Prigioniero a Palazzo Madama. Il protagonista della surreale vicenda è Giuseppe Vacciano, senatore del gruppo Misto. Vorrebbe lasciare la politica e tornare al suo lavoro, ma non ci riesce. Quello che per tanti è il coronamento di una carriera, per lui è diventata una fastidiosa incombenza. La poltrona non gli interessa. Per due volte ha presentato le dimissioni, altrettante sono state respinte. Il risultato sfiora il paradosso. L’ex Cinque Stelle, impiegato della Banca d’Italia in aspettativa, è costretto a fare il parlamentare contro la sua volontà.
La storia inizia il 22 dicembre 2014, quando Vacciano decide di lasciare il Palazzo. È una questione di coerenza. Lui, attivista grillino da tempi non sospetti, entra in disaccordo con alcune scelte dei vertici pentastellati. È il periodo della nomina del direttorio. In difficoltà di fronte a decisioni che non condivide, il senatore M5S preferisce farsi da parte. Non è una scelta facile. È il tesoriere del gruppo. «Ma lo avevo sempre detto – racconta oggi – quando non mi sarei trovato più in sintonia con il mio gruppo avrei fatto un passo indietro».
Come da prassi presenta una lettera di dimissioni al presidente del Senato Pietro Grasso. Dopo un paio di mesi la sua vicenda arriva in Aula. Il 17 febbraio 2015 Vacciano prende la parola davanti ai colleghi: un intervento accorato per chiedere di lasciare il Palazzo. Racconta dell’impegno con i Cinque Stelle, della scelta di vita “provvisoria” che lo ha portato in Parlamento. Soprattutto, parla del coinvolgimento della famiglia «alla quale ho imposto sacrifici che allo stato attuale non hanno più alcuna giustificazione e che quindi non intendo ulteriormente protrarre». Lo scranno al Senato non lo vuole. Anche se nei confronti del Movimento Cinque Stelle non ha alcun risentimento. «Faccio posto con serenità e in totale libertà – spiega in Aula – a chi al nuovo corso si riconoscerà pienamente e ad esso vorrà aderire con fiducia e convinzione».
In questi mesi qualcuno ha anche provato a offrirgli un posto sicuro in un altro partito, magari una ricandidatura per la prossima legislatura. «Ma io sono sempre stato chiaro – spiega il senatore – Queste cose non mi interessano»
Il Senato respinge le dimissioni. È una consuetudine. Come da tradizione, la prima richiesta viene sempre bocciata. Se un parlamentare è davvero deciso a lasciare il Palazzo deve reiterare la domanda. E così fa Vacciano, che nel frattempo è passato al gruppo Misto. Lo stesso giorno ripresenta la lettera di dimissioni. E tanto per essere sicuro nei mesi seguenti inoltra al presidente Grasso altri nove solleciti. Alla fine dell’estate finalmente si avvicina all’obiettivo. Lo scorso 16 settembre il suo caso torna all’attenzione di Palazzo Madama. Nel frattempo la Camera ha votato le dimissioni dell’ex premier Enrico Letta. Questo, come spiega Vacciano intervenendo in Aula, dimostra «che è possibile, lecito e ragionevole decidere di lasciare la propria carica per motivazioni squisitamente personali legate alla propria sensibilità ed esperienza politica». Si apre un dibattito, ma anche stavolta niente da fare. A scrutinio segreto il Senato respinge di nuovo la sua richiesta. La provenienza dal M5S probabilmente non facilita la procedura. In caso di dimissioni, al posto di Vacciano entrerebbe in Parlamento un esponente grillino. E i partiti della maggioranza evidentemente non hanno troppo interesse che i pentastellati aumentino di numero.
E così lui continua ad aspettare. Della politica attiva ne farebbe volentieri a meno: «Le regole del Movimento Cinque Stelle – racconta Vacciano – impongono al massimo due mandati, ma le posso assicurare che per me già uno era più che sufficiente». L’impegno parlamentare lo vive come “servizio civile”. «Ma adesso basta». In questi mesi qualcuno ha anche provato a offrirgli un posto sicuro in un altro partito, magari una ricandidatura per la prossima legislatura. «Ma io sono sempre stato chiaro – continua il senatore – Queste cose non mi interessano». Vacciano vorrebbe tornare in ufficio. Alle sedute di Palazzo Madama preferisce il suo vecchio lavoro da impiegato. Eppure non ci riesce. «Purtroppo funziona così – allarga le braccia – Quando vieni eletto la tua volontà non conta più. Anche se decidi di andare via sei sottoposto a regole interne. Intendiamoci, il principio è anche giusto. Serve a tutelare quei parlamentari costretti a dimettersi per motivi politici. Ma a pagarne le conseguenze sono quelli come me, che hanno dimostrato l’assenza di qualsiasi pressione e la sincera volontà di lasciare il seggio». Vacciano non demorde. «Quando a settembre hanno bocciato la mia richiesta di dimissioni ho subito ripresentato la lettera alla presidenza». Negli ultimi mesi ha inviato altri due solleciti. «Non mi resta altro da fare. Adesso scriverò a Grasso per la terza volta….».