«Il nostro obiettivo? Vogliamo arredare gli uffici di Teheran». Ex architetto milanese, Marco Predari è uno dei soci di Universal Selecta, azienda specializzata nella produzione di pareti mobili. Da qualche tempo anche lui ha deciso di lavorare in Iran. È uno dei tanti imprenditori italiani che hanno fatto la stessa scelta. Protagonisti di realtà spesso poco conosciute, ma apprezzatissime all’estero. «Ho scoperto questo Paese e mi sono emozionato» ammette. Le opportunità di business sono enormi. Qualche mese fa Predari era nella capitale iraniana per partecipare a una missione istituzionale, a febbraio tornerà insieme a un’altra ventina di imprenditori. «La cosa che più mi ha sorpreso? C’è una grande attenzione verso l’Italia». Chi vuole fare affari con l’Iran resta colpito dalle prospettive di un Paese in crescita. Spesso Teheran assomiglia a un cantiere aperto. Infrastrutture, abitazioni, uffici… «Stanno costruendo molto, e hanno voglia di arredare con gusto». Il punto di forza resta la qualità del nostro disegno industriale. Ne sa qualcosa Paolo Fantoni, presidente del gruppo Fantoni. Presente in Iran nel settore dei mobili da ufficio, tra qualche settimana la sua azienda aprirà uno showroom nella capitale. Fino a pochi mesi fa riusciva a spedire nel porto di Bandar Abbas 300 container l’anno di pannelli per mobili. Dopo la fine delle sanzioni si aspetta di raddoppiare in breve tempo le esportazioni.
C’è una parte del nostro Paese che guarda l’Iran con interesse. Federlegno rappresenta oltre 3mila aziende italiane che lavorano la materia prima e si occupano di arredamento e design. Da qualche anno organizza almeno un paio di missioni all’anno a Teheran, portando ogni volta una quindicina di imprenditori. E così sono stati gettate le basi in vista della ripresa dei rapporti commerciali. Oggi sono molto ricercate le aziende che realizzano pannelli per mobili e quelle che producono maniglie (indiscussa eccellenza italiana). Senza dimenticare l’edilizia multipiano in legno, così richiesta in territorio sismico. «Adesso molte imprese sono pronte ad andare in Iran – racconta Predari – Ma noi ci siamo sempre stati».
Federlegno porta da anni gli imprenditori italiani in Iran. Oggi sono molto ricercate le aziende che realizzano pannelli per mobili e quelle che producono maniglie. Senza dimenticare l’edilizia multipiano in legno, così richiesta in territorio sismico
Finite le sanzioni, l’economia italiana sogna un business da mille e una notte. Non è un segreto: il nostro Paese ha sempre avuto ottimi rapporti commerciali con Teheran. Nel 2010 si registravano scambi per quasi 7 miliardi di euro. Dopo nove anni di embargo, si cerca di riprendere il discorso interrotto. Non è un caso se il presidente iraniano Hassan Rohani ha scelto proprio Roma per iniziare il suo breve tour europeo. Accompagnato da sei ministri e 120 industriali, il presidente iraniano è in Italia per aprire la nuova fase. Le grandi aziende italiane hanno già sottoscritto i primi contratti: si parla di accordi per 17 miliardi di euro. Commesse da 4 miliardi per Saipem, altrettante per il gruppo Gavio. Poi Fincantieri e la siderurgia: l’impresa Danieli ha firmato altri accordi commerciali per almeno 5 miliardi. Il gruppo Pessina costruirà cinque ospedali in Iran. Le Ferrovie dello Stato parteciperanno, attraverso Italferr e Italcertifer, allo sviluppo della rete ferroviaria iraniana (ieri è stato firmato un memorandum di intesa tra i ministri delle Infrastrutture e trasporti).
