Vanilla LatteObama saluta: salviamo l’America dai populisti

L’ultimo Stato dell'Unione targato Obama non è stato un bilancio dei due mandati. Ma un lungo e articolato affronto ai candidati repubblicani. Con il populismo di Trump in cima alla lista

Per il suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, il presidente Usa Barack Obama aveva promesso di consegnare al suo pubblico un messaggio differente rispetto al passato, e che avrebbe fatto del suo meglio per essere più breve dei precedenti. Non è riuscito a raggiungere quest’ultimo obiettivo, con il 16esimo speech più lungo dal 1966 a oggi (seppur quello di minor durata dal suo insediamento alla Casa Bianca), ma ha mantenuto la parola data relativamente ai contenuti. E chi si aspettava un semplice “victory lap”, un giro della vittoria in cui celebrare le scelte degli ultimi otto anni, è rimasto deluso.

L’ultimo SOTU (State Of The Union) targato Barack Hussein Obama, pubblicato sulla piattaforma social Medium prima ancora dell’intervento del presidente, non è stato un semplice elenco dei traguardi raggiunti dall’amministrazione democratica nel corso dei suoi due mandati, o una difesa di ufficio delle decisioni più controverse. Certo, il presidente ha – giustamente – voluto porre l’accento su molti dei suoi cavalli di battaglia, come l’uccisione di Osama Bin Laden, e sulle iniziative promosse in questi ultimi sette anni, come la riforma del sistema sanitario. Ma al tempo stesso, il presidente uscente ha voluto distinguersi guardando al futuro, concentrandosi sull’America del domani, esprimendo una visione, quasi tracciando un’agenda.

Il presidente uscente ha voluto distinguersi guardando al futuro, concentrandosi sull’America del domani, esprimendo una visione, quasi tracciando un’agenda

Una mossa insolita, per una personalità politica che, a partire dall’anno prossimo, sarà perennemente anticipata dal termine “ex”: i discorsi sull’avvenire della nazione, di solito, risultano più adatti per i candidati alla Casa Bianca, che non per chi, da quella magione a Washington, sta per fare le valigie. E proprio questo particolare, in un anno di elezioni, per molti osservatori confermerebbe che l’ultimo Stato dell’Unione targato Obama sia stato, in realtà, un lungo e articolato affronto ai candidati repubblicani, e in particolare a coloro che, magari con un pizzico di demagogia, dipingono l’America con toni catastrofici e apocalittici. «Chiunque sostenga che la nostra economia sia in declino sta spacciando delle falsità», ha dichiarato riguardo alle critiche degli avversari, a dispetto della ripresa economica post-2008 e agli incoraggianti numeri sull’occupazione. In politica estera, ha sottolineato che «l’America è la più potente nazione al mondo», nonostante l’emergere di altre potenze, e difeso il suo impegno nella lotta al terrorismo internazionale.

Pur mai menzionandolo direttamente, in tanti hanno letto lo State of the Unione come un attacco diretto a Donald J. Trump, il probabile front runner del Gop

Solo un breve passaggio sulle armi, al contrario delle previsioni, e nessun accenno agli ostacoli diplomatici con l’Iran, emersi qualche ora prima del discorso. Non è mancato un pizzico di autocritica, con il rammarico di non essere riuscito a unire il Paese come avrebbe voluto: dopo aver cavalcato l’ondata della speranza e del cambiamento nel 2008, promettendo di riassemblare i cocci di un’America profondamente divisa su tutte le principali questioni, Obama lascerà la Casa Bianca con una nazione forse più frammentata di prima.

Ma proprio da qui è partito l’invito per il futuro, a chiunque gli succeda e alla classe politica in generale, di mettere da parte i rancori e le divisioni per affrontare compatti le numerose sfide del futuro (la parola “together”, “assieme”, è stata utilizzata ben nove volte). Allontanando, anzi scacciando, elementi come la paura, le tendenze isolazioniste e il pessimismo. Ovvero, i punti di forza delle campagne elettorali di chi è in vetta ai sondaggi nel Partito Repubblicano. Pur mai menzionandolo direttamente, in tanti hanno letto lo State of the Unione come un attacco diretto a Donald J. Trump, il probabile front runner del GOP, il quale ha commentato con una manciata di tweet, bollando l’intervento di Obama come «noioso, lento e letargico – molto difficile da seguire!». Se il motto della campagna elettorale di Trump è “Make America Great Again”, “Rendiamo di nuovo grande l’America”, il discorso del presidente uscente si può sintetizzare allo stesso modo come una chiara risposta al magnate: “Non ce n’è bisogno: l’America è già grande”.

Difficile prevedere, oggi, se questo messaggio potrà influenzare, o meno, la corsa alla Casa Bianca, e le scelte degli elettori americani il prossimo novembre.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club