Il 17 maggio del 1724, a Londra, fu dato alle stampe un’opera in due volumi dal titolo decisamente intrigante: A General History of the Robberies and Murders of the most notorious Pyrates. Andò bene, almeno a giudicare dal fatto che se ne stamparono diverse edizioni quello stesso anno.
Oltre al titolo, al sommario e alle indicazioni dell’editore — il signor Charles Rivington — sul ricco frontespizio dell’opera compare, in qualità di autore, un misterioso “Capitano Charles Johnson”. Si trattava chiaramente di uno pseudonimo. Qualcuno azzardò il nome ingombrante di Daniel DeFoe, che proprio quell’anno aveva dato alle stampe il suo ultimo libro, Roxana.
Altri sostennero che fosse lo stesso editore, il signor Rivington. In realtà poco importa, perché quel libro, pubblicato nella primavera del 1724, ovvero negli ultimi anni di quella che oggi chiamiamo l’epoca d’oro della pirateria, rappresenta molto probabilmente la pietra angolare della leggenda dei pirati che, sopravvissuta da una generazione di adolescenti all’altra, ha ispirato rivoluzionari di ogni sorta ed è arrivata fino a noi.
Sporchi, violenti, barbuti, dediti all’alcolismo, alle risse e alla frequentazione dei bordelli fumosi nei porti dei Caraibi. L’immagine del pirata si è cristallizzata nel nostro immaginario a forma di sgherro, di avventuriero senza scrupoli e senza morale. Un po’ il Long John Silver di Stevenson, un po’ il Capitano Hook di Peter Pan, un po’ il Barbanera o il Pirata Roberts e un po’ — ammettiamolo — anche il Capitano Sparrow, divertente, maldestro e spaccone, con la faccia da Johnny Depp.
Come tutte le grandi storie che attraversano i secoli, la dimensione della eco che i Pirati hanno nel nostro immaginario è sproporzionata alla dimensione reale del fenomeno. Almeno di quello dell’Epoca d’oro, una piccola parentesi temporale tra il 1700 e il 1730, anni in cui, grazie a poche centinaia di uomini, la leggenda dei pirati si è arricchita di quella fiammella idealista che ha contribuito a renderla impermeabile al tempo.
La storia ha registrato soprattutto i nomi e le storie dei capitani: dal francese Emanuel Wynn, che «nel 1700, mentre è inseguito da una nave della marina inglese al largo delle isole di Capo Verde, issa il primo Jolly Roger di cui si abbia notizia», al capitano Samuel Bellamy, «un pirata socialista e un gran oratore»; dal capitano Edward Teach, più famoso come Barbanera, a Bartholomew Roberts, capace di guidare la sua ciurma per oltre 4 anni, da Edward Low, uno dei più crudeli, ma anche uno pochi a essere scampato vivo a ogni tentativo di cattura, fino a Olivier LaBuse, l’ultimo dei pirati, impiccato a una palma su una spiaggia dell’isola di Bourbon, a Reunion.
Eppure, i capitani non erano nulla senza le loro ciurme. Gabriel Kuhn, antropologo esperto di microscoietà e grande studioso dell’epoca d’oro della pirateria, nel suo libro La vita all’ombra del Jolly Roger (Eleuthera), ha tentato di elencarne le caratteristiche, prendendo in prestito una tassonomia creata sui capi degli indiani d’America, a capo di microsocietà molto simili a quelle dei pirati dell’epoca d’oro:
a) il capo viene eletto ed è sostituibile;
b)il suo potere si fonda solo sul merito;
c)il suo potere è controllato dalla comunità;
d)è un paciere;
e)è generoso con i propri beni;
f)è un buon oratore;
g)è un abile condottiero in guerra
I capitani pirati, come i capi indiani, erano le autorità ideali per microsocietà che ripudiavano ogni autorità.
«Quello che rende quel momento della storia così irresistibile per molti ancora oggi è il concetto assoluto di libertà che porta con sé», dice Gabriel Kuhn, sentito da Linkiesta. «Quel senso di libertà assoluta che riesce a spingere delle persone a mollare tutto, a voltare le spalle alla propria casa e al proprio paese e a scappare da tutte le convenzioni politiche, sociali e culturali. Significa superare tutti i confini e tutte le leggi entro cui la società vuole costringere l’individuo, è quello ad essere magnetico e affascinante. È quella la forza della loro storia, quella che spinge persone isolate e antisistema a cercare un gruppo che condivide il loro spirito di ribellione e che le fa salpare su una nave per affrontare il mare aperto e rischiare la vita sotto una bandiera nera, per costruire una società nuova, da zero. O almeno, questa era la situazione degli anni che definiamo come l’epoca d’oro della pirateria».
