiero a qualche “scemo del villaggio portatore di verità”. Eco, che nel suo immaginario ha sempre coltivato la fantasia del Complotto, da buon maestro sa che per progredire i maestri servono. E i maestri bisogna saperseli scegliere, se no si resta una flotta di imbecilli che credono a qualsiasi cosa leggono su internet.

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