Moltissime sono state le dichiarazioni nelle ultime settimane riguardo l’olio di oliva in Italia. Bisogna mettere un po’ di ordine, affinché il consumatore abbia tutte le informazioni per poter scegliere “senza trucco e senza inganno” ciò di cui vuole nutrirsi quando si siede a tavola.
Partiamo da un presupposto fondamentale: l’Italia, per sua natura è un paese importatore di olio. Compriamo olio dai paesi europei ed extra-europei e poi lo confezioniamo e lo mettiamo sul mercato come blend, ovvero come miscele di oli.
Un po’ di numeri fondamentali. La campagna olivicola 2014/15, quella dell’anno scorso per capirsi, è stata a dir poco disastrosa: dove non è arrivata la xylella, è arrivata la mosca olearia, senza dimenticarsi anche il fattore climatico che non è stato di aiuto. Sarà bene quindi prendere in considerazione la campagna 2013/14 per avere dei dati che possano dare un’idea più realistica e costante.
Nella campagna 2013/14, abbiamo avuto una produzione di olio di oliva di 461.000 tonnellate, ne abbiamo importate 629.000 ed esportate 376.000 (Fonte: Ismea)
L’Ismea calcola che il consumo nazionale di olio di oliva sia di 662.000 tonnellate, questo significa che l’Italia non è autosufficiente, ma ha bisogno di importare olio di oliva dall’estero.
E da dove prendiamo l’olio di importazione? Il mercato spagnolo è sicuramente la nostra prima fonte di approvvigionamento (558.000 tonnellate nel 2014), seguita dalla Grecia (55.000 t) e dalla Tunisia (25.000 t) (Fonte: Ismea)
E dove esportiamo il nostro olio? I principali paesi sono Stai Uniti (118.000 t), Germania (43.900 t), Giappone (25.500 t), Canada (26.000 t) e i nostri cugini francesi (33.000 t).
Per tornare con un balzo all’anno in corso, a questi dati si deve aggiungere l’importazione senza dazi di 35.000 tonnellate di olio tunisino (in tutta l’UE), che si aggiungono alle 57.000 tonnellate già presenti, andando a formare un totale di 92.000 tonnellate di olio tunisino che entreranno sul mercato europeo a dazio 0. Calcolando che stiamo parlando di importazione su tutto il territorio europeo, l’olio tunisino che arriverà in Italia è una percentuale irrisoria.
In questo caso, quindi, la polemica sulla tanto vituperata invasione dell’olio tunisino sulle nostre tavole, non ha molta ragion d’essere: sì, perchè a guardare bene i numeri non è esattamente della Tunisia che il mercato italiano dovrebbe aver timore, ammesso che di timore si possa parlare. Quello che si deve superare quindi non è un problema di invasione, ma un problema culturale italiano. In Italia infatti siamo convinti che l’olio tunisino sia di minore qualità rispetto a quello italiano o allo stesso spagnolo, che importiamo già ora in gran quantità. Ma questo non corrisponde al vero. L’olio, come tutti i prodotti, non è uno solo e non ha una fascia di prezzo sola. Come per il vino dove si va dal vino in cartone fino al superTuscan, anche per l’olio si va da quello di medio-bassa qualità fino al Dop. Ogni tipologia ha il suo prezzo, ed è il consumatore che deve informarsi e capire quanto è disposto a pagare per un determinato prodotto.
Ecco, il prezzo: bisogna affrontare anche questo elemento perché alla fine è il costo dell’olio che la fa da padrona. Per capire meglio quanto le differenze non siano così marcate, qui di seguito alcuni dati aggiornati ad inizio marzo 2016, espressi in €/KG e raccolti dal sito di Ismea Servizi.
Prezzi olio di oliva italiano:
Prezzi olio di oliva di importazione:
Una considerazione ad hoc invece è doverosa per i prodotti Dop/Igp italiani, quindi certificati e garantiti al 100%. I Dop in Italia che hanno chiesto il riconoscimento all’Unione Europea sono 37 e sono le uniche certificazioni che consentono la garanzia che l’olio prodotto sia un extravergine di oliva proveniente da determinate zone geografiche e con serratissime regole riguardanti l’acidità e la fasi di lavorazione. Tracciabilità ed etichettatura sono le parole d’ordine di queste tipologie di olio Evo. Ed è proprio sul Dop, sul suo tesoro più grande, che l’Italia ha fallito: il mercato del Dop, l’unico che garantisce al 100% la tracciabilità dell’olio di qualità di cui si sente tanto parlare, rappresenta solo il 2% del mercato.
