L’opinioneEcco perché con l’utero in affitto la donna è sempre sfruttata

Lo sfruttamento più o meno brutale del corpo della donna, comunque la si voglia mettere, è all’origine della genitorialità omo o etero che ad essa ricorre. Ed è questo il punto eticamente inaccettabile. Che nessuna idea astratta di libertà, nessuna concezione dei diritti può cancellare

C’è chi si meraviglia che molte donne di sinistra, femministe che hanno combattuto per l’emancipazione e per la liberazione del loro sesso, oggi si ritrovino a fianco di un fronte conservatore, quando non reazionario, contro la stepchild adoption o, per usare parole italiane, contro quell’articolo della legge sulle unioni civili che nelle coppie omosessuali prevede l’adozione del figlio di uno dei partner.

Eppure non c’è da meravigliarsi, perché se il fine può essere comune, non sono comuni i motivi che spingono a questa battaglia né le finalità generali.

Le femministe sono favorevoli alle unioni civili, pensano che i gay debbano avere gli stessi diritti degli eterossessuali, non difendono la famiglia “naturale” come unico luogo degli affetti e della procreazione. La loro battaglia è contro lo sfruttamento del corpo femminile che è implicito e inevitabile quando un omosessuale maschio vuole diventare padre, ma che, è bene dirselo, è diffuso e praticato soprattutto dalle coppie eteresessuali che non possono avere figli e che non vogliono rinunciare ad una genitorialità biologica. Quel bambino che l’omosessuale vuole e vuole fare adottare al suo partner e che l’eterosessuale pretende a tutti i costi con i suoi cromosomi ha comunque una madre. Una donna che per quella gravidanza è stata pagata. Lo sfruttamento più o meno brutale del suo corpo, comunque la si voglia mettere, è all’origine della genitorialità omo o etero che ad essa ricorre. Ed è questo il punto eticamente inaccettabile. Che nessuna idea astratta di libertà, nessuna concezione dei diritti può cancellare. Quale è infatti la libertà di quella donna se non quella di farsi sfruttare? E che diritti sono quelli di una genitorialità – omo o etero che sia – se essi, per essere esercitati, hanno bisogno che un essere umano femminile venda se stesso?

Lo sfruttamento più o meno brutale del corpo di una donna, comunque la si voglia mettere, è all’origine della genitorialità omo o etero che ad essa ricorre. Ed è questo il punto eticamente inaccettabile

Questa è la battaglia di parte consistente del mondo femminista. Che, per quanto mi riguarda, non ha nulla di difensivo o, ancor peggio, di corporativo. Non vuole cioè il potere esclusivo della madre, né la prerogativa assoluta alla procreazione. Che è grata a molti progressi della scienza e della tecnica che consentono una genitorialità più semplice e felice. Ma che non è disponibile ad essere sottomessa ad essi, ad un loro uso indiscriminato e subalterno. La scienza e la tecnologia possono suggerirci un cambiamento, farcene intravedere la possibilità, agevolarlo, ma la qualità, la finalità di questo non può che venire dalla decisione degli uomini e delle donne.

La discussione sulla gravidanza surrogata o sull’utero in affitto e le possibilità scientifiche e tecniche che esse presuppongono possono darci nuovi suggerimenti, possono consentirci di pensare un salto rispetto alla nostra concezione della famiglia, della maternità e della paternità. Un salto in avanti che ci coivolge tutti: uomini e donne etero e omosessuali. E che dovrebbe trovare istituzioni pazienti, comprensive e capaci di collaborazione, di elaborazione e di rottura. Dovremmo cominciare a pensare che la maternità e la paternità biologiche, così come la cosidetta “famiglia naturale”, possono essere affiancate da forme diverse, forse più generose e audaci nel rapporto con i piccoli della specie. Dovremmo insomma far maturare in noi una nuova genitorialità che non si rivolga solo a coloro che possiedono i nostri cromosomi, ma a chiunque abbia bisogno di essere curato, allevato e educato. Una legge che allarghi le adozioni che le renda più facili, che consenta anche agli omosessuali e ai singoli di ricorrervi, che possa essere richiesta anche dalle coppie non sposate, che sia desiderata e praticata anche da chi ha già figli naturali è un modo concreto di essere genitori fuori dalle regole della biologia e per resistere ad una tecnica che certo può cambiare molte cose ma è cieca, non conosce il limite ed è disponibile a seguire i desideri di chi ha denaro e potere.

Dovremmo far maturare in noi una nuova genitorialità che non si rivolga solo a coloro che possiedono i nostri cromosomi, ma a chiunque abbia bisogno di essere curato, allevato e educato. Una legge che allarghi le adozioni che le renda più facili, che consenta anche agli omosessuali e ai singoli di ricorrervi

Nel caso della maternità e della paternità quelli degli uomini e delle donne ricchi o benestanti che ai loro desideri non vogliono porre confini. E che in loro nome di non esitano a conderare alcune donne povere contenitori senza anima e senza relazioni, il cui unico tragico movente è il bisogno. Perché chi desidera un bambino invece che ricorrere all’utero di quelle donne non pensa di amare, allevare e curare uno dei tanti bambini che oggi arrivano disperati dai paesi distrutti dalla guerra e dalla fame? O meglio, perché le istituzioni non facilitano e non incoraggiano questi incontri, questi sentimenti, questi legami che possono nascere e crescere nel mondo che cambia. L’immigrazione – ormai chiaramente fenomeno epocale e non, come si è detto per troppo tempo, emergenza – non può essere una occasione feconda per cambiare anche qualcosa nel nostro modo di concepire la genitorialità e la cura della specie?

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