Ha scritto e ha viaggiato. Ha diretto giornali (La Stampa e Panorama) e telegiornali (Tg1 e Tg5), da cattolico ha coltivato un legame laico con il Cav. (è, attualmente, presidente di Medusa), ha fama di uomo di mondo (tiene su Il Foglio la rubrica “Alta società”). Ma Carlo Rossella, uno tanto moderato che avrebbe voluto scrivere su se stesso una pièce teatrale dal titolo The man in the middle è anche un innamorato insospettabile, e perso, di Cuba. Di Fidel e Raúl. Del castrismo.
«Sono stato la prima volta a Cuba nel 70. Solito itinerario turistico: l’Avana, Santa Clara (luogo sacro al Che Guevara, come si ascolta nei versi della canzone Hasta Siempre: “cuando todo Santa Clara/ se despierta para verte”), Matanzas, Cienfuegos, fino a Santiago de Cuba. Ma io non ero lì per turismo, ero lì perché allora ero comunista. E anche se il comunismo è uscito da me sono sempre rimasto filocubano, e filocastrista» conclude.
Il comunismo è stato una fortuna per Cuba?
Ha evitato la degenerazione che c’è stata altrove. Sono stato in Salvador, in Nicaragua, conosco la Colombia. Il centro America lo conosco bene. Negli altri paesi il popolo non conta niente. A Cuba conta.
Qual era la differenza tra il comunismo occidentale e quello caraibico?
Quest’ultimo ha un’origine del tutto particolare. Castro fu costretto a diventare comunista. Gli americani consideravano Cuba un resort per andarci in vacanza, andare a donne, giocare d’azzardo. Quando fu spazzato via il regime di quel criminale di Fulgencio Batista per prima cosa chiusero tutti i casinò, che erano in mano alla mafia americana. Ogni albergo importante dell’Avana era della mafia, il Copacabana palace era in mano ai mafiosi di Miami, e poi c’era Vito Genovese, e poi addirittura Al Capone che veniva spesso a Cuba, ospite dell’Hotel Capri. Quello era davvero l’albergo preferito dalla mafia americana. Quella di diventare comunista per Castro è stata l’unica scelta possibile per far tornare il popolo cubano protagonista.
Un comunismo d’occasione?
Adattato al tempo e al luogo. Il comunismo est-europeo è un comunismo triste, solitario y final come avrebbe detto il mio amico Osvaldo Soriano. Mentre invece il comunismo caraibico aveva il sole, la musica, il ballo. La fame non c’era. C’era è c’è magari la miseria in qualche posto di campagna. Ma la fame mai.
Oggi tutto il socialismo bolivariano è in crisi. Perché è successo?
I socialismo sudamericano è fallito perché, a differenza di Cuba, non ci sono state vere rivoluzioni. Andavano al potere dei caudillos che poi si rivestivano di castrismo. Vedi caso Chavez. O i Fratelli Ortega in Salvador, te li raccomando quelli…
E Castro era diverso. L’ha mai conosciuto?
L’ho incontrato una volta sulla spiaggia di Varadero. Ero lì con mia moglie. Fidel abitava a Villa Cuba, che era la villa del Governo. Lo incontrai, ci parlai una decina di minuti.
E’ ricco come ha scritto qualche anno fa Forbes suscitando polemiche?
Ma non credo proprio. Vive in una bella villa, con un bel giardino. Anche per questioni di sicurezza. Ma non dà l’idea di vivere nel lusso sfrenato.
C’è poi questa grande differenza di tenore di vita tra i dirigenti del Partito Comunista Cubano e la gente normale?
Anche a Cuba c’è una certa nomenclatura, ma non si considera stabile e inamovibile. Quando uno esagerava partivano le denunce. Mi ricordo un ministro del turismo che usava un motoscafo americano. Campava tra feste, pesca al marlin e mojito. L’hanno preso e l’han cacciato via. A Varadero c’è Villa Dupont, che dopo la rivoluzione del 59 è stata acquisita dallo Stato. Ora è un albergo di lusso. Ma diversamente dagli altri paesi comunisti non è stata data a nessun dirigente del partito, tantomeno a Castro.
