L’Iran, le promesse di Rohani e la paura dei pasdaran

Comunque vadano le elezioni Rohani difficilmente sarà in grado di dominare il parlamento: dovrà chiedere la cooperazione dei conservatori e di altri centri del potere

Molti iraniani hanno seguito la campagna elettorale su Telegram, l’applicazione di messaggistica istantanea che ha più diffusione della stessa televisione di Stato. Non pochi candidati hanno postato fotografie su Instagram, ennesimo segnale di un Paese contraddittorio, in cui a un regime figlio della rivoluzione islamica del 1979, corrisponde una società giovane, che guarda all’Occidente, soprattutto nelle grandi città e negli spazi privati in cui la polizia religiosa non ha accesso.

Nel complesso sistema di potere della repubblica iraniana quello di oggi è il momento democratico, di una democrazia, però, condizionata pesantemente da veti e divieti. Si vota per due dei tre organi elettivi del Paese (il terzo è la presidenza della Repubblica). Si va alle urne per eleggere il Majlis, il Parlamento – 290 membri, che restano in carica quattro anni – e l’assemblea degli Esperti, il cui mandato dura otto anni e il cui compito principale è quello di scegliere, ed eventualmente rimuovere, la Guida Suprema, tutt’oggi il fulcro del sistema politico di Teheran.

Il risultato delle elezioni, le prime dopo lo storico accordo sul nucleare e la rimozione delle sanzioni varate dalla comunità internazionale, è stato fortemente indirizzato dal vaglio delle candidature, ad opera del conservatore Consiglio dei Guardani (12 membri, sei giuristi e sei chierici). Il 58 per cento degli oltre 12.000 candidati era stato escluso dal Consiglio, una quota scesa al 49 per cento dopo la procedura di appello (e la protesta pubblica del presidente Rohani). Discorso analogo per l’Assemblea degli Esperti: il Consiglio, incaricato di esaminare le credenziali etiche e religiose dei concorrenti, è intervenuto con l’accetta: il 75 per cento dei candidati, compreso Hassan Khomeini, nipote del fondatore della repubblica, è stato squalificato, tanto che saranno solo in 166 a competere per gli 88 posti disponibili.

Hassan Khomeini, nipote del fondatore della repubblica, è stato squalificato, tanto che saranno solo in 166 a competere per gli 88 posti disponibili

Non ci sono veri e propri partiti, ma una serie di fronti, frutto di alleanze e convenienze, oltre che di comuni sensibilità politiche, e l’affiliazione dei 6229 aspiranti al Majlis non può essere stabilità con certezza. Al momento, la maggioranza, sia in Parlamento che nell’Assemblea degli Esperti, è in mano agli hardliner, i falchi, gli estremisti. I riformisti, che vissero il loro momento di speranza sotto la presidenza di Khatami (1997-2005), non hanno grandi aspettative. Falcidiati dal Consiglio, guidati da Mohammed Reza Aref, vicepresidente sotto lo stesso Khatami, volano basso e confidano che i voti destinati ai loro esclusi vadano a rimpolpare i consensi dei moderati, capeggiati dal presidente Rohani e dall’ex capo di Stato, Hashemi Rafsanjani, a cui si è aggiunto l’influente speaker del Parlamento, Ali Larijani. Ali Vaez, iranologo del prestigioso think tank International Crisis Group (ICG), in un colloquio con Linkiesta, sostiene che loro, i pragmatici che hanno scommesso sull’apertura all’Occidente e promettono investimenti stranieri per rilanciare l’economia, possano farcela: “I riformisti sono stati in grandissima parte squalificati dal Consiglio dei Guardiani. Comunque, c’è ancora una possibilità che i moderati conservatori, come li chiamo io, riescano ad avere la maggioranza all’interno del Majlis, superando gli intransigenti conservatori, gli hardliner. Questo dipende dal fatto che, malgrado l’esclusione dei propri candidati, i riformisti non hanno invitato a boicottare il voto. Anzi, lo stesso Khatami, in un videomessaggio, ha esortato l’opinione pubblica ad andare alle urne. L’opinione pubblica riformista voterà, quando possibile, per i pragmatici, con l’obiettivo di non sprecare l’opportunità di indebolire i falchi”.