All’ombra dei grandi gruppi industriali, fa affari con l’Iran anche un’Italia meno conosciuta. Imprese che tengono alta la bandiera del made in Italy, portando nel mondo le nostre eccellenze industriali. Ad esempio la meccanica strumentale. Non tutti lo sanno, ma circa il 60 per cento delle nostre esportazioni verso Teheran riguarda macchinari. Sono realtà industriali spesso sconosciute, ma estremamente apprezzate fuori dai nostri confini. L’Assocomaplast è l’associazione che rappresenta i costruttori di macchine e stampi per materie plastiche e gomma. Non proprio un settore di nicchia: nel 2014 l’export verso l’Iran valeva 30 milioni di euro, più del doppio rispetto all’agroalimentare. E pensare che nel 2005, prima delle sanzioni, si superavano i 65 milioni di euro. «Tradizionalmente i costruttori italiani sono tra i primi fornitori delle aziende iraniane» racconta la responsabile marketing Stefania Arioli. Lo scorso novembre alcune aziende italiane sono andate in missione a Teheran. Una visita istituzionale di oltre 300 delegati per prendere contatto con gli imprenditori locali. Anche questo è business. Ma cosa si esporta in Iran? Il settore è ampio: macchinari per imballaggi, prodotti medicali, elettronica, tubi per edilizia. Il comparto che si sta sviluppando maggiormente, però, è la componentistica auto. Del resto il settore è in grande crescita. Dopo le sanzioni, l’Iran ha la necessità di rinnovare un parco veicoli di oltre 14 milioni di unità. In prospettiva, ci si attende un mercato da due milioni di immatricolazioni l’anno.
Dopo la meccanica, la chimica. Ecco un’altra realtà industriale che pochi conoscono. Eppure solo nel 2014 l’export verso Teheran di vernici e smalti ceramici ha prodotto un volume di affari di 26 milioni di euro. Ma ci sono anche 12 milioni di cosmetici, che evidentemente le donne persiane apprezzano
Dopo la meccanica, la chimica. Il secondo settore più rilevante nelle esportazioni verso l’Iran riguarda proprio i nostri prodotti chimici. Valgono l’8,4 per cento del totale. Ecco un’altra realtà industriale che pochi conoscono. Eppure solo nel 2014 l’export verso Teheran di vernici e smalti ceramici ha prodotto un volume di affari di 26 milioni di euro. Le donne persiane apprezzano anche i nostri cosmetici: nello stesso periodo il valore di queste esportazioni ha raggiunto i dodici milioni di euro. Senza dimenticare nove milioni di euro per più generiche materie plastiche.
Da un’eccellenza italiana all’altra, inevitabilmente si parla di agroalimentare. Oggi il mercato vale circa 13 milioni di euro. «Ma le potenzialità sono enormi» racconta Lorenzo Bazzana, tecnico economico della Coldiretti. Tanto che secondo alcune stime il nostro export verso Teheran potrà raggiungere i 40 milioni da qui al 2018. «Una cifra che potrebbe moltiplicarsi di 10 volte in 10 anni» spiegava ieri il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia. Anche in questo settore le sanzioni hanno inciso negativamente sulle nostre imprese. «Negli ultimi 10 anni – continua Bazzana – le nostre esportazioni verso l’Iran si sono dimezzate» Adesso si guarda al futuro, partendo dai prodotti che anche in questi anni abbiamo continuato a esportare verso la Persia. Soprattutto l’olio d’oliva, che da solo vale il 15 per cento del totale. Ma anche mangimi e oli vegetali. Quasi sempre si tratta di prodotti trasformati, solo il 20 per cento sono prodotti agricoli. Le potenzialità riguardano anche altri prodotti, più vicini all’immagine del Made in Italy. Gli esperti puntano sulla pasta. Un prodotto che al momento non sembra avere troppo successo – le esportazioni in Iran non superano i centomila euro – ma potrebbe decollare a seguito dell’apertura di Teheran verso il mondo occidentale. Per lo stesso motivo molti sono convinti che nei prossimi anni ci saranno grandi opportunità per l’industria dolciaria.
Di questo, e non solo, si occuperanno i ministri italiani che l’8 febbraio saranno in Iran per una nuova missione istituzionale. Ci sarà il titolare dell’Agricoltura Maurizio Martina, quello dei Trasporti Graziano Delrio e il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. La visita di Roma è stata una prima tappa. Il futuro dei rapporti economici dell’Iran è solo all’inizio.