Quando si parla di Cuba in Occidente viene fuori tutta la questione dei dissidenti. Vero che almeno in parte erano finanziati dalla Cia?
La Cia aveva finanziato un sacco di esuli. C’era radio Habana Libre che trasmetteva da Miami. Molto pericolosa e molto difficile da disturbare. Gli americani hanno fatto una guerra durissima.
Yoani Sanchez?
Tra le gerarchie cubane non fregava niente a nessuno della Sanchez, era considerato molto più pericoloso uno come Carlos Franqui
Il rapporto tra Fidel e Raul?
Ai tempi d’oro di Fidel Raul era il ministro della difesa. Castro era l’uomo dell’ideale che dava gli indirizzi, che faceva i comizi di quattro ore il 26 Luglio in Plaza della Revolucion. Dava le idee ed era l’immagine. Raul provvedeva alla difesa e a tenere in piedi il partito. Uomo d’organizzazione.
La svolta filo occidentale è venuta da Raul, da Fidel, o da entrambi?
Raul per un po’ ha fatto la politica del laissez faire. Ha condiviso l’apertura occidentale ma con un caveat. Sa benissimo che gli americani, tutt’ora, non amano i cubani. Quindi concedere, ma col contagocce, consapevoli che gli americani hanno fottuto i cubani per cent’anni, fino al 59. E quindi bisogna stare molto attenti. Fino all’anno scorso i pali d’acciaio intorno all’ambasciata americana erano ancora in piedi. Ora non so.
Nell’apertura all’Occidente ha avuto un ruolo anche la chiesa Cattolica?
Senz’altro. Il regime oggi sa quanto ha fatto la chiesa per la riconciliazione con gli Stati Uniti. Benedetto XVI e Francesco in primis.
Forse un altro elemento diverso rispetto al comunismo europeo è che le religioni a Cuba sono state meno osteggiate.
Ma ricordo ancora negli anni 70 quando cresceva l’erba davanti alla cattedrale dell’Avana. Il movimento castrista è fortemente anticlericale, e già prima c’era tutta una tradizione anticlericale dell’alta borghesia cubana: del resto il cattolicesimo, ovunque, è sempre stato una religione di popolo. All’inizio del regime castrista c’è stato qualche arresto di qualche prete troppo esposto. Dal viaggio del cardinale in poi è cambiato molto.
Quale cardinale?
Bertone. Non mi interessa quello che si dice sul suo appartamento eccetera. Fatto sta che come politico sa fare il suo mestiere. Dopo il suo viaggio riaprirono gli oratori, le chiese. I cattolici potevano organizzarsi tranquillamente. Ma del resto i cubani non sono mai stati dei baciapile.
Il loro cattolicesimo è anche contaminato dalla meravigliosa Santeria
Ma soprattutto il loro problema è il sesto comandamento, e il nono. Non commettere atti impuri. Non desiderare la donna d’altri. Non molto osservati a Cuba.
Durante il “periodo special” di grosse difficoltà economiche seguito alla caduta del comunismo in Russia, le jineteras (le “fantine”, le “cavalcatrici”, insomma le prostitute), hanno tenuto alto il tenore di vita dei cubani
Hanno salvato l’economia! Loro e i maricones. I prostituti che esercitano sul Malecon, il lungomare dell’Avana. Mantenevano padri, madri, zie fameliche, nonne voraci. Una volta andai a mangiare da una jinetera. Le portai casse di cibo: formaggio Cheddar, olive, ogni ben di dio. Bottiglie di vino, che molti lì non avevano mai assaggiato in vita loro. Finì come una enorme festa di famiglia. Molti ne uscirono molto contenti.
Ha scritto un libro di racconti dal titolo Vodka, superalcolici e socialismo reale (Mondadori, 2008) Il legame tra queste cose?
A un certo punto i russi cercarono di imporre la vodka anche a Cuba. Avevo un amico che era un funzionario del comitato centrale. Un giorno lo andai a trovare e mi offrono un daiquiri, ma fatto con la vodka. Mi dissero che era di moda. Uscito di lì feci un salto al Floridita e chiesi: ma fate anche voi il daiquiri con la vodka? Se uno lo chiede lo facciamo, ma ci fa schifo.