Anche chi è stato adottato, e chi non è stato riconosciuto alla nascita, potrà conoscere le proprie origini biologiche. Tutto continuando a garantire il diritto alla privacy della madre che ha scelto di partorire in anonimato. Lo prevede una proposta di legge approvata a Montecitorio la scorsa estate, che da luglio attende in commissione Giustizia al Senato.
È un provvedimento che disciplina un tema delicato. Una riforma che si propone di coniugare la tutela del diritto alla riservatezza con la volontà di conoscere il proprio passato. La nuova disciplina permetterà a chi è stato adottato – ma anche ai figli non riconosciuti al momento della nascita – di chiedere l’accesso alle informazioni sulla propria origine e l’identità dei genitori biologici. Uno sguardo alle proprie radici. Unica condizione, aver compiuto la maggiore età. In ogni caso, come spiega il testo, le nuove informazioni non potranno legittimare azioni di stato, né autorizzare rivendicazioni di carattere patrimoniale o successorio.
Viene garantito l’accesso alle informazioni di carattere sanitario: «Le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili».
Particolare attenzione è riservata alla possibilità di accesso alle proprie informazioni biologiche. L’istanza può essere presentata dal diretto interessato o dai suoi genitori adottivi “legittimati solo per gravi e comprovati motivi“. Ma anche dai responsabili di strutture sanitarie, “in caso di grave pericolo per la salute del minore”. La norma disciplina in dettaglio il meccanismo. La procedura prevede la possibilità di una sola istanza di interpello, da presentare al tribunale dei minori del luogo di residenza del figlio. Una volta ricevuta la domanda, sarà il tribunale a contattare la madre biologica per verificare se intende mantenere il proprio anonimato. Un contatto che dovrà avvenire preferibilmente attraverso personale dei servizi sociali, assicurando «la massima riservatezza». Ma anche, così spiega il legislatore, «nel massimo rispetto della dignità della madre». Tenendo conto dell’età e dello stato di salute psico-fisica, nonché delle condizioni sociali, familiari e ambientali. Il diritto alla privacy della donna resta immutato: la norma obbliga tutti i soggetti interessati dal procedimento al segreto sulle informazioni raccolte. Se la madre desidera rimanere anonima, il tribunale autorizza il solo accesso alle informazioni di carattere sanitario. «Le anamnesi familiari, fisiologiche e patologiche – così prevede il testo – con particolare riferimento all’eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili».
La proposta di legge è stata approvata a Montecitorio la scorsa estate. Da luglio attende in commissione Giustizia al Senato
L’articolo 2 della legge modifica il codice della privacy. Oggi la legge permette di accedere alla cartella clinica o al certificato di assistenza al parto – comprensivo dei dati personali della madre che ha dichiarato di voler restare anonima – solo decorsi cento anni dalla formazione del documento. Il provvedimento all’esame del Senato, invece, rende nullo il vincolo dei cento anni qualora la madre decida di revocare l’anonimato oppure sia deceduta. Permettendo l’accesso alle sole informazioni sanitarie se autorizzato dal tribunale. Il testo prevede, poi, una disciplina transitoria che riguarda i casi di parti anonimi avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge. Entro un anno, tutte le madri che hanno dato alla luce un figlio chiedendo di non essere nominate possono confermare la propria volontà attraverso una comunicazione al tribunale dei minorenni del luogo di nascita del figlio. Anche stavolta la norma prevede modalità che garantiscano la massima riservatezza. In questo caso, a fronte di una istanza di interpello, il tribunale dei minorenni autorizzerà il solo accesso alle informazioni sanitarie.
L’argomento è delicato. ln tema di adozioni il confine tra privacy e diritto alla salute è sottile. E così il Parlamento ipotizza un periodo di tempo per valutare l’efficacia della norma. A tre anni dall’entrata in vigore della legge – così prevede l’articolo 5 – il governo dovrà trasmettere alle Camere i dati relativi all’attuazione del provvedimento.