“Don’t pray for me Argentina” si potrebbe dire parafrasando Evita che parla alla folla, dal balcone della Casa Rosada di Buenos Aires. O, per meglio dire, “Don’t pray for me Colombia”. Perché è da quella nazione che viene padre Lopez – uno degli “angeli” sudamericani di Papa Francesco sparsi per la Diocesi di Milano – lui che “Angelo” ce l’ha come nome di battesimo depositato all’anagrafe di Bogotá. Angelo Lopez. «Come Jennifer Lopez» scherza questo simpatico prete di quartiere durante le presentazioni. «O come Claudio López» – ex centravanti di Valencia e Lazio – insiste, visto che di calcio, come da stereotipo latino-americano, ne macina parecchio.
E il quartiere dove da un anno predica “la parola di Dio” non è così diverso dal luogo di nascita. Almeno, non sono così diversi gli abitanti. Siamo nel Corvetto, “le Colonne d’Ercole di Milano, che pensavo essere solo un’uscita della tangenziale e invece è un mondo” lo definisce Alessandro Robecchi nel suo ultimo romanzo, Dove sei stanotte?. Periferia sud-est del capoluogo lombardo. Ed è veramente un mondo a parte abitato da un melting pot di italiani, arabi, africani e dove i latini sono o “maggioranza silenziosa” o “minoranza rumorosa”, a piacimento.
Portare la parola di Dio nel melting pot del Corvetto, “le Colonne d’Ercole di Milano”. Dove i latini e cattolici sono “maggioranza silenziosa” o “minoranza rumorosa”. A quattro passi dalla moschea di via Quaranta
A cominciare dal primo edicolante fuori dalle “Colonne d’Ercole” della metropolitana, ecuadoriano, che alla domenica fa a turno con moglie e fratello a lavoro per non far mancare mai – almeno un membro della famiglia – alla messa. Perché è vero che molti di loro vivono in Italia da vent’anni, ma una chiacchierata in spagnolo con padre Lopez, uno dei cinque parroci del vicariato, non la disdegna nessuno.
Volano meno parole e chiacchiere in fase di Penitenza – ci racconta – perché se è vero che nel segreto dell’urna Dio ti vede, in quella del confessionale si aspetta che tu apra il tuo cuore. E di aprire il cuore il Corvetto ne avrebbe bisogno – rimane pur sempre una della zone problematiche di Milano fra spaccio e prostituzione. «Difficile che si arrivi quel tipo di confessione, almeno in questo mio primo anno». Confessioni che comunque non lo scandalizzerebbero: per uno che arriva dalla favelas della capitale colombiana – intasate di rifugiati delle campagne scappati dal fratricida conflitto fra Farc e Governo per il controllo delle piantagioni di coca – i reati del Corvetto non sembrano altro che piccole beghe di condominio.
Di spaccio e prostituzione non si parla nel segreto del confessionale. Ma per padre Lopez non sarebbe uno scandalo, lui che nelle favelas di Bogotà ha visto i figli illegittimi del conflitto fra Farc e Governo per il controllo delle piantagioni di coca
Ad ogni modo delle “beghe” non si parla in confessionale. Più facile che invece arrivino sfoghi relativi all’attualità: il lavoro che manca o lo “scontro fra civiltà” che «voi giornalisti, a volte, alimentate». E in questo slum a sud-est di Milano, di convivenza multietnica a volte pacifica, altre volte meno, se ne sa qualcosa visto che in via Quaranta ha sede uno dei centri di preghiera islamica più chiacchierati della città.
«I rapporti con i musulmani li tengono le alte sfere della Diocesi, a noi parroci spettano altri compiti». Quali? Sopratutto tenere unita la comunità ed evitare che si disperdano gli agnelli, i più giovani. «Forse non lo sapete ma la Cresima da sacramento dell’iniziazione cristiana, che va a confermare il battesimo, si è trasformata nel “sacramento del congedo”» scherza ancora, con il sorriso amaro.
Ma è speranzoso. Per due ragioni: la prima è che “a volte ritornano” e «dopo i 25 anni è facile vedere una spiritualità di ritorno nei ragazzi, ritrovare la retta via». E a proposito di retta via Angelo Lopez non ha ancora imboccato l’Autosole per recarsi al Giubileo della Misericordia. «Ci andrò quando sarà in ferie», sorride per la terza volta, «A settembre è già pronto il pullman».
Il secondo motivo che lo ronde fiducioso fuoriesce dal campo della spiritualità: come ogni buon comunicatore, anche quelli di Dio, conoscono i loro polli e agiscono di conseguenza. Ed ecco fiorire attività sportive – «extraliturgiche» le definisce plasmando un termine a suo uso e consumo dai curricula universitari – e tornei di calcio per riavvicinare i ragazzetti.
I giovani si recuperano alla Chiesa più col calcio che con il catechismo. Quel calcio abbandonato da vent’anni perché per un colombiano può significare solo una cosa: l’omicidio di Andrés Escobar dopo l’autogol di Usa ’94 e una storia mai chiarita di narcotraffico e scommesse clandestine
Quel calcio che in qualche maniera torna nella vita di Angelo Lopez. Perché se ora i campi di periferia lo appassionano e servono a far tornare i giovani all’ovile, il calcio, quello vero degli stadi, lo ha abbandonato da un bel po’. E per una ragione ovvia, per un colombiano: l’omicidio ai danni Andrés Escobar, autore di un autogol ai mondiali di Usa 1994, che provocò l’uscita dalla competizione della più forte nazionale colombiana di sempre.
E dietro quei colpi di mitragliatrice nel centro di Medellín una vicenda dai toni grigi mai chiarita del tutto: narcotraffico e scommesse clandestine. Troppo, anche per un prete di periferia.