Che cosa definisce quell’epoca?
La storia è piena di esempi di pirateria, a partire dai tempi antichi fino ai nostri anni. L’epoca d’oro alla quale ci stiamo riferendo, invece, è molto concentrata nel tempo e nello spazio. Non tutti sono d’accordo sul lasso temporale, ma grossomodo si va dall’ultimo decennio del 1600 fino agli anni Trenta del Settecento.
Perché proprio quelle date?
Qualcuno per l’inizio parla addirittura del 1650, includendo anche il periodo dei cosiddetti bucanieri, mentre qualcun altro lo fissa nel 1716, anno in cui si formò l’ultimo focolaio nei Caraibi, il più numeroso Per la fine invece si tende a usare la data della morte dei capitani più importanti. Diciamo tra il 1722, quando venne ucciso il Capitano Roberts e venne arrestata la sua ciurma, e il 1730, anno dell’esecuzione dell’ultimo capitano pirata, il francese Olivier LaBuse.
Giusto per capire, di quante persone si parla?
Negli anni di cui stiamo parlando si parla di qualche centinaio di uomini. Il picco è stato un paio di migliaia, intorno al 1720.
Chi subisce di più il fascino dei pirati?
A livello politico direi i movimenti politici radicali di tutto il mondo, e infatti in molte situazioni occupate, in molti ambienti dell’anarchismo radicale sventola il Jolly Roger. Ma in realtà la fascinazione per quel radicalismo, per quell’anarchismo viscerale di cui i pirati sono simbolo va ben oltre. Pensa al successo planetario tra i ragazzini di tutti i film della serie dei pirati dei Caraibi. Deve esserci qualcosa di molto profondo se anche i figli di un pubblico fondamentalmente borghese e piccolo borghese sono attratti da questo immaginario libertario.
Deve esserci qualcosa di molto profondo se anche i figli di un pubblico fondamentalmente borghese e piccolo borghese sono attratti da questo immaginario libertario
Perché secondo te?
Sai, forse c’entra con il fatto che i pirati rappresentano quello che loro non potranno mai essere e che quella libertà è una libertà che non potranno mai avere. È un desiderio comune a molti quello di volersi affrancare dalle regole e dalle strutture di potere della nostra società: sia che siano adolescenti che sognano di vivere da soli, lontani dal controllo della famiglia, sia che siano impiegati che sognano di non dover più rispondere al proprio capo.Qual è l’interesse politico dei pirati?
Tutti gli storici che se ne sono occupati, al di là del loro credo politico, tendono ad essere d’accordo sul fatto che il modo in cui queste comunità di pirati dell’epoca d’oro erano organizzate era molto più democratico di qualsiasi altra società dell’epoca. Se volessimo sintetizzarlo in una ricetta direi che si tratta di una libertà assoluta, condita, in parti uguali, di egualitarismo e di antiautoritarismo.L’uguaglianza, ostilità verso l’autorità, suona corde che esistono in ognuno di noi, in tutta l’umanità, sono corde molto profonde, archetipiche
Non trovi che ci sia qualcosa di molto moderno in questo?
Più che moderno io direi che c’è qualcosa che è senza tempo. Tutto quello di cui abbiamo parlato fino ad ora, la libertà, l’uguaglianza, ostilità verso l’autorità, suona corde che esistono in ognuno di noi, in tutta l’umanità, sono corde molto profonde, archetipiche.Cosa hanno in comune i pirati somali e indiani con i pirati dell’epoca d’oro?
Sono due fenomeni molto diversi. La più grande differenza rispetto a quello dell’epoca d’oro è che questa tipologia di pirati di cui parliamo negli ultimi anni usano la pirateria semplicemente come fonte di guadagno, non hanno alcuna intenzione politica, non vanno in mare per voltare le spalle a nessun società, a nessuna convenzione. Ma soprattutto, non creano in mare nessuna nuova società, cosa che invece facevano i pirati dell’epoca d’oro che infatti non avevano casa. L’aspetto nomade è un elemento romantico decisivo che concede loro la possibilità di fare della propria comunità una società, di una ciurma un mondo.Come è possibile che una cosa che è durata, in fondo, pochissimi anni, abbia generato interesse a passione nei successivi 300 anni?