Per dare una quotazione economica anche al Dop, secondo i listini della borsa merci delle varie Camere di Commercio, i prezzi variano da 4,00€/Kg del Dop – Terre di Bari agli 11,50€/Kg del Dop del Garda, passando per i 10,50€/Kg del Dop – Riviera dei Fiori.
E allora come la mettiamo? Facciamo polemiche inutili sull’inesistente invasione dell’olio tunisino o capiamo che non stiamo aiutando il vero olio di qualità italiano?
Questa premessa sulle cifre degli oli italiani, Dop e non Dop, e importati, è doverosa per aprire il grande capitolo dedicato alla “ignoranza” del consumatore quando si trova di fronte agli scaffali del supermercato. Sì perché, al netto di tutte le polemiche che servono solo per alzare un gran polverone, la vera questione è che il prodotto alimentare “olio”, soprattutto nella nostra dieta, è utilizzato tantissimo ma conosciuto pochissimo.
La vera colpa non è soltanto delle istituzioni che non investono (soprattutto nella comunicazione) nei prodotti che fanno grande l’Italia ma anche nel consumatore che, quando si trova di fronte allo scaffale del supermercato, fa delle scelte piuttosto opinabili.
Un piccolo esempio per capirsi: se l’olio extravergine di oliva 100% italiano ha un costo di partenza di € 3,64/Kg (che corrisponde a circa 3,33€/Litro.), e questo è il costo dello sfuso all’ingrosso, senza iva, senza confezione, senza etichetta, senza nessun ricarico, quando lo troviamo al supermercato ad una cifra uguale o minore, due sono le opzioni: o il produttore è stato colto da un improvviso moto di generosità oppure quello che state comprando non è olio evo.
Tutto questo per dire che il consumatore, come si è abituato a conoscere e scegliere altri prodotti alimentari di consumo quotidiano, deve altrettanto informarsi sull’olio che porta in tavola. Bisogna imparare a conoscere ma soprattutto leggere le etichette. Ma soprattutto rendersi conto che l’olio extravergine di qualità ha il suo prezzo.
Altrimenti rischiamo di cenare con un vino da 20 euro, un buon filetto comprato a chilometri zero dal nostro macellaio di fiducia, un’insalatina croccante Bio, ma poi condiamo il tutto con un olio di scarsa qualità che l’extravergine non l’ha visto neanche col binocolo, rovinando peraltro tutti gli altri ingredienti. E allora, che serve?
Che il consumatore compri ciò che vuole, ma che almeno sia informato di ciò che mangia. 350 cultivar italiane e 37 Dop potranno bastare?
Definizioni in breve :
Olio extravergine di oliva – EVO: E’ un olio ottenuto tramite estrazione dalle olive unicamente mediante procedimenti meccanici, con acidità che deve essere minore di 0,8%. Il suo esame organolettico (effettuato da un gruppo di assaggiatori selezionati, riuniti in un Panel Test) rileva che non ha difetti e che ha presenza di fruttato.
Olio di oliva: Olio estratto in modo meccanico dalla olive, con percezione leggera di difetto e acidità che deve essere minore di 2%.
Olio lampante: È ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici, ma non è utilizzabile per il consumo alimentare, con acidità superiore al 2%. E’ sgradevole al gusto e all’odore. Si chiama così perché veniva impiegato come combustibile nelle lampade per l’illuminazione domestica.
Per renderlo commestibile, l’olio viene deacidificato, deodorato e decolorato, ciò permetterà di ottenere l’olio raffinato, cioè un olio inodore, incolore e insapore, che unito ad una piccola percentuale di extra vergine darà origine all’olio di oliva.
Olio di sansa di olive: la sansa è ciò che resta dall’operazione di estrazione, in altri termini lo scarto. L’olio ottenuto, di sansa grezzo e poi raffinato, viene estratto industrialmente per mezzo di solventi chimici; non è commestibile. Lo diventa solo dopo l’aggiunta di olio di oliva vergine.
Olio extravergine di oliva Dop: olio extravergine di oliva che deve attenersi ad uno specifico disciplinare di produzione e sottostare al controllo di un “Ente di Certificazione” indipendente. Ogni disciplinare ha le sue regole. Per dare un esempio, il Dop del Garda, tra le molte regole dettate dal Consorzio di tutela, si riferisce soltanto all’olio Evo ottenuto in determinate zone del lago di Garda, con almeno il 55% della cultivar Casaliva e un’acidità massima dello 0,5%.