Nel nome di Luana, una lotta per restituire ai giovani un paese normale

Luana Ricca si è suicidata a 38 anni dopo una carriera folgorante in Francia da chirurgo e il rientro in Italia. «Un collega cui aveva offerto consigli le ha detto di restare al suo posto»

A scatenare il gesto di Luana è stata una frase buttatale contro da un collega del reparto di chirurgia. Il fratello, Francesco Ricca, 34 anni, non ha dubbi. «Me lo ha confidato. E il lavoro era l’unica cosa che la faceva soffrire. È successo durante uno dei primissimi interventi che le hanno fatto fare all’ospedale San Salvatore dell’Aquila, dopo qualche mese dall’inizio dell’incarico. Luana si è permessa di dare un suggerimento a un collega su un’operazione che avrebbero dovuto fare. E lui ha reagito azzittendola». Nello stesso periodo, racconta Francesco, Luana veniva spesso contattata dallo Ieo, l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, una delle eccellenze sanitarie italiane. «In occasione di operazioni complicate, la chiamavano per un confronto». Alle spalle aveva più di 1500 interventi di chirurgia, alcuni dei quali anche di 15, 16 ore, e una specializzazione in chirurgia del fegato, delle vie biliari, del pancreas e in trapianti di fegato.

A l’Aquila, una sera di fine dicembre, una delle poche in cui il marito non era potuto rientrare da Roma, la città in cui lavorava, Luana si è suicidata. Aveva 38 anni e alle spalle una carriera folgorante da chirurgo costruita in Francia, presso l’ospedale Paul Brousse. Era tornata in Italia da poco più di un anno per riavvicinarsi al marito e «per offrire il suo servizio al proprio paese», come era solita dire a Francesco. Dopo un anno allo IEO di Milano, aveva vinto un concorso presso l’Ospedale Regionale de l’Aquila. «In classifica è arrivata quinta. I primi quattro posti erano già assegnati. Al sesto posto è arrivato un ragazzo che già lavorava in quell’ospadale. Per non ostacolarlo, Luana ha accettato di lavorare i primi sei mesi nel distaccamento di Sulmona, facendo endoscopie digestive. Incredibile, per lei che aveva una posizione di primo chirurgo. Le avevano detto che il posto in chirurgia si sarebbe liberato da marzo 2016. Negli ultimi mesi dell’anno aveva iniziato a dividersi tra Sulmona e l’Aquila e aveva fatto i primissimi interventi da chirurga a l’Aquila. È stato durante uno di quelli che il collega le ha risposto in quel modo».

«Francesco ha creato un gruppo per raccogliere testimonianze di vittime delle logiche clientelari»

In questo «suo paese», Luana ha dovuto scontrarsi con logiche diverse da quelle francesi. «Qui conta chi porta voti, non chi ha buoni voti», sintetizza Francesco, giornalista proprietario di un gruppo editoriale. In quattro giorni il gruppo Facebook che ha creato ha raggiunto più di 1700 membri. Un numero in continua crescita. «Si aggiungono circa 250 persone al giorno. Nelle prime 24 ore lo hanno fatto in mille». Si chiama “Con e per Luana Ricca” e Francesco lo ha creato di istinto. Per ricordare Luana, certo. Ma anche per portare avanti una lotta contro il «sistema Italia» che le ha “ucciso” la sorella. «Le avevano fatto capire che a l’Aquila non avrebbe mai fatto carriera», aggiunge.

«Renzi vuole riportare gli expat in Italia; ma quale Italia offre? Quella che ha trovato mia sorella?»

«Ho immaginato un contenitore in cui chiunque possa portare la sua testimonianza di disagio, mobbing, difficoltà o angherie subite sul posto di lavoro, perché ostacolato da logiche clientelari», spiega Ricca, consapevole che sua sorella non è l’unica ad essersi sentita in trappola dopo aver lavorato all’estero, aver fatto carriera ed essere rientrate nelle logiche «marce» che non ti fanno diventare primo chirurgo finché non hai 40, 50 anni. «Mi chiedo se il Ministro Lorenzin sia in grado di farsi carico del disagio di questi giovani medici. Soprattutto se si considera che il governo Renzi di cui è parte ha detto a gran voce di voler riportare in Italia i talenti espatriati. Ma questi poveri cristi, che Italia trovano? Quella che ha trovato Luana?».

«Una radiologa rientrata dall’Inghilterra mi ha scritto di essersi ritrovata in un loculo»

Sono in molti a lasciare la loro testimonianza. Alcuni scrivono messaggi privati a Francesco. «Il più toccante è stato quello di una radiologa rientrata in Italia dopo anni in Inghilterra. Finita in un ospedale toscano, mi ha detto di essersi sentita in un loculo ogni singolo giorno passato là dentro. La emarginata solo perché veniva da fuori. Ha dovuto chiedere l’intervento del Ministero della Sanità per migliorare la sua posizione».

Francesco ha pronta una lettera aperta da inviare al Ministro Lorenzin. Immagina il suo gruppo proprio come un ponte tra giovani expat e un governo chiamato a svecchiare l’Italia, a liberarla dalle logiche folli che impediscono a menti fresce e brillanti di crescere, formarsi, fare carriera nei primi anni di vita professionale. E che non sa accogliere chi rientra dall’estero. «Chiedo al governo di avviare commissioni di inchiesta per far luce sulle logiche clientelari che dominano tutti i settori della Pubblica Amministrazione italiana, non solo la sanità».

«Mi ha molto colpito la morte di Luana, ma non mi ha stupito», scrive una signora sul gruppo. Sono una chirurga e so bene le difficoltà di chi fa questo mestiere, specie se è una donna. Spero davvero che in suo nome possiamo fare tutti qualcosa che scuota le coscienze di chi ci “dirige”.
Io ci sono».

«Al Governo Renzi chiedo di avviare commissioni di inchiesta per far luce sulle logiche opache che dominano la Pubblica Amministrazione»

«La mia solidarietà, dalle isole Canarie, Spagna. E un abbraccio forte», commenta un’expat. A farle compagnia, un’altra giovane emigrante: «Tre delle persone più brillanti intellettivamente e professionalmente che abbia mai conosciuto, hanno seriamente pensato o tentato il suicidio. Tutti e tre hanno avuto o hanno serie difficoltà lavorative, come stressor e trigger dello stato depressivo e dell’ideazione suicidaria. Tutti e tre sono nei loro 30 anni».

Davvero questa classe politica crede di poter continuare a ignorare il dramma dei giovani e dei trentenni? Di fatto non chiediamo altro che questo: che ci venga restituito un paese normale. Che funziona secondo razionalità e in nome di bene comune. Non di opachi interessi tribali.

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