Emma Bonino: un vergognoso Occidente lascia soli Turchia e Medio Oriente

La serie impressionante di attentati in Turchia. Secondo Emma Bonino non c'è una "strategia della tensione" da parte di Ankara. Ma vengono al pettine i nodi irrisolti di una politica ambigua ed egoista. Anche nostra

Negli ultimi mesi la Turchia è stata vittima di una serie impressionante di attentati. Dalla strage di giovani a Suruc al devastante attacco alla manifestazione dei partiti di sinistra e filo-curdi ad Ankara, dal kamikaze di Istanbul contro un gruppo di turisti tedeschi alla recente autobomba di Ankara contro i militari, per citare i principali. «La Turchia è in guerra sia all’interno che all’esterno», spiega Emma Bonino, ex ministro degli Esteri ed esperta di Medio Oriente.

Onorevole Bonino, secondo lei quanta responsabilità hanno il presidente Erdogan il governo Davutoglu per l’attuale situazione di instabilità?

Il governo turco ha sicuramente parte della responsabilità, in particolare nella rottura del dialogo col Pkk (partito marxista curdo turco considerato da Ankara un’organizzazione terrorista ndr.), i cui attentati – di reazione forse, ma comunque non giustificabili – non hanno certo migliorato la situazione. Un’altra grave responsabilità poi è quella di vedere ovunque complotti internazionali, censurare e arrestare i giornalisti.

Che conseguenze porta questa condotta dell’esecutivo?

Al momento in Turchia la situazione è fragile da un punto di vista economico, dura da un punto di vista delle libertà fondamentali e l’approccio alla questione curda è destabilizzante, tanto da un punto di vista delle politica interna che da quello della politica estera.

In passato la Turchia ha consentito il passaggio di migliaia di jihadisti sul proprio territorio per farli entrare in Siria, a combattere contro i curdi e contro Assad. Ora c’è un problema di jihadisti di ritorno

E per quanto riguarda gli attentati di matrice jihadista? Vede responsabilità del governo?

Per Erdogan e per l’esecutivo la priorità è sempre stata combattere il Pkk e l’Ypg (la sigla dei guerriglieri curdi siriani ndr.) più che non l’Isis. In passato ha consentito il passaggio di migliaia di jihadisti sul proprio territorio per farli entrare in Siria, a combattere contro i curdi e contro Assad. Ora c’è un problema di jihadisti di ritorno. Da quando l’intervento militare della Russia ha portato alla chiusura della “autostrada della jihad”, il corridoio che dalla Turchia portava combattenti nel nord della Siria, molti combattenti stanno ripercorrendo la stessa strada ma al contrario.

Alcuni analisti hanno ipotizzato che dietro alcuni attentati, in particolare quello di Ankara contro la manifestazione filo-curda, ci potesse essere la mano dei servizi turchi.

Mi pare francamente eccessivo, ritengo si tratti di speculazioni.

Come valuta la politica estera del governo turco?

Con Erdogan e Davutoglu per la Turchia è finita l’era del zero problem con i vicini, che era la linea tradizionale in politica estera. Ora siamo in una situazione di zero soluzioni.

Un fallimento insomma?

La scelta neo-ottomana, di guardare cioè verso il Medio Oriente, che è stata anche motivata dal tradimento europeo delle aspettative turche di entrare nella Ue, di sicuro è fallita.

In Siria Ankara si è infilata in un vicolo cieco?

Come dicevo, la priorità politica per la Turchia è la questione curda. La paura, l’ossessione è che nasca un’entità curda in Siria – se non uno Stato – ai propri confini. Ankara sta ammassando truppe al confine con la Siria per evitare il congiungimento dei territori curdi siriani, perché quella sarebbe la sua peggiore sconfitta..

Dovremmo assumerci responsabilità umanitarie – cosa che vergognosamente non stiamo facendo – ed essere più credibili anche sulla questione profughi. Non possiamo andare in Turchia a chiedere di aprire le frontiere con la Siria, quando noi stiamo chiudendo le nostre verso la Turchia stessa

Come valuta la gestione dei profughi siriani da parte della Turchia?

Anche i profughi vengono ora usati in funzione anti curda. Dove si stanno ammassando i rifugiati in queste settimane, a nord di Aleppo, la Turchia sta creando di fatto una “safe zone” – che poi non è affatto “safe” visto che nessuno la protegge – che faccia da cuscinetto per impedire l’unificazione dei cantoni curdi della Rojava. Ci sono dieci campi profughi in questa zona, sena acqua corrente, senza elettricità, senza fognature. Ankara usa i profughi quasi come scudi umani, lascia che attraversino il confine col contagocce.

Che soluzioni vede per il conflitto?

È una guerra tra di loro. Damasco, Teheran, Riad e Ankara devono trovare un accordo. Ognuna di queste capitali ha “suoi” gruppi armati in Siria, più o meno moderati, e la situazione non può essere risolta con l’Occidente che bombarda di più questa o quella fazione. Devono essere loro a trovare un’intesa. Finora i tentativi negoziali che sono stati calati dall’alto, con Mosca e Washington presenti ma senza gli attori regionali, sono tutti nati morti.

Quindi non c’è nulla che possiamo fare?

Possiamo favorire il dialogo ma l’accordo devono farlo loro. Poi dovremmo comunque assumerci responsabilità umanitarie – cosa che vergognosamente non stiamo facendo – ed essere più credibili anche sulla questione profughi. Non possiamo andare in Turchia a chiedere di aprire le frontiere con la Siria, quando noi stiamo chiudendo le nostre verso la Turchia stessa. Qui ospitano milioni di rifugiati, e lo stesso discorso vale per la Giordania e il Libano, mentre la Ue va in fibrillazione per molto meno. È ipocrita