TaccolaOgni pubblicità per i bambini è a rischio abuso

Guardano fino a 20mila spot all’anno e fino ai sei anni non sanno distinguere tra programmi e pubblicità. Per questo da maggio gli spot spariranno da Rai Yoyo. Roberto Fico, Vigilanza Rai: «Basta ipocrisie, ogni pubblicità è una manipolazione». Il pubblicitario: «È una battaglia di retroguardia»

La sfida è impari. Da una parte trovate degli adulti, con tutta la loro esperienza da pubblicitari, con soldi da spendere e una cassetta degli attrezzi a disposizione: colori sgargianti, jingle, animazioni, animali, astronavi, piccoli attori bellissimi da ammirare ed emulare. Dall’altra un bambino di tre o quattro anni. Che non sa leggere, non conosce il significato della parola persuasione e soprattutto non sa distinguere appieno tra un messaggio pubblicitario e uno editoriale. Soprattutto se i genitori invece di stargli accanto lo parcheggiano per ore davanti a uno schermo. Ora questa sfida vedrà un punto a vantaggio a favore dei bambini, almeno di quelli più piccoli. Dal prossimo primo maggio Rai Yoyo, il canale tematico del servizio pubblico dedicato al target di età prescolare, sarà completamente senza pubblicità. Il canale tematico più di successo della Rai, che ha guadagnato ascolti a palate acciuffando per tempo cartoni animati come Peppa Pig e Masha e l’Orso, non porterà più a Viale Mazzini i suoi 10 milioni circa di introiti pubblicitari. La decisione (non ancora ufficializzata, dicono da Rai Pubblicità) è arrivata a novembre dalla Commissione di Vigilanza della Rai. Se l’è intestata il presidente della Commissione, Roberto Fico, M5s, che ha ottenuto un voto all’unanimità. Ora gli stessi grillini rilanciano, con una proposta di legge che vuole mettere limiti più stringenti a tutti i programmi per bambini, anche su canali privati.

Persuadere i più piccoli

Macchinine in miniatura, auto radiocomandate, bambole che sbrodolavano, orsetti che ripetevano le frasi. Chi oggi ha trent’anni e fa uno sforzo di memoria, ricorderà questi spot di una produttrice di giocattoli, poi finita male, come una miniera di sogni infantili. Tra i creatori di queste pubblicità, negli anni Novanta, c’era Gianluca Lisi, oggi co-fondatore dell’agenzia di marketing Create! Group e uno dei docenti della Ninja Academy di Ninja Marketing. Il suo è un racconto dall’interno e non ha particolari tinte fosche. Nello sviluppo dei giocattoli più importanti, ricorda, venivano coinvolti psicologi, ma nella comunicazione non c’era un ricorso a chissà qualche tecnica di persuasione occulta. Bastavano le armi classiche: la creatività e l’esperienza, unite allo studio del linguaggio da adottare quando si parla a un bimbo; nulla di più di quanto facciano i Teletubbies. Il suo è però un giudizio netto: «Sono assolutamente favorevole al divieto di pubblicità su Rai Yoyo». Queste pubblicità, spiega, hanno una efficacia elevatissima, a causa della sproporzione di forze in campo. «I bambini sono soggetti deboli – commenta -, che sono particolarmente esposti alla natura persuasiva della pubblicità».

La sfida è impari. Da una parte degli adulti con una cassetta degli attrezzi a disposizione: colori sgargianti, jingle, animazioni, animali, astronavi, piccoli attori bellissimi da ammirare ed emulare. Dall’altra un bambino di tre o quattro anni

Quanto esposti lo dicono alcuni dati diffusi dall’Apa, l’associazione nordamericana dei pediatri. Ogni anno negli Usa vengono spesi almeno 12 miliardi di dollari in pubblicità. Ogni bambino vede in media 20mila spot all’anno (altre stime arrivano a 40mila), circa 55 al giorno. Sotto i sei anni la capacità di distinguere tra messaggio pubblicitario e contenuto editoriale (cartone o programma) è relativamente bassa, e non è vero che con il passare degli anni i bambini si fanno più smaliziati. Come ricorda in un paper un pediatra dell’università di Sheffield, Mark Blades, nel 1982 solo il 66% di bambini di tre anni era in grado, vedendo degli estratti da 20 secondi, di capire quali fossero spot e quali programmi. In un aggiornamento dello studio del 2008, la percentuale era scesa al 57 per cento. Salendo d’età la comprensione aumenta, ma gradualmente: a quattro anni la quota di chi era in grado di discernere, secondo lo studio del 2008, era del 66%, a cinque del 72% e a sei anni, finalmente, del 100 per cento.

