Sono settimane, ormai che la Grecia brucia. La stampa internazionale si è soffermata in questi giorni sui violenti scontri di piazza che hanno coinvolto gli agricoltori, circa duemila, quasi tutti provenienti dall’Isola di Creta. Chiedono sia ritirato il piano proposto dall’Unione Europea contro l’aumento delle tasse e la riforma delle pensioni. Una riforma che prevede il taglio alla pensione massima erogabile dalla previdenza pubblica – da 2700 ai 2300 euro – e la garanzia di un assegno minimo, circa 380 euro mensili, solo a chi avrà accumulato almeno quindici anni di versamenti.
Gli scontri, durissimi, hanno spinto il governo guidato da Alexis Tsipras a schierare le forze dell’ordine davanti al Ministero dell’Agricoltura, le quali, fatte oggetto del lancio di pietre e ortaggi, hanno reagito usando gas lacrimogeni e granate assordanti, nonché arrestando cinque manifestanti. I media ellenici hanno calcolato che, per numero di partecipanti ai cortei e di scioperanti, la mobilitazione contro il leader di Syriza è paragonabile a quelle del 2012-2013, che avevano opposto una strenua resistenza ai governi socialisti e conservatori.
Non è un caso isolato, insomma: già dal 12 novembre 2015 – a due mesi dall’entrata in carica del governo – i sindacati greci proclamarono 24 ore di sciopero ad oltranza per protestare contro l’aumento delle tasse e la riforma delle pensioni, bloccando i servizi pubblici, i trasporti, e provocando la cancellazione di alcuni voli interni. E già lo scorso 4 febbraio le strade e le piazze di Atene e delle altre principali città greche si erano riempite di lavoratori, studenti, disoccupati e cittadini per lo sciopero generale convocato da diversi sindacati e organizzazioni di categoria contro le misure antipopolari del governo, giudicate non dissimili da quelle dei precedenti governi che Syriza aveva criticato.
Ora la situazione sembra ripetersi. Infatti, con una recessione che sembra ancora attanagliare la Grecia – certificata giorni fa da El. Stat, istituto di statistica ellenico, che registrerebbe un calo del Pil dello 0,6% per il quarto trimestre del 2015 rispetto ai tre mesi precedenti. A questo si sommi lo spread decollato fino a quota 1000, che ha cancellato in pochi giorni i passi avanti nella riduzione del debito pubblico. Il responsabile del Fondo Monetario Internazione per la Grecia, Poul Thomsen, ha avvertito che senza un piano realistico per la sostenibilità del debito, cioè nuovi interventi di austerity, che sfiora ormai quota 180% del Pil, «presto i timori di Grexit si riaffacceranno».
Il problema, per Tsipras, è che la piazza è tutto fuorché “apolitica”. Nello sciopero degli agricoltori, per esempio, sono stati visti militanti di Alba Dorata – nota formazione neonazista in ascesa elettorale – radicata nei paesi agricoli in Grecia e pronta a tirar fuori l’ennesimo capro espiatorio: l’immigrazione. Infatti, diversi video postati sui social network – Facebook, Twitter ecc. – testimoniano che vari manifestanti usano e lanciano slogan contro i migranti, come “La Grecia ai greci”. La testata di estrema destra Il Primato nazionale, organo di Casa Pound, legata ad Alba Dorata, registrava che il governo «messo in grossa difficoltà dalle proteste provenienti da diversi settori dell’economia greca, cerca di distrarre l’attenzione pubblica e di giustificare le azioni repressive contro i manifestanti, addossando la regia degli scontri ad Alba Dorata». Peraltro, uno degli agricoltori arrestati, Panagiotis Passaras, era un militante neonazista, legatissimo all’ex parlamentare di Alba Dorata Sthatis Boukoura.