Diverso, secondo Vaez, è il voto per l’Assemblea degli Esperti, perché differenti sono gli equilibri politici e, di conseguenza, gli obiettivi: “Le elezioni di oggi sono importanti perché la Guida Suprema, Ali Khamenei, ha quasi 77 anni ed è malato, per cui è ragionevole pensare che sarà proprio la prossima Assemblea a decidere il suo successore. Adesso i pragmatici, guidati da Rafsanjani, sono una netta minoranza. Nel caso in cui riuscissero ad aumentare il loro peso politico, potrebbero avere una voce in capitolo nella selezione della prossima Guida Suprema, perché per eleggerla c’è bisogno di una maggioranza qualificata, quella dei due terzi. Quindi una minoranza pari a un terzo dell’Assemblea può esercitare un certo ruolo nel determinare la futura direzione politica del Paese, considerato che la Guida è il centro del sistema”.

Le elezioni per l’Assemblea degli Esperti avrebbero potuto avere un interesse ancora maggiore se il Consiglio dei Guardiani non avesse inserito nel girone degli esclusi Hassan Khomeini, verso il quale si erano rivolte molte speranze dei moderati. “La candidatura di una persona popolare come il nipote dell’ayatollah Khomeini avrebbe potuto galvanizzare l’elettorato ed aiutare i pragmatici ad aumentare il loro pacchetto di mischia all’interno della prossima Assemblea. Per questo motivo il Consiglio ha squalificato lui, come del resto ha fatto con il 75 per cento dei candidati. L’establishment ha deciso che in questo caso bisognava adottare un approccio a rischio zero”.

I pasdaran a questo punto, hanno di fronte due opzioni. Da una parte, cercheranno di ostacolare il reintegro dell’Iran nella comunità economica internazionale. Dall’altra, in caso di fallimento di questo sabotaggio, faranno in modo di essere i principali beneficiari del nuovo stato delle cose

Il presidente Rohani, che è tornato dal viaggio in Europa con una valigia piena di promesse, pre-accordi e memorandum d’intesa per una trentina di miliardi di dollari – bollati dagli avversari come pezzi di carta senza alcun valore – si augura di spostare a proprio favore gli equilibri parlamentari. L’analista dell’ICG, però, sostiene che bisogna fare professione di realismo: “Se gli hardliner saranno indeboliti, il prossimo Parlamento sarà più amichevole nei confronti di Rohani rispetto a quello attuale, quindi più disposto a portare avanti la sua agenda di riformismo economico. In caso contrario, il presidente rischia di essere un’anatra zoppa. Ma Rohani non sarà comunque in grado di dominare il Majlis e dovrà chiedere la cooperazione dei conservatori e di altri centri del potere. Il presidente è conosciuto per avere un approccio più prudente che audace. La sua priorità è certamente quella di risollevare l’economia, dopo la fine del sistema delle sanzioni. Bisogna essere chiari: la natura del sistema iraniano è fatta di parecchi strati e i cambiamenti devono sempre essere molto graduali”.

Vaez ha appena scritto un intervento, assieme ad Emma Bonino e all’ex alto rappresentante della politica estera della Ue, Javier Solana, in cui, pur partendo dall’idea che le elezioni saranno condizionate in partenza – in 6 delle 31 province non ci sarà competizione, perché il numero dei candidati approvati è pari a quello dei seggi – si invita l’Occidente a stare alla larga dal voto, senza endorsement che sarebbero controproducenti. Quello che deve fare la comunità internazionale, scrivono i tre, è applicare pienamente l’accordo nucleare. Qualcuno, però, teme che il primo beneficiario della rimozione delle sanzioni sarà la “pasdaran economy”, vale a dire la galassia imprenditoriale che si muove intorno ai circa 120.000 “guardiani della rivoluzione”, i difensori del sistema che hanno prosperato sotto Khamenei, conquistando un vasto potere in ambito militare, politico ed economico. Vaez anche in questo caso manifesta prudenza: “È troppo presto per giudicare chi abbia tratto maggiore vantaggio dalla fine del sistema delle sanzioni. Senza dubbio, però, Rohani si trova di fronte all’opposizione di coloro che di questo sistema sono stati i principali vincitori, ossia i pasdaran. Loro, a questo punto, hanno di fronte due opzioni. Da una parte, cercheranno di ostacolare il reintegro dell’Iran nella comunità economica internazionale. Dall’altra, in caso di fallimento di questo sabotaggio, faranno in modo di essere i principali beneficiari del nuovo stato delle cose”.

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