Distinguere i due contenuti non vuol però dire essere consapevoli dello scopo della pubblicità. Un’indagine dello stesso Blades su bambini di sei anni mostrò come alla domanda “che finalità ha la pubblicità”, le risposte si sono divise quasi equamente tra “non so”, “per fare una pausa”, “per informazione”. La quarta opzione, “per persuadere”, aveva un eloquente zero per cento.

L’ultimo studio, sempre dell’associazione dei pediatri Usa, dice che c’è una correlazione positiva tra l’esposizione alla pubblicità e l’obesità. Le cause sono varie (sociali e familiari in primis) ma l’esposizione agli spot di bibite gassate e affini incide.

Un’indagine del professor Mark Blades su bambini di sei anni mostrò come alla domanda “che finalità ha la pubblicità”, le risposte si sono divise quasi equamente tra “non so”, “per fare una pausa”, “per informazione”. La quarta opzione, “per persuadere”, aveva un eloquente zero per cento.

Divieto di spot

Tutto questi studi sono noti in Italia e in Europa, anche a chi ha fatto le leggi. A livello comunitario una direttiva del 2010 ha aggiornato una precedente del 1989, in senso restrittivo. È grazie a queste direttive che, per esempio, gli spot non possono esortare i minori ad acquistare un prodotto sfruttandone l’inesperienza o la credulità, e neanche esortarli a persuadere genitori ad acquistare questi prodotti o sfruttare la fiducia che hanno negli insegnanti o negli stessi genitori. Né è possibile usare il “product placement” nei programmi per bambini.

In Italia la legge Gasparri, che portò al testo unico sulla radiotelevisione del 2005, ha recepito gran parte delle disposizioni e ha limitato fortemente la pubblicità rivolta ai bambini sia sulle reti pubbliche che private. Ora non si possono interrompere i programmi per i bambini, in modo da distinguere la pubblicità dalla programmazione. Le interruzioni devono essere distanziate di trenta minuti tra di loro quando sono inserite in fasce destinate ai bambini. Non si possono utilizzare negli spot (come attori) cartoni animati o personaggi preferiti dai bambini. C’è poi il vasto capitolo del Codice di Autodisciplina pubblicitaria, che ha una serie di indicazioni dettagliate, come il divieto di «diminuire il ruolo dei genitori e degli educatori nel fornire valide indicazioni dietetiche» o quello di «trascurare l’esigenza di seguire uno stile di vita sano» negli spot.

«La pubblicità è sempre sbagliata, non solo fino ai sei anni ma fino ai 10 anni. La legge attuale è ipocrita, perché dice che gli non possono essere manipolatori; ma questo è proprio il compito della pubblicità: far diventare un bambino un consumatore».


Roberto Fico, presidente della Commissione di Vigilanza Rai

Questo, però, per Roberto Fico e gli altri relatori dell’M5s non basta: «La legge è blanda e aggirabile» commenta Fico a Linkiesta. «Oggi – si legge nella relazione della proposta di legge – la pubblicità è vietata soltanto nei programmi di durata inferiore ai trenta minuti ma nulla vieta alle emittenti di trasmettere messaggi pubblicitari all’inizio o al termine del programma, oppure di ricorrere, grazie ad una interpretazione scorretta delle norme vigenti, all’escamotage della pubblicità fra un episodio e l’altro di un programma per bambini». Da qui la previsione che all’inizio, al termine o durante le trasmissioni rivolte ai bambini fino a dieci anni, a prescindere dalla durata delle stesse, non possa essere trasmessa alcuna forma di pubblicità. «La pubblicità è sempre sbagliata, non solo fino ai sei ma fino ai 10 anni – aggiunge Fico -. La legge attuale è ipocrita, perché dice che le pubblicità non possono essere manipolatorie; ma questo è proprio il compito della pubblicità: far diventare un bambino un consumatore».