Poul Thomsen, ha avvertito che senza un piano realistico per la sostenibilità del debito, cioè nuovi interventi di austerity, che sfiora ormai quota 180% del Pil, «presto i timori di Grexit si riaffacceranno»
È errato, però, appiattire la protesta all’estrema destra. Infatti, è il KKE, il Partito Comunista di Grecia, il movimento più critico nei confronti del governo Tsipras, rivendicando la sua contrarietà alle riforme governative. La presenza in piazza del Pame, il suo sindacato, a fianco degli agricoltori lo dimostra: «Gli agricoltori che hanno preso parte alle manifestazioni dei lavoratori con i loro trattori, per simboleggiare la lotta comune della classe lavoratrice insieme ai poveri e ai piccoli agricoltori – si legge sul loro sito ufficiale –. Migliaia di lavoratori di tutto il paese hanno lottato la mattina davanti alle fabbriche per difendere lo sciopero davanti alle fabbriche, ai negozi, ai servizi, ai porti contro l’apparato spezza-scioperi dei padroni. Le industrie e i servizi sono stati costretti a chiudere in tutto il Paese». Parlando del ruolo di Syriza al governo, il segretario comunista Dimitris Koutsoumpas ha messo agli atti parole di fuoco contro Syriza: «Come altro si può definire, se non uno sporco lavoro, l’intento di pacificare e ingannare il movimento popolare mentre si mette mano in senso reazionario al sistema della previdenza sociale?». Secondo il politico, euroscettico, «nella guerra scatenata da governo-capitale-UE, volta a seppellire il sistema previdenziale, la classe operaia e il popolo devono dare risposta al vero dilemma: sottomissione al macello o sollevazione popolare?».
Tsipras oggi ha altre preoccupazioni, però: soprattutto, che alcuni suoi deputati non votino il ddl economico. Cosa che l’ha portato a incontrare il leader del Pasok Fofi Genminata, il centrista Loventis e il leader della sinistra democratica Fotis Kouvellis proponendo loro di entrare in maggioranza per guadagnare diciotto seggi. Nel frattempo, però, l’opposizione cresce: contro Tsipras si sono schierati il conservatore Kyriaos Mitsotakis, che sta girando il paese per mobilitarsi contro il governo e soprattutto l’ex amico Yanis Varoufakis, il cui nuovo partito, Democrazia nel Movimento Europeo 2025 (DiEM 2025), è costruito attorno a una piattaforma euroscettica: «Tsipras esegue quello che ordina la Troika», ripete ossessivamente.
«Tsipras ha deciso di andare al referendum, con le banche chiuse. Lui e Varoufakis speravano di perderlo e di dimettersi con dignità»
Riguardo alle sue dimissioni nell’estate 2015, peraltro, sono interessanti le rivelazioni di Dimitris Yannopoulos, suo ex-portavoce. Dimissioni che risalirebbero non a luglio bensì ai giorni tra il 20 e il 24 febbraio 2015: «Ha negoziato per quattro mesi con la Troika sapendo che non avrebbe ottenuto niente, mentre l’economia si stava disintegrando. Il 25 giugno, alla fine della proroga di quattro mesi, la Troika ha dato l’ultimatum: accettare il piano o uscire dall’euro. Tsipras ha deciso di andare al referendum, con le banche chiuse. Lui e Varoufakis speravano di perderlo e di dimettersi con dignità». Su Varoufakis dice: «Gli fu ordinato di dimettersi da Berlino quella notte (come ha scritto lui stesso nella lettera di dimissioni, inedita), altrimenti la Merkel non avrebbe parlato con Tsipras di alcun “compromesso” e avrebbe fatto fallire la Grecia».
E ancora: «Invece di denunciare all’opinione pubblica il ricatto dei creditori e la catastrofe umanitaria, Yanis ha scelto di fare un compromesso. È stata la sua rovina. Voleva rinegoziare le condizioni e migliorare le cose, ma si è fatto intrappolare. Dopo due fallite riunioni dell’Eurogruppo, dove aveva rifiutato di firmare documenti già pronti, alla terza (20 febbraio) gli fu detto che la Merkel aveva dato istruzioni a Dijsselbloem e al ministro Schaeuble di accettarele richieste greche: era una bugia. Il testo, poi era volutamente ambiguo».