A cosa servono davvero le bombe e i missili nordcoreani

La strategia di Pyongyang punta all’equilibrio internazionale: mantenere alta la tensione significa tenere vivi i legami con la Cina e, grazie all’importazione del petrolio, anche la prosecuzione del regime

Una grande manifestazione a Pyongyang, seguita da uno spettacolo di fuochi artificiali, ha celebrato il successo missilistico della Corea del Nord. L’annunciatrice della televisione di Stato si è augurata che «il futuro della tecnologia spaziale della Corea del Nord continui a progredire ed a risplendere come questi fuochi artificiali».

Per la quarta volta (dopo il 2006, il 2009 ed il 2013), si è ripetuto il copione di un lancio di un razzo – ufficialmente per mandare in orbita un satellite – abbinato a un test nucleare a poche settimane di distanza. Il missile Kwangmyongsong può essere utilizzato sia per lanciare un satellite in orbita sia per spedire una testata nucleare sul territorio nemico.

Anche stavolta, però, le cose non sembrano essere andate proprio come dovevano. Nonostante le dichiarazioni ufficiali, e come avevamo anticipato qui solo poche ore dopo, la supposta bomba termonucleare si è rivelata o una bomba atomica più grossa del normale o una bomba a fusione-fissione e il NORAD ha verificato poche ore fa che il satellite Kwangmyongsong 4, portato in orbita il 7 febbraio, continua a capovolgersi su se stesso. È un chiaro segnale che si trova fuori controllo: un satellite artificiale che non riesce a stabilizzarsi non è in grado né di orientare i suoi strumenti né di puntare le antenne sulle stazioni di terra per comunicare con il centro controllo missione.

Per il momento, quindi, Kim Yong-un possiede ordigni atomici e missili in grado di raggiungere un’orbita terrestre. Ma non ha potuto ancora dimostrare che i suoi scienziati sono in grado di realizzare testate atomiche miniaturizzate per essere davvero caricate sui missili, così come non ha dimostrato di avere a disposizione missili intercontinentali in grado di guidare le testate fino al loro obiettivo.

Non è detto che la raffica di sanzioni che colpiscono la Corea del Nord da 13 anni possano costringerla a trattare con il resto del mondo come è invece successo in Iran.

Nonostante questo, Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito poche ore dopo il lancio per richiedere nuove sanzioni contro Pyongyang che «minaccia la pace e la sicurezza internazionale». Otto nazioni, insieme all’Unione Europea ed alla Nato, si sono affrettate a condannare il lancio. Gli Stati Uniti e la Corea del Sud hanno cominciato a discutere il dispiegamento del sistema antimissile THAAD sul territorio di Seoul aumentando, di conseguenza, le tensioni con la Cina, a sua volta preoccupata che questi sistemi missilistici non siano destinati esclusivamente a contenere lo scomodo vicino.

La Corea del Nord è già sotto l’embargo internazionale prodotto da ben 8 sanzioni del Consiglio di Sicurezza Onu, dalla 0825/1993 all’ultima (per il momento) 2087/2013 passata con un voto di 15 a 0 proprio in seguito alla penultima accoppiata lancio di un missile più test atomico.

Il combinato disposto delle sanzioni prevede l’embargo totale di armi e materiali bellici, in particolare armi chimiche, biologiche, nucleari e tecnologie ad esse collegate, materiali e tecnologie aerospaziali, congelamento dei fondi e delle risorse economiche detenute all’estero, limiti alle esportazioni ed alle importazioni, in particolare la proibizione di importare prodotti di lusso.

Il Senato degli Stati Uniti ha approvato (con voto di 96 a 0) l’inasprimento delle sanzioni, focalizzate a ostacolare la produzione di armi di distruzione di massa, abusi dei diritti umani, attacchi informatici – come quello che ha recentemente messo in ginocchio la Sony. La Seconda Camera del parlamento Usa si sta affrettando a ratificarle.

Numerosi sono i segnali che confermano le intenzioni esclusivamente propagandistiche di Kim Yong-un. Sa bene che, per evitare il collasso del proprio regime, deve garantire rifornimenti di energia all’esercito, al partito, allo Stato e, infine, anche al popolo.

Ma Yoon Dong Hyun, vice direttore del Ministero delle Forze Armate Popolari, ha dichiarato durante le celebrazioni che la Corea del Nord continuerà orgogliosamente a sviluppare il proprio programma missilistico alla faccia delle sanzioni internazionali: «Gli sforzi per bloccare il nostro progresso tecnologico avranno lo stesso risultato dei latrati di un cagnolino che abbaia alla Luna».

Non è però detto che la raffica di sanzioni che colpiscono la Corea del Nord da 13 anni possano costringerla a trattare con il resto del mondo come è invece successo in Iran.

Secondo Richard Fisher, vice presidente del Centro Internazionale di Valutazione e Strategia, la maggior parte delle banche nordcoreane finanziano il commercio, le importazioni e i programmi d’armamento tramite la Cina, che si pone come intermediario per l’ingresso di materiali proibiti.

Finché il governo cinese non eserciterà lo stesso livello di vigilanza e controllo esercitato dalle altre nazioni per impedire queste triangolazioni, dice Thomas Countryman, vice segretario di Stato Usa per la sicurezza internazionale e la non proliferazione, le sanzioni risulteranno inefficaci e Pyongyang potrà continuare a acquistare tramite Pechino i materiali e gli equipaggiamenti necessari per i propri programmi missilistici e nucleari. La Cina è un partner storico e in passato ha sempre sostenuto la dinastia dei Kim anche allo scopo di indebolire il Giappone e la Corea del Sud.

Ma Pechino si è sempre pubblicamente lamentata per motivi umanitari delle risoluzioni Onu che impediscono l’esportazione di petrolio verso la Corea del Nord. Dal gennaio 2013, le esportazioni di greggio cinese verso questo Paese sono scese da circa 500 mila tonnellate/anno a zero, almeno secondo i resoconti ufficiali. Sono falliti i tentativi di rimpiazzare il petrolio cinese con quello russo: secondo il governo sudcoreano, fino al 2014 dalla Russia sono arrivate solo 100 mila tonnellate all’anno.

È chiaro che la prima scelta in fatto di carburanti e derivati venga destinata a sostenere l’enorme esercito di Pyongyang, ma non si notano ripercussioni negli altri settori: il commercio, i trasporti, e persino il già basso tenore di vita della popolazione non sembrano avere risentito della ipotetica mancata importazione di carburanti.

Numerosi sono i segnali che confermano le intenzioni esclusivamente propagandistiche di Kim Yong-un. Sa bene che, per evitare il collasso del proprio regime, deve garantire rifornimenti di energia all’esercito, al partito, allo Stato e, infine, anche al popolo.

Per mostrarsi forte all’estero ha risposto minacciando la chiusura e l’esproprio delle attività nel complesso industriale di Kaesong: una zona franca al confine fra le due coree, dove 120 compagnie sudcoreane investono nella produzione di beni fabbricati da manodopera in prevalenza nordcoreana e che fornisce a Pyongyang un flusso di denaro stimato in 515 milioni di dollari da quando è stato aperto nel 2004.

Per mostrarsi forte all’interno non ha esitato a fare trapelare proprio ora l’ennesima condanna a morte di un esponente di primo piano. Questa volta a dare l’esempio è stato il generale Ri Yong-gil, capo di stato maggiore dell’esercito nordcoreano, giustiziato con un’accusa di tradimento destinata a fare riflettere tutta la corte del giovane e ambizioso leader.

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