Regole più rigide, rispetto alla direttiva europea, sono già state messe in atto in altri Paesi. La Svezia è la più drastica, avendo introdotto il divieto di pubblicità rivolte ai minori di 12 anni. In Irlanda il divieto opera all’interno dei programmi per bambini in età pre-scolare, come quello che sarà operativo da maggio per Rai Yoyo. In Austria, Danimarca e Finlandia sono vietate le comunicazioni commerciali durante e subito prima l’inizio dei programmi per bambini, così come, più in generale, le pubblicità rivolte specificamente ai bambini. Analoghe disposizioni sono state introdotte in Norvegia (che non è un membro Ue). Non solo: in Belgio non può essere trasmessa alcuna pubblicità cinque minuti prima, cinque minuti dopo e durante i programmi per bambini, mentre in Grecia il divieto di pubblicità riguarda solo i giochi per bambini.

Pubblicitari in difesa

Se si chiede a Fico quali siano state le reazioni del mondo della pubblicità al divieto di spot su Rai Yoyo, la risposta è lapidaria: «Nessuna». E in effetti a chiedere opinioni ad agenzie pubblicitarie e ad aziende si riceve come risposta solo silenzio. Fa eccezione l’Upa, Unione pubblicitari associati, che sceglie di ricordare i limiti delle leggi attuali e del Codice di autodisciplina. E fa eccezione il direttore creativo esecutivo di Saatchi & Saatchi, Agostino Toscana, che sceglie di dare voce alla contrarietà dei pubblicitari. «È solo una battaglia pubblica di retroguardia – dice -. Comporterà solamente che se ne avvantaggeranno i canali concorrenti. Avranno più introiti e faranno di conseguenza programmi migliori rispetto a oggi». Per Toscana il divieto è «anacronistico», perché «interviene su un canale televisivo e lascia intatto tutto il resto»: smartphone e tablet, i mezzi preferiti dai bambini «che a sei anni non sono più quelli di una volta». Per Toscana una tutela è necessaria ma le norme e il codice del Giurì sono sufficienti. E se i bambini non sono in grado di distinguere tra spot e programmi? «Mah, mi risulta difficile crederlo. Ma sarebbe segno che sono entrambi entertainment». Il punto, aggiunge, è che «se si lasciano i figli allo Stato brado, non sarà una Commissione politica a migliorare le cose. Io sono padre e mi sento responsabile di quello che i figli vedono». In questi provvedimenti il direttore creativo di Saatchi & Saatchi vede appunto un modo per sgravarsi la coscienza. «Mi sembra un approccio simile a quello delle pubblicità sulla droga: spot che parlavano per fini elettorali a chi il problema non l’aveva e che non avevano effetto sul piano pratico».

Il divieto di far recitare minori di 13 anni negli spot? «È qualcosa tra l’ingenuo e il comico: vorrà dire che faremo come nel teatro del Seicento, dove le donne erano interpretate dagli uomini. In una pubblicità di pannolini li faremo indossare a dei quattordicenni»


Agostino Toscana, direttore creativo esecutivo di Saatchi & Saatchi

Anche la proposta di legge M5s è respinta, soprattutto nella parte che prevede il divieto della presenza di attori minori di 13 anni nelle pubblicità. Norma già prevista dalla Legge Gasparri e poi ritirata, secondo il movimento grillino per le proteste dei pubblicitari. «È qualcosa tra l’ingenuo e il comico: vorrà dire che faremo come nel teatro del Seicento, dove le donne erano interpretate dagli uomini. In una pubblicità di pannolini li faremo indossare a dei quattordicenni. Vorrei ricordare che sono i genitori che firmano i contratti, che la decisione fa parte della responsabilità dei genitori e che ci sono già molti limiti all’uso dei minori negli spot».

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