«Voglio venire a lavorare con te, Ludovico». Ludovico è Ludovico Muscatello, 24 anni ancora da compiere, giovane nipote di Salvatore Muscatello, anziano e potente boss della ‘ndrangheta al Nord. A voler lavorare con Ludovico è il cugino di dieci anni. “Cercava di seguire le orme del cugino Ludovico – scrive il gip Andrea Ghidetti nell’ordinanza che la scorsa settimana ha portato in carcere il 24enne giovane leva della ‘ndrangheta installata a Mariano Comense – in quanto a dire del bambino Ludovico era una persona temuta anche per la sua appartenenza alla famiglia Muscatello”.
Il piccolo è figlio di Domenico Muscatello, arrestato anche lui nel corso della stessa inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Milano che ha colpito la locale di ‘ndrangheta di Mariano Comense, una delle più radicate in regione. A casa dell’anziano boss Salvatore, condannato a 16 anni nel processo scaturito dall’inchiesta “Infinito”, le videocamere degli investigatori dell’antimafia hanno filmato processioni di affiliati alle cosche, politici e imprenditori in cerca di voti e sostegno alle attività economiche.
Salvatore Muscatello non si fidava ciecamente del giovane Ludovico ma, scrivono gli agenti del Ros nel corso delle indagini sul clan, «le figure dei cugini Stjven e Ludovico i quali oltre al legame di sangue con il nonno Salvatore sono da questi considerati come suoi successori in ambito criminale». Ludovico, professione buttafuori, non è ancora destinatario di grossi incarichi, ma per il piccolo cugino è già un modello da imitare, con i suoi arresti per armi e droga e un proiettile rimediato fuori da una discoteca qualche mese fa.
Di modelli e miti è fatto il mondo della mafia, e non è un caso che Domenico Muscatello, padre del piccolo cugino di Ludovico “si compiaceva del fatto – scrive ancora il gip di Milano Andrea Ghinetti – che il figlio di appena dieci anni facesse già determinati ragionamenti”. L’attrazione delle nuove leve per il mondo del crimine è linfa vitale per la criminalità organizzata, e gli stessi adulti indirizzano bambini e ragazzi fin da piccoli.
L’attrazione delle nuove leve per il mondo del crimine è linfa vitale per la criminalità organizzata, e gli stessi adulti indirizzano bambini e ragazzi fin da piccoli
La trasmissione della cultura criminale è un collante tra le generazioni. Nel corso di una inchiesta del 2001 sull’infiltrazione delle cosche nel basso Lazio una intercettazione ha testimoniato la pedagogia criminale dei boss. Una vera e propria lezione di mafia. Da lì è nata in questi anni la prassi del tribunale di Reggio Calabria di togliere i minori alle famiglie di ‘ndrangheta per indirizzarli verso altre coppie o comunità.
A oggi, applicando il protocollo “Liberi di scegliere” al tribunale di Reggio, sono 30 i minori allontanati da genitori mafiosi, e il numero è destinato a crescere. «Chi critica questa misura sostiene che sia una intromissione intollerabile nell’ambito familiare. Però dobbiamo capire una cosa: il clan mafioso impartisce ai suoi rampolli regole opposte a quelle naturali», ha detto a L’Espresso il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho. L’allontanamento dei minori avviene in particolare dopo la condanna definitiva dei genitori e soprattutto quando gli inquirenti tramite le indagini appurano l’educazione mafiosa impartita ai figli dalle famiglie.
«Chi critica questa misura sostiene che sia una intromissione intollerabile nell’ambito familiare. Però dobbiamo capire una cosa: il clan mafioso impartisce ai suoi rampolli regole opposte a quelle naturali»
Una prassi che, mormora qualcuno, non dovrebbe funzionare solo in un tribunale del sud, ma che dovrebbe essere applicata anche in altri tribunali al nord, dato che «anche qui i soldati in erba della ‘ndrangheta preparano le loro scalate al potere criminale».