«È difficile fare previsioni, specialmente sul futuro», pare abbia detto il premio Nobel per la Fisica Niels Bohr. In economia, tuttavia, anche l’interpretazione del passato non è così scontata. Sono due anni che sentiamo parlare di luci in fondo al tunnel, cambi di verso, svolte epocali. Qualunque dato minimamente positivo viene utilizzato per alimentare la caccia al gufo. Poco importa che si tratti spesso di rilevazioni mensili o trimestrali, fortemente influenzate dalle tecniche di destagionalizzazione, o di segnali troppo deboli per poter essere estrapolati e trasformati in tendenze rivoluzionarie. E poi si criticano i mercati finanziari e la loro eccessiva attenzione ai dati di breve …
Un ultimo esempio lo abbiamo avuto con la pubblicazione dell’aggiornamento trimestrale del “Reddito e Risparmio delle Famiglie e Profitti delle Società” da parte dell’Istat. Il ministro Pier Carlo Padoan ha addirittura colto l’occasione per twittare che «aumentano i redditi, scende la disoccupazione: le riforme strutturali funzionano. Italia usa bene la #flessibiltà». In realtà, il rapporto dell’Istat presenta un quadro molto più controverso di quello roseo dipinto dal Ministro e rimandiamo ad un post di Mario Seminerio sul suo blog Phastidio per una efficace disanima.
C’è da sperare che il balzo all’insù dell’estate 2015 non sia alla fine in buona parte il frutto delle tecniche di destagionalizzazione usate dall’Istat, peraltro. C’è infatti un aspetto “tecnico” che dovrebbe indurre ad un po’ più di moderazione nel commentare dati trimestrali. Ed è la fortissima “stagionalità” della serie storica. Infatti, l’Istat presenta nel comunicato stampa solo la serie storica “destagionalizzata”. E qui sta il problema. Perché la destagionalizzazione è un’arte più che una scienza. Esistono dei metodi statistici anche molto sofisticati per depurare i dati dalla stagionalità, ma funzionano bene sui fenomeni “fisici”. In economia, spesso, la stagionalità cambia nel tempo e questo può portare a scambiare lucciole per lanterne.
Mentre l’estate del 2015 è stata eccezionalmente secca e calda, l’estate del 2014 è stata la peggiore possibile da un punto di vista turistico. E la destagionalizzazione è un’arte più che una scienza
Il dato che commentava il Ministro è proprio relativo al terzo trimestre del 2015. Quindi, il trimestre che contiene i mesi estivi che hanno esibito una stagionalità molto peculiare negli ultimi anni, “sporcata” prima dagli effetti della crisi del debito sovrano e negli ultimi due anni dai fattori climatici. Mentre l’estate del 2015 è stata eccezionalmente secca e calda, l’estate del 2014 è stata la peggiore possibile da un punto di vista turistico. Inoltre, nel 2015 c’è stato l’Expo che un piccolo contributo positivo al turismo lo ha dato. È probabile, quindi, che le procedure di destagionalizzazione, applicando “correzioni medie” possano aver esagerato la componente strutturale positiva del miglioramento registrato nel trimestre estivo del 2015. Se questa congettura fosse vera, dovremmo aspettarci una compensazione in negativo nei trimestri successivi.
Detto questo, la ripresa, seppur modesta, c’è. I dati, anche quelli del mercato del lavoro, lo testimoniano. Ma, come il grafico sopra riportato mostra bene, siamo lontanissimi dal ritorno ad una situazione di normalità, tipo quella del periodo 1999-2008 dove pure l’economia italiana non brillava. A volo di gufo – pardon di uccello – basta una sola occhiata al grafico del reddito disponibile per capire la palude in cui è finita l’economia italiana e come sia assolutamente prematuro stappare lo champagne. Se guardiamo la serie storica del reddito disponibile delle famiglie consumatrici, sia nella versione grezza sia in quella destagionalizzata, capiamo al volo che esiste un vero e proprio break strutturale tra il periodo precedente la grande crisi del 2008 e quello successivo. Prima del 2008 il trend ascendente è estremamente chiaro. Dopo il 2008 la serie si stabilizza. Nel grafico, le tre righe orizzontali rappresentano il valore medio del reddito disponibile trimestrale nel periodo 2008-oggi, più o meno una deviazione standard. Esultare e presentare questi dati all’Europa come la prova del nove che le riforme funzionano è un po’ esagerato.
Lo champagne andrebbe stappato solo quando avremo la certezza di essere usciti dalla palude. Oggi i segnali sono ancora deboli e il contesto internazionale è così incerto che non ha molto senso illudere i concittadini e rischiare di perdere la credibilità. Una credibilità che invece bisognerebbe custodire perché potrebbe essere molto utile se le cose non dovessero andare nel verso sperato per ragioni indipendenti dalla volontà riformatrice di questo governo.