Come ti ho detto prima, io credo che sia perché tocca qualcosa di molto profondo, qualcosa che abbiamo tutti dentro, nonostante le diversità di cultura e di classe sociale, e infatti i pirati hanno per molti qualcosa di irresistibile per tutti, dai radicali ai borghesi. Ma ci sono stati alcuni elementi che hanno aiutato a diffondere e consolidare la leggenda. Il più importante è che la maggior parte dei pirati dell’epoca d’oro erano europei, il che li rende affascinanti per tutto il mondo occidentale, perché voltavano le spalle alla società europea del Settecento, quell’Ancien Regime che alla fine di quello stesso secolo barcollò sotto i colpi della Rivoluzione Francese. Era l’Europa degli stati nazione, dei re, delle colonie. Era in contrasto a quella che i pirati creavano o tentavano di creare una società nuova.La maggior parte dei pirati dell’epoca d’oro erano europei, il che li rende affascinanti per tutto il mondo occidentale, perché voltavano le spalle alla società europea del Settecento
Anche all’epoca erano affascinanti?
Sì, funzionava anche all’epoca e infatti fece scalpore incidendosi nell’immaginario collettivo, tanto che già all’inizio del Settecento si diffusero racconti, opere teatrali, romanzi — pensa soltanto a The Life, Adventures and Piracies of the Famous Captain Singleton di Daniel Defoe o anche l’anonimo A General History of the Robberies and Murders of the most notorious Pyrates che sono degli anni Venti del Settecento — e leggende sui pirati. Il fenomeno quindi cominciò a diffondersi già tra i contemporanei. Il fatto che il mercato più attivo per questi racconti fu l’Inghilterra, che all’epoca era l’unica cultura globale, ha permesso alla leggenda di piantarsi in profondità nell’immaginario collettivo mondiale e di crescere di generazione in generazione.E i pirati sul web?
Ci sono alcuni aspetti simili anche in questo caso. A partire dalla volontà di essere discontinui rispetto allo status quo, all’economia capitalista, alla quotidianità e alla normalità della vita nella nostra società. Il fenomeno poi è simile anche dal punto di vista della dinamica. Se ci pensi i pirati dell’epoca d’oro colpivano i commerci, si infilavano nelle reti di scambi oceanici e colpivano l’economia capitalista dell’import export saccheggiando e mettendo in difficoltà proprio quella rete. I pirati del web, gli hackers — almeno una parte — fa una cosa simile su un oceano diverso da quelli che solcavano i pirati dell’epoca d’oro, un oceano che si chiama Web, ma i legami che colpiscono spesso sono simili, sono quelli del commercio, delle banche, ma anche delle major culturali — pensa alla musica, al cinema, ai videogiochi — dell’economia capitalista avanzata. L’essenza mi sembra sia la stessa a livello destruens, quello che manca forse è la parte costruens. Quello che non fanno i pirati del web è formare una società alternativa. Ma questo oggi è decisamente più complicato.Un’ultima domanda, in questo mondo post ideologico credi che ci sia ancora la possibilità di coltivare un’utopia così potente come quella libertaria dei pirati dell’epoca d’oro? Un nuovo modello è possibile?
Sì, credo che sia possibile pensare a un nuovo modello, a un’altra società, alternativa a quella consumistico-capitalista in cui viviamo, non più basata sulla competizione ma sul mutuo soccorso, non più basata sul successo individuale ma sul successo della comunità. Certo, sono abbastanza certo che proporre un modello come quello della società pirata non avrebbe molta attrattiva sugli elettori di oggi — era una società utopica, di minuscole dimensioni, violenta e difficile — ma rappresenta comunque una grande fonte di ispirazione per me, e ci sono aspetti di quel mondo che mi piacerebbe potessero essere riproposti oggi: egualitarismo, libertà e antiautoritarismo su tutti. È difficile proporre un modello politico in poche frasi, ma se parti da questi elementi e ci costruisci intorno una comunità solida credo che si possa fare. Ci sono tante possibilità di farlo oggi, pensa all’esperienza degli squat, dei centri occupati, delle comuni, degli accampamenti stile occupy. Pensa, anche qua ci sono delle tende, e che bandiera credi che gli sventoli sopra? Il Jolly Roger.