Matteo Renzi la considera “la madre di tutte le battaglie”. I suoi oppositori ne denunciano polemicamente la deriva plebiscitaria. Ufficialmente si tratta di un referendum sulla riforma costituzionale. Nei fatti, è chiaro a tutti, è il passaggio elettorale più importante della legislatura. L’appuntamento è per il prossimo ottobre, quando gli italiani saranno chiamati a votare per confermare, o bocciare, il nuovo assetto istituzionale. Intanto la politica si prepara allo scontro: in ballo c’è il futuro del governo. Da una parte i renziani, dall’altra il composito fronte delle opposizioni. Si schierano gli intellettuali e i giuristi, politici del passato e aspiranti leader del futuro. Il primo effetto rischia di essere paradossale: quando gli elettori andranno al voto, il tema delle riforme passerà inevitabilmente in secondo piano.
Matteo Renzi è stato chiaro, si gioca tutto in autunno. «Se perdo smetto di fare politica». Il premier chiede agli italiani un voto su se stesso
Matteo Renzi è stato chiaro, si gioca tutto in autunno. «Se perdo – ha promesso anche stamattina – smetto di fare politica». Il referendum è un passaggio fondamentale della sua strategia politica. Mettendosi al centro della partita, il presidente del Consiglio chiede agli italiani un voto su se stesso. Due anni fa si è insediato a Palazzo Chigi senza passare per le urne. In caso di successo, otterrà quella legittimazione popolare che finora non ha ricevuto. Non solo. Accentrare l’attenzione mediatica sul referendum costituzionale offre un altro vantaggio. In caso di sconfitta alle amministrative di giugno, ci saranno meno ripercussioni sull’esecutivo.
Non è un mistero: per il Partito democratico le comunali rappresentano una partita difficile. Da Roma a Napoli, passando per Torino, la strada è tutta in salita. Spostando l’aspettativa sul voto di ottobre, Renzi mette al riparo il governo da eventuali débacle. Per ultimo, l’occasione referendaria servirà per marcare la nuova stagione politica. Dopo aprile – quando è in programma l’approvazione definitiva a Montecitorio – nasceranno i comitati referendari per il sì alla riforma. Sarà proprio attorno a queste iniziative che si formerà il partito renziano e cresceranno i futuri leader e dirigenti.
Dall’altra parte ci sono gli oppositori. Un fronte ampio e articolato, anche troppo. Il primo assaggio si è avuto ieri, quando il comitato per il no alla riforma si è riunito alla Camera dei deputati. Un incontro guidato da giuristi, intellettuali, accademici. A sentir loro, rappresentano l’opposizione «alla politica dei tweet e alla Repubblica delle slides». A guidare la battaglia contro la riforma renziana si riconoscono, tra gli altri, i costituzionalisti Stefano Rodotà, già candidato al Quirinale, Gaetano Azzariti e Massimo Villone. Con loro c’è Gustavo Zagrebelski che, impossibilitato a partecipare da un malanno, invia una lunga lettera contro il disegno governativo. La partecipazione del pubblico è innegabile. Tanto che all’ultimo momento gli organizzatori devono spostare l’appuntamento dalla sala della Regina alla più capiente aula dei gruppi, anch’essa gremita. I protagonisti dell’iniziativa attaccano la deriva autoritaria e l’inadeguatezza delle riforme. Anzi, delle “deforme” costituzionali. Applausi a scena aperta per l’avvocato Felice Besostri, volto noto della vittoriosa battaglia legale contro il Porcellum. «Avessimo saputo che il risultato era l’Italicum – racconta ironico – ci sarebbe da pentirsi».
Il fronte è ampio. In sala è ben rappresentata la sinistra, in tutte le sue realtà. Ci sono i deputati di Sinistra Ecologia e Libertà e gli ex esponenti del Partito democratico usciti in polemica con Renzi. Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre, Pippo Civati. Seduto in fondo si riconosce il segretario Fiom Maurizio Landini. Per alcuni leader spariti dalla circolazione è l’occasione del ritorno: Antonio Di Pietro, Cesare Salvi, Antonio Ingroia. Tra il pubblico c’è anche l’ex Dc Paolo Cirino Pomicino. Dalla prima alla terza Repubblica, a un certo punto si presenta il grillino Danilo Toninelli. Anche il Movimento Cinque Stelle assicura il proprio sostegno. I grillini non parteciperanno formalmente al comitato, spiegano. Ma daranno ugualmente il loro contributo alla battaglia referendaria. E la stessa cosa faranno, con altre iniziative, gli esponenti di centrodestra. Da Forza Italia alla Lega Nord.
In vista del referendum, molto si giocherà sul piano della comunicazione. Se davanti agli italiani il governo riesce a presentarsi come il partito del cambiamento, ai suoi oppositori spetterà il ruolo mediatico dei conservatori. Peggio, dei difensori della casta. Per loro diventa importante evitare la contrapposizione tra vecchio e nuovo, tra gufi e riformisti
La simbologia dello scontro è importante. Mentre è in corso la riunione del comitato per il no, Montecitorio approva con 367 voti la riforma. È il terzultimo passaggio parlamentare prima del varo definitivo. È una sfida a distanza: l’aula scelta dagli anti-renziani per lanciare l’attacco alla riforma è la stessa in cui, poche settimane prima, il premier aveva annunciato di essere pronto a dimettersi in caso di sconfitta al referendum. Se la partita politica è cruciale, molto si giocherà sul piano della comunicazione. I mesi di campagna elettorale che anticiperanno il voto saranno decisivi. Alcuni giuristi lo hanno capito e chiedono di fare attenzione: guai a cadere nella trappola del presidente del Consiglio. Se davanti agli italiani il governo riesce a presentarsi come il partito del cambiamento, a loro spetterà il ruolo mediatico dei conservatori. Peggio, dei difensori della casta. Bisogna riuscire a evitare la contrapposizione tra vecchio e nuovo, tra gufi e riformisti. Il terreno di scontro deve essere un altro, raccontano. Bisogna tenere alta l’attenzione sull’inadeguatezza delle riforme, evitando derive plebiscitarie sul premier. Insomma, spiega uno di loro, «noi non siamo incartapecoriti difensori delle virgole della Costituzione, siamo militanti dei suoi principi». Gli italiani capiranno la differenza?