Immaginate un avvocato che decida di investire dei risparmi in una causa. In caso di vittoria guadagna, e bene. In caso di sconfitta perde i suoi soldi. Se dal mondo legale vi spostate a quello dei professionisti della finanza, è un po’ quello che succede con le spac, acronimo per Special Purpose Acquisition Company. In sostanza, sono società che nascono per portare un’impresa in borsa o per permettere una grande acquisizione, dopo aver raccolto fondi da vari investitori. Un meccanimo «win win», o anche «fair», «full committed», «fit per le medie imprese italiane». L’inglese, in questo campo, è una sorta di tassa da pagare. Ma dietro gli anglismi di uno dei protagonisti di questa nuova modalità di accompagnamento delle imprese in Borsa, Simone Strocchi, c’è la sostanza del ragionamento: la Spac è una società che ha tutto l’interesse a che un’operazione abbia successo, come sono interessati i tradizionali accompagnatori, le banche di investimento. Ma ha qualcosa in più: è un accompagnatore che, dopo la quotazione, rimane azionista della società accompagnata. Ha quindi interesse che il prezzo di collocamento sia alto e che le azioni non crollino.
Strocchi, fondatore della merchant firm Electa, oggi è presidente di Aispac, Associazione spac italiane. Nel 2013 fu il pioniere di questi veicoli di investimento. Il primo si chiamava Made in italy1 e l’azienda da portare in Borsa Sesa. La spac (che non può durare più di 18/24 mesi) investì 50 milioni di euro, l’operazione andò in porto e Il capitale a rischio investito dai promotori/fondatori diMade in Italy 1 si moltiplicarono per sette, in virtù di un accordo. Anche gli investitori che avevano investito nelle prime fasi ebbero un consistente premio, «un boost», per dirla con Strocchi. L’ingegneria prevedeva la presenza anche di warrant. Oggi Sesa, dove è confluita la Spac, conta 1.200 azionisti contro i 48 che qualificarono il suo primo book. Approdata all’Aim, il mercato per le piccole e medie imprese di Borsa Italiana, è poi passata al segmento Star. «Alle operazioni si resta legati – dice Strocchi -. A Sesa e ai suoi manager e imprenditori siamo ancora molto vicini: ci sentiamo settimanalmente e ci confrontiamo su tutte le operazioni straordinarie. Due mie socie, partner di Electa, sono state rinnovate e nominate nel cda dopo la naturale scadenza del consiglio a tre anni dalla business combination con Made in Italy1; su IWB stiamo lavorando con l’obiettivo di creare un polo di settore e approdare il più velocemente possibile sul mercato principale».
Da allora le operazioni che sono state chiuse sono cinque, quindi la media è di circa due all’anno. Tra queste c’é stata l’operazione IPO challenger/IWB, considerata l’evoluzione delle spac in prebooking company. Permise di far quotare Italian Wine Brands, l’unica società vinicola contendibile in Italia.
La Spac è una società che ha tutto l’interesse a che un’operazione abbia successo, come sono interessati i tradizionali accompagnatori, le banche di investimento. Ma ha qualcosa in più: è un accompagnatore che, dopo la quotazione, rimane azionista della società accompagnata
«Una volta a regime le quotazioni tramite spac potrebbero diventare cinque all’anno», dice Strocchi. I settori candidati sono molti: le classiche tre “f” («food, forniture, fashion»), ma anche la nutraceutica (a cavallo tra nutrizione e farmaceutica), la micromeccanica, l’aviazione, la domotica, la sicurezza, la mobilità. A remare contro c’è stato un inizio anno di forti perdite a piazza Affari, che hanno tenuto alla larga gli Ipo. A remare a favore è il fatto che le società specializzate stanno crescendo di numero. Sono entrati anche degli operatori, come Giovanni Cavallini, ex ceo di Interpump, che ha lancianto un’iniziativa con Attilio Arietti, fondatore e presidente di Arietti & Partners – M&A International. «Prevedo che ci saranno 3-4 big player e una serie di piccoli operatori», dice Strocchi. Le altre operazioni sono state quelle di Space/Fila e ISI/Luve.
Tutte assieme hanno portato la raccolta a 900 milioni di euro (430 nel 2015). Di questi, 500 milioni sono stati utilizzati in operazioni già finalizzate. Considerando che il flottante non supera il 30%,massimo il 50%, questo significa avere già aumentato la capitalizzazione della Borsa di un miliardo di euro. Un prossimo cambiamento strutturale dovrebbe portarlo l’ingresso di un grande operatore come Azimut, impegnato in partnership con Electa a sviluppare un fondo chiuso dedicato alle “pre quotazioni”. «Sarà dedicato a sostenere le pre-booking company focalizzate su media impresa eccellente, che condivideremo con quote di circa il 30% – commenta Strocchi -. Siamo partiti per primi come armatori di caravelle in cerca dell’America intesa come media impresa eccellente, ora è tempo che nel sistema ci sia un traghetto che colleghi capitali alla Pmi virtuosa».
«Siamo partiti per primi come armatori di caravelle in cerca dell’America intesa come media impresa eccellente, ora è tempo che nel sistema ci sia un traghetto che colleghi capitali alla Pmi virtuosa»
Andare in Borsa, però, è possibile anche attraverso banche di investimento, perché preferire le spac? «Perché per una Pmi andare con una investment bank può essere molto costoso e talvolta deludente – dice il presidente di Aispac -. Il classico meccanismo è che inizialmente si fa una valutazione molto alta, poi man mano si affetta il salame e la quotazione finisce stemperata. Nel frattempo, però, l’azienda fatica a tornare sui suoi passi, per una questione di spese e di reputazione, soprattutto se si tratta di medie imprese localizzate in provincia». Sull’altro fronte ci sono gli ingressi dei fondi di investimento, che sono un’alternativa alla Borsa. «Sono un’alternativa legittima e molto sensata, ma gli imprenditori devono sapere che un fondo come regola fa sottoscrivere una clausola di trascinamento che permette di vendere tutta l’azienda anche se ne possiede solo un 20 per cento».
Seppure basato su un’ingegneria finanziaria complessa, il modello della spac ha come punto di arrivo il finanziamento di pezzi dell’economia reale. «L’Italia è un Paese tenuto in piedi dalle medie imprese, ma il paradosso è che nessuno vi investe», dice Strocchi. Il motivo non è immediato e ha a che fare con le regole di compliance a cui sono tenuti i grandi investitori istituzionali, inclusi gli Oicr (Organismi di investimento collettivo del risparmio, ossia Sgr e Sicav). «Questi soggetti hanno molti limiti: tendono ad investire principalmente sulle “large cap”, con più di 500 milioni di euro di capitale, che in Italia sono pochissime, tolte le banche e le assicurazioni, poiche’ devono assicurare la liquidità su base giornaliera. Inoltre seguono l’andamento del mercato piu’ che i fondamentali aziendali».
Questo, aggiunge, determina lo scollamento in atto tra l’economia reale e quella finanziaria. «C’è una forte tendenza da parte degli investitori privati a ricercare investimenti nell’economia reale, vista l’incertezza dei mercati finanziari, e questo mal si concilia con i vincoli dei gestori e con gli appetiti della grande finanza speculativa che non ha pazienza». Con le spac, dall’inizio dell’operazione alla quotazione e alla espressione dei primi risultati di performance possono passare 36 mesi, in cui i soldi stanno fermi o sono impegnati in società inizialmente poco liquide, un periodo molto lungo per i gestori.