Dopo quasi tre anni di gestazione è definitivamente entrato in vigore l’accordo sul nucleare con l’Iran. In cambio del depotenziamento del suo programma nucleare, la Repubblica Islamica ottiene l’eliminazione delle sanzioni collegate. Al di là del successo diplomatico dei presidenti Obama e Rohani, la notizia è di importanza capitale per gli equilibri del Medio Oriente. L’Arabia Saudita, rivale sunnita dell’Iran sciita per l’egemonia regionale, ha a lungo provato – insieme a Israele – a far deragliare l’accordo, ma senza successo. Nei prossimi dieci anni, secondo l’Economist, il suo pil – e anche quello turco – rischia di essere superato da quello iraniano. Nel frattempo Riad ha però investito decine di miliardi di dollari in materiale bellico (navi, elicotteri, tank, missili, etc. provenienti soprattutto dagli Usa ma non solo) e ora, col venire meno delle sanzioni che dovrebbero sbloccare circa cento miliardi di dollari di asset per Teheran e con la ormai prossima fine dell’embargo sugli armamenti convenzionali, si teme una corsa al riarmo per l’intera regione. Considerata la situazione di grave deterioramento che da circa cinque anni interessa numerosi Stati dell’area – tra guerre civili, terrorismo e scontri intrareligiosi fomentati da Iran e Saud – secondo molti analisti i rischi di un ulteriore peggioramento delle violenze sono molto elevati.
Siria e Libano
Nella guerra civile siriana il maggiore alleato della dittatura di Assad, cioè l’Iran, si trova ora ad avere una tranquillità economica molto maggiore che nel passato. Questo spinge gli esperti a ritenere che l’impegno economico e militare di Teheran a sostegno di Damasco aumenterà ulteriormente. Se l’Arabia Saudita e la Turchia – maggiori sponsor dei ribelli – decidessero di ribattere al maggior interventismo iraniano, la guerra potrebbe divenire ancora più violenta. Altrimenti è possibile pronosticare una vittoria del regime nel medio periodo (dopo l’intervento della Russia è visibile l’avanzamento sul terreno dei lealisti in diversi settori). In Libano approfitterà dell’ascesa iraniana Hezbollah, la milizia sciita fedele a Teheran già massicciamente impiegata in Siria. Anche per il Paese dei cedri il rischio è quello di un deterioramento delle violenze settarie.
Yemen
Se finora il sostegno iraniano ai ribelli sciiti dello Yemen (Houthi) era stato secondo gli analisti “moderato”, adesso che il rischio di overstratch (cioè di essere coinvolto su troppi fronti) per Teheran sembra venire meno, molti ne pronosticano l’intensificazione. La guerra civile yemenita, oltre che per questioni di propaganda (la minoranza sciita è oppressa dal governo sunnita, fantoccio di Riad), è funzionale agli interessi di Teheran anche in quanto distrae i Sauditi e le altre monarchie del Golfo da scenari strategicamente più rilevanti per l’Iran (Siria in primis). La fine delle sanzioni economiche dà potenzialmente alla Repubblica Islamica i mezzi per mantenere un’elevata instabilità nel Paese e rafforzare la componente settaria sciita – anche a livello di milizie armate, come gli Ansarullah – in vista delle future trattative sul destino dello Yemen.
Iraq
Baghdad è entrata già da qualche anno nell’orbita iraniana (dopo il collasso della dittatura di Saddam Hussein, sunnita, col regime democratico hanno prevalso gli sciiti, maggioranza del Paese). Diversi esperti ipotizzano che parte delle risorse a cui avrà accesso Teheran grazie all’accordo sul nucleare verranno investite per rafforzare i partiti e le milizie sciite, e aumentare l’impegno per sradicare quel che resta dello Stato Islamico in Iraq. Il rischio è ovviamente quello di peggiorare il clima di scontro intrareligioso, regalando al fanatismo jihadista l’appoggio delle grandi tribù sunnite della provincia di Anbar, preoccupate dal rischio di un’eccessiva ingerenza iraniana.
Turchia
Dallo scoppio delle Primavere arabe in poi Turchia e Iran si sono trovati su lati opposti della barricata, in particolare in Siria, con Ankara a sostenere i ribelli (con Riad) e Teheran il regime di Assad (con Mosca). Tuttavia la situazione sul terreno in Siria – dove i ribelli sono sempre più deboli – e proprio l’accordo sul nucleare con l’Iran potrebbero portare, secondo alcuni analisti, il presidente turco Erdogan a una clamorosa svolta di politica estera: da un lato ridurrebbe il sostegno ai ribelli siriani e si unirebbe alla guerra contro l’Isis (fino a poco fa anzi indirettamente supportato), e dall’altro cercherebbe migliori rapporti con l’Iran. Secondo alcune stime lo scambio economico atteso tra i due Paesi, dopo la fine delle sanzioni, potrebbe infatti arrivare fino a 30 miliardi di dollari l’anno. E rinunciare all’asse con Riad in questo momento per Ankara potrebbe equivalere a lasciar cadere una patata bollente, visto il clima di crescente insoddisfazione verso lo storico alleato che va montando in Occidente.
Russia
L’economia russa è in crisi da qualche anno, in particolar modo in seguito alle sanzioni dovute all’annessione della Crimea. Si regge in piedi su due importanti pilastri: l’esportazione di gas e petrolio da un lato, e la vendita di armi dall’altro. La fine delle sanzioni all’economia iraniana potrebbe essere un boomerang per Mosca, considerato che un aumento dell’offerta dovrebbe diminuire ulteriormente il prezzo delle materie prime. Invece il Cremlino è da sempre stato tra i più favorevoli al negoziato con Teheran. Secondo molti esperti questo a causa di un calcolo preciso: la vendita di armi alla Repubblica Islamica compenserà le perdite per le casse di Mosca di un eventuale calo del prezzo del greggio (del resto già ai minimi storici). Non si tratta di scenari futuri: l’Iran ha già in tasca un accordo per l’acquisto di sistemi missilistici avanzati dalla Russia.