Michele Anzaldi, chi è davvero il censore tv di Matteo Renzi

Critica e attacca trasmissioni, conduttori, direttori. Ma nessuno dall'entourage renziano lo smentisce mai. Anzaldi ha sempre avuto la fama da duro. Ecco tutti i legami tra lui, Renzi e i renziani

Un vero duro. Tosto. Ombroso e solitario. Lo descrivono così, quelli che lo conoscono e ci hanno avuto a che fare per motivi di lavoro. “Un ottimo capo ufficio stampa”, versione simpatizzante. “Uno che non scuciva una notizia”, velenosa. “Era più facile trattare direttamente con Rutelli che con lui”, ostile. “Se ti prendeva in antipatia eri completamente tagliato fuori”, distaccata. Perché, da siciliano, anzi, da palermitano, ha un forte senso degli amici (pochi, pochissimi) e dei nemici (la maggioranza). Tra i primi ci sono il portavoce di Renzi, Filippo Sensi, che lo considera suo maestro, e Paolo Gentiloni, il ministro. Tra i secondi, il resto del mondo; con l’eccezione di alcuni animali, i cavalli che ama montare, e i suoi cani, che gli scandiscono la giornata con le loro esigenze… È a loro che, da animalista convinto, riserva qualche tenerezza.

Michele Anzaldi è l’uomo del momento. Non solo per le cose che dice e gli anatemi che scaglia contro giornalisti e conduttori tv quasi come un Brunetta di sinistra. Ma per le domande che il suo comportamento pone all’intero circuito politico-mediatico. In fondo è il continuatore di una lunga tradizione di censori che hanno perlopiù trovato il loro habitat nella Commissione di Vigilanza, istituto dell’ancien régime, da Ugo Intini a Francesco Storace, da Michele Bonatesta appunto a Renato Brunetta. Solo che questi erano tutti di destra. Invece, qui comincia il caso, siamo di fronte a un “epuratore renziano” (Travaglio), un “Torquemada” (Prima comunicazione) che milita nel centrosinistra e si è formato nelle stanze di Legambiente, con Francesco Rutelli e nella Margherita.

Dunque, prima domanda: con quei toni ultimativi, Anzaldi esprime opinioni personali o interpreta il pensiero del premier? “Fifty fifty”, versione disincantata. “È un gioco delle parti, lui poliziotto cattivo, Sensi quello buono”, versione cinematografica. “Fa di testa sua, Renzi non lo smentisce, in privato smorza. Intanto tiene sulla corda chi vuol fare l’indipendente”, versione realistica. Seconda domanda: perché Renzi non lo smentisce? Ci arrivo tra un po’. Terza domanda: chi era prima di diventare Michele Anzaldi? Cioè, colui che, senza andare indietro al caso Giletti e all’imitazione della Raffaele della Boschi considerata irrispettosa, ha chiesto in un paio di settimane il licenziamento di Massimo Giannini per lesa maestà della solita Boschi (”rapporti incestuosi” a proposito di Banca Etruria); di Bianca Berlinguer perché dà troppo spazio ai grillini e ha dimenticato le foibe; di Franca Leosini per l’intervista a Luca Varani, lo stalker sfregiatore di Lucia Annibali; di Andrea Vianello direttore di Raitre, per svariati motivi. Non bastasse, pochi giorni fa ha alzato il tiro esternando sul Corriere il pentimento per aver fatto nominare “noi della Vigilanza, con una serie di votazioni a catena complicatissime, con uno straordinario lavoro di mediazione politica” il direttore generale Campo Dall’Orto e la presidente Maggioni. “Da quando ci sono loro la Rai è peggiorata tantissimo”. Putiferio. Presa di distanza del vicesegretario dem Lorenzo Guerini: “A un politico spetta prendere i voti, non darli”. Conferma della fiducia ai vertici Rai con comunicato dei capigruppo di Camera e Senato, Rosato e Zanda. “Matteo” non l’ha smentito nemmeno stavolta e Anzaldi continua a rimarcarlo.

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