Più di 350 milioni di euro, quasi 600 progetti messi a punto: sono questi i numeri per l’Italia di Horizon 2020, il programma europeo destinato a innovazione e ricerca. Ma i rubinetti si potrebbero chiudere, eppure quasi nessuno sta affrontando il problema: sarebbe invece bene farlo, anche per dare un seguito concreto alla giornata di mobilitazione nazionale “Per una nuova primavera delle università” (su twitter: #primaverauniversita) promossa ieri dalla Crui.
Dallo scorso ottobre la Commissione europea ha stabilito – in un documento intitolato “Annotated model grant agreement” – che gli assegni di ricerca, come anche le collaborazioni continuative e i contratti a progetto, non sono costi ammissibili per le rendicontazioni. Peccato che questi siano i più frequenti inquadramenti con cui vengono contrattualizzati e pagati i ricercatori che portano avanti i progetti in questione.
Secondo l’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani la posizione dell’Unione europea dà «un input ben preciso: riformare la figura del pre ruolo». Ma in Italia ci sono, come sempre, visioni contrapposte: se per l’Unione europea i contratti parasubordinati non vanno bene, secondo il Convegno dei direttori generali delle università italiane e per l’agenzia per la promozione della ricerca europea queste tipologie di contratti, per la legge italiana, non hanno nessuna controindicazione e potranno essere rendicontate benissimo ai fini dei fondi Horizon, perché sono assimilabili a quelli subordinati.
Eppure il ministro Poletti è stato chiaro in più occasioni nel dire il contrario: l’assegno di ricerca è un contratto di lavoro parasubordinato. Mentre il tempo passa e si fa reale il rischio che i finanziamenti vadano persi, la politica resta al palo con un disegno di legge da tempo fermo in Senato. E i 65mila ricercatori che rischiano di vedersi sottratti anche i soldi già pagati sono pronti a manifestare…
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