Siria, il ritiro della Russia è più annunciato che reale

È una manovra strategica: risponde a bisogni economici, tecnici e politici. Mosca, con il suo intervento, si è ritagliata una posizione di primo piano e detta le prossime mosse

Con una mossa che ha sorpreso numerosi attori e osservatori della guerra in Siria, Vladimir Putin ha annunciato il 14 marzo l’immediato ritiro delle truppe russe dal Paese mediorientale. «Il compito affidato al nostro Ministero della Difesa e alle nostre forze armate è stato nel complesso eseguito e dunque ho ordinato al Ministero di iniziare da domani il ritiro della maggior parte del nostro contingente militare dalla Repubblica di Siria», ha dichiarato, secondo quanto riferisce la televisione di Stato.

Ma la distanza tra gli annunci e la realtà è ancora da valutare. «È troppo presto per parlare di vittoria sui terroristi. L’aviazione russa ha la missione di proseguire i suoi raid aerei contro obiettivi terroristici», ha aggiunto il 15 marzo il vice ministro della Difesa, il generale Nikolai Pankov, presso la base aerea russa nel Sud-Ovest della Siria. E questo è uno spiraglio da cui potenzialmente può passare qualunque cosa, specie considerando che finora la Russia ha di fatto considerato “terroristi” tutti i ribelli siriani che combattevano il regime di Assad. L’effettiva portata di questa manovra del Cremlino si capirà – e probabilmente si determinerà – nelle prossime settimane.

«Per il momento il ritiro è più annunciato che reale», conferma Claudio Neri, direttore dell’Istituto Italiano di Studi Strategici. «Finora si è parlato solo del rientro di gran parte delle truppe di terra, mentre l’aviazione, l’intelligence e i corpi speciali pare restino operativi in Siria. Va sottolineato come le truppe di terra fossero probabilmente la parte più visibile dell’apparato russo dispiegato in Siria ma quelle con un impatto minore sul conflitto. Per ora possiamo parlare quindi di un ritiro circoscritto alla parte “secondaria” dell’apparato bellico russo. Vedremo nel prossimo futuro quanto diminuiranno i raid aerei e le altre operazioni ordinate da Mosca in Siria. Intanto la vecchia base della marina militare russa a Tartous è stata ampliata e rafforzata, una nuova base aerea è stata creata nei pressi di Latakia e i sistemi d’arma avanzati portati dalla Russia in Siria – come la contraerea S-400 – restano al loro posto. Se il Cremlino dovesse un domani cambiare idea ripartirebbe da una base decisamente più solida di quella che aveva a settembre 2015, quando cominciò l’intervento».

Al di là della portata del ritiro, il quesito che gli esperti si pongono è il “perché” di una mossa tanto repentina. «Se è vero che tra gli analisti nessuno se l’aspettava, è altrettanto vero che da tempo è in corso una trattativa segreta tra America e Russia, forse il vertice decisionale americano ne era al corrente», ammonisce Neri. «In ogni caso bisogna cercare di capire i motivi che hanno spinto Putin a ordinare il ritiro. Secondo me da un lato hanno pesato la questione economica (un intervento del genere è molto oneroso e le casse di Mosca non sono in condizioni ottimali) e quella tecnica (la Siria è fuori dal “giardino di casa” della Russia, le operazioni belliche qui creano problemi per le risorse umane e materiali dell’esercito russo, che pure è stato recentemente ammodernato)».

Dall’altro lato «è in corso una partita diplomatica. Con l’annuncio del ritiro Mosca dà un segnale a tutte la parti coinvolte nelle trattative di pace appena riprese a Ginevra, non solo ai nemici ma anche ai suoi stessi alleati, incluso Assad. Si ritaglia una posizione di primo piano per propiziare un eventuale accordo – l’annuncio del ritiro è funzionale al colloquio politico con gli Usa, e non solo, che prosegue sottotraccia – e allo stesso tempo non compromette la possibilità di ripensarci. Ora può stare alla finestra e osservare le reazioni dei vari attori regionali e internazionali coinvolti nel conflitto siriano».

C’è grande attesa ora per quelle che saranno le prossime mosse della Turchia – la potenza straniera coinvolta in Siria che è stata maggiormente danneggiata dall’intervento russo – e dell’Arabia Saudita (alleata di Ankara in questo conflitto), se proveranno ad approfittare del disimpegno russo o se invece, probabilmente complici le pressioni americane, manterranno lo status quo, cercando di spuntare le migliori