ImmigrazioneEuropa: 18 vertici sui rifugiati, zero risultati

Il vertice che si è aperto il 17 marzo è solo l’ultimo di una lunga serie. Intanto 15mila persone sono bloccate a Idomeni, 45mila in Grecia, e sono pure ripresi gli sbarchi nel Canale di Sicilia

Vertici, vertici, vertici. Sulla gestione dei flussi migratori l’Europa ha collezionato riunioni su riunioni. Tutte lunghe, “straordinarie” e “decisive”, ma senza mai trovare una soluzione comune. Tanti annunci, road map, vademecum, ma pochi fatti. Il summit partito il 17 marzo per trovare un accordo con la Turchia che blocchi il flusso dei rifugiati è solo l’ultimo di una lunga serie: il 15esimo in meno di un anno. A cui si aggiungono un vertice “speciale” delle Nazioni Unite, uno della Nato e persino un incontro tenuto da Renzi sulla nave San Giusto con Ban Ki-Moon e Federica Mogherini. Totale: 18.

È il febbraio del 2015 quando si comincia a parlare di “quote migranti” da distribuire tra i Paesi europei. La proposta arriva dall’europarlamentare svedese Cecilia Wikström durante un incontro tra i capi di Stato a Bruxelles.

Chiusa Mare Nostrum, a novembre 2014 era partita Triton. Quando tutti si accorgono che non era stata Mare Nostrum ad attirare i profughi sulle coste siciliane, l’Ue punta altri 13 milioni su Triton. Intanto a febbraio 2015 nel Canale di Sicilia muoiono più di 300 persone. Le organizzazioni che si occupano di migranti chiedono all’Europa di agire.

Bruxelles ci mette due mesi per dare qualche segno di vita. Ad aprile 2015 si comincia a parlare della famosa “agenda” sull’immigrazione. Si elencano dieci punti, tra cui il rafforzamento delle operazioni nel Mediterraneo, la distruzione delle imbarcazioni dei migranti, la possibilità di una ricollocazione di emergenza e il rimpatrio immediato degli irregolari.

Il summit partito il 17 marzo per trovare un accordo con la Turchia che blocchi il flusso dei rifugiati è solo l’ultimo di una lunga serie: il 15esimo in meno di un anno

Il 18 aprile, al largo delle coste della Sicilia, affonda un’altra imbarcazione. Le vittime accertate sono 58, i dispersi sono oltre 700. L’Europa si sveglia e convoca un vertice straordinario. Piovono promesse di navi ed elicotteri da diversi Paesi membri. Ma quando si tratta di spartirsi i rifugiati, ogni Paese ragiona per sé. Italia e Grecia devono vedersela da sole. Il vertice si conclude con un nulla di fatto sulla riallocazione interna dei richiedenti asilo. I leader europei promettono di «valutare opzioni». La riforma delle regole di Dublino non viene neanche citata. È il primo buco nell’acqua sulla questione migratoria.

Due mesi dopo, a giugno, mentre la Francia blinda il confine di Ventimiglia e la stazione di Milano diventa un centro di accoglienza a cielo aperto, i ministri degli Interni dei 28 Paesi Ue si incontrano di nuovo per parlare di immigrazione. Anche questo vertice è un flop: l’accordo sulla ricollocazione dei 40mila migranti arrivati in Italia e in Grecia non si trova. I leader europei si danno appuntamento il 25 giugno prima, il 9 luglio poi. Volano gli stracci e si rimanda tutto al 20 luglio. Si parla degli hotspot da istituire in Italia e Grecia. Ma si litiga sui 40mila rifugiati da ricollocare. Nessuno li vuole. Alla fine si arriva a un accordo al ribasso, con il ricollocamento di 32mila profughi (8mila in meno). I migranti diventano così merce di scambio. Più che una breccia sul muro del regolamento di Dublino, si traccia una fessura attraverso cui si intravede un’Europa piccola piccola, commentano da Oxfam. Non si fa nessun cenno alla possibilità di trovare vie di accesso legali all’Europa, né si arriva a soluzioni di lungo periodo.

I nemici dell’Europa si rivelano gli stessi governi europei. Durante l’estate, in piena crisi migratoria, un piano unitario per affrontare la crisi non c’è. La Francia di Hollande si oppone alle quote, l’Ungheria costruisce un muro anti-immigrati al confine con la Serbia. Mentre Berlino decide a sorpresa di accogliere tutte le domande di asilo, ma solo quelle dei siriani.

I nemici dell’Europa si rivelano gli stessi governi europei. Durante l’estate, in piena crisi migratoria, un piano unitario per affrontare la crisi non c’è

Ad agosto, intanto, si contano ancora centinaia di morti tra il Canale di Sicilia e il mare Egeo. Si comincia a parlare di quote obbligatorie, non più solo volontarie. Ma non si realizzeranno mai. A metà settembre arriva l’ennesimo vertice che si conclude con l’ennesimo nulla di fatto sulle quote per l’accoglienza dei profughi, salite intanto a 120mila. I leader si incontrano di nuovo il 23 settembre. La proposta della Commissione Ue di ridistribuire i rifugiati da Italia e Grecia viene approvata con il voto contrario del neocostituito fronte dell’Est (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Romania). Si comincia a parlare di cooperazione con la Turchia per «meglio fermare e gestire i flussi migratori». Tradotto: ti pago per trattenerli e non farli arrivare in Europa.

A ottobre l’Ue convoca ben due vertici sull’immigrazione. Nel primo si dice sì alla cooperazione con Ankara per la gestione dei flussi: si parla per la prima volta di dare 3 miliardi alla Turchia per trattenere oltre 2 milioni di rifugiati siriani. Nel secondo, la Commissione incontra gli 11 Paesi, tra Ue e non Ue, più esposti al flusso di arrivi dei migranti lungo la rotta balcanica. Da Bruxelles arriva un altro vademecum ben scritto in 17 punti.

A novembre ci si sposta a La Valletta, Malta, dove l’Europa convoca un vertice internazionale sulla migrazione. Viene annunciata l’istituzione di un fondo fiduciario d’emergenza per l’Africa da 1,8 miliardi di euro. I flussi, intanto, nonostante il freddo, non rallentano. Prima di Natale, il consiglio europeo fa di nuovo il punto sull’immigrazione. A gennaio i 28 si riuniscono invece ad Amsterdam per parlare ancora della crisi migratoria. Il trattato di Schengen, ormai sospeso da Nord a Sud, viene messo in dubbio da tutti. Circola lo sconforto tra i rappresentanti europei. Anche Danimarca e Svezia introducono i controlli alle frontiere.

Quasi 15mila persone sono bloccate a Idomeni; 45mila sono ferme in Grecia, altre 1.500 tra Serbia e Macedonia. E altre 100mila ancora dovrebbero arrivare entro fine mese. Sul fronte meridionale, sono ripresi anche gli sbarchi dalla Libia

A febbraio, nel lungo vertice notturno sulla Brexit, si trova una soluzione per tenere in Europa i cugini inglesi, ma non sul ricollocamento dei migranti. L’Austria intanto fa di testa sua: introduce il tetto massimo di 80 richieste di asilo al giorno (nonostante il parere negativo della commissione Ue) e convoca un vertice con i Paesi dei Balcani, escludendo la Grecia.

A fine febbraio il commissario europeo alle migrazioni Dimitris Avramopoulos mette in guardia i suoi: restano pochi giorni al successivo vertice “decisivo” del 7 marzo con la Turchia. Sarà il vertice della svolta, dicono tutti. E invece viene rimandato tutto al 17 marzo: Ankara chiede di ricevere altri 3 miliardi di euro, e che per ogni siriano ammesso in Turchia ne venga accolto uno nell’Ue.

Il gran bazar dell’immigrazione va avanti. Intanto, la rotta balcanica è una trincea di reti di filo spinato. Quasi 15mila persone sono bloccate a Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia; 45mila sono ferme in Grecia, altre 1.500 tra Serbia e Macedonia. E altre 100mila ancora dovrebbero arrivare entro fine mese. Sul fronte meridionale, con il mare buono e i Balcani bloccati, sono ripresi anche gli sbarchi dalla Libia. Dal 2014, i morti in mare per raggiungere l’Europa hanno raggiunto quota 7.500. In compenso, i ricollocamenti ottenuti grazie ai 18 vertici speciali sull’immigrazione, tra Europa, Onu e Nato, sono all’incirca 660. Fate voi le proporzioni.

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