Josè è nato in Ecuador, America Latina. In Italia è arrivato quasi vent’anni fa, poco più che maggiorenne. Di professione, fa l’autista. La scorsa settimana è stato fermato senza permesso di soggiorno a Milano e portato nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Torino. E per lui è scattato il rimpatrio.
Peccato però che Josè il 5 febbraio scorso sia finito su un aereo diretto in Africa. Fortuna ha voluto che all’appello sul volo, prima del decollo, un poliziotto abbia notato che il suo nome non era sull’elenco. «Tu che ci fai su questo volo?», gli hanno chiesto. E così ha slacciato la cintura ed è stato fatto scendere dall’aereo. «A confondere gli agenti, probabilmente, è stato l’aspetto afro-latinoamericano di Josè», spiega il suo avvocato, Antonino Lo Verde. «Lo hanno legato. E non gli è stato neanche detto in quale Paese del continente africano era diretto l’aereo». Così stava per essere espulso in un Paese che non era il suo. Succede anche questo, nell’Italia rimproverata dalla Ue per aver fatto pochi rimpatri: “soli” 14mila nel 2015.
Nella fretta di mandarlo via, stava per essere espulso in un Paese che non era il suo. Succede anche questo, nell’Italia rimproverata dalla Ue per aver fatto pochi rimpatri
Al di là della scena semicomica, in realtà, il caso di Josè è più complicato di quello che sembra. Il permesso di soggiorno gli era stato revocato a seguito di una condanna per maltrattamenti ai danni della moglie, anche lei ecuadoregna, arrivata in Italia qualche anno dopo di lui. Così è rimasto senza documenti. Josè si è fatto qualche mese di carcere e qualche altro ai domiciliari, proprio a casa con la moglie. «Nel frattempo ha recuperato il rapporto con la moglie e con il figlio. È stata questa la sua riabilitazione», spiega l’avvocato. Tant’è che Josè e sua moglie, risolti (così racconta lei) i problemi coniugali, sono in attesa di un’udienza davanti al Tribunale per i minorenni di Milano, che deve decidere a breve se l’eventuale espulsione del padre sia opportuna per il bene del bambino. A seguito di questa decisione, gli potrebbe venire restituito il permesso di soggiorno per motivi familiari.
«Anche perché Josè è l’unico in famiglia a essere fonte di reddito. La moglie lavora qualche ora a settimana come domestica in diverse case milanesi e di certo non riuscirebbe a mantenere da sola lei e suo figlio», spiega l’avvocato. «Se venisse espulso dovremo chiedere il ricongiungimento familiare per farlo tornare».
Il problema, però, è che magistratura e prefettura non sono coordinati. E mentre i magistrati cercano di capire se è il caso o no di rispedirlo in Ecuador, la prefettura ha già deciso per il rimpatrio.
Così, in attesa dell’udienza, dopo la confusione del volo diretto in Africa, la sera del 10 febbraio Josè stava per essere rispedito da Milano Malpensa in Ecuador. Stavolta, sul volo giusto. Ma anche questa volta è rimasto in Italia. «Ha urlato più volte che non voleva partire», racconta l’avvocato. «Poi ha sbattuto la testa nella cabina dell’aereo così tanto da procurarsi una serie di ferite al volto. Alla fine non lo hanno fatto partire». Josè è stato riportato al Cie di Torino, tenuto in isolamento, senza mangiare e bere per molte ore. «L’unica cosa che ci resta da fare ora», dice l’avvocato, «è chiedere la protezione internazionale sussidiaria. In attesa dell’udienza del Tribunale dei minori, con questa richiesta non cercheranno di mandarlo più a casa». O forse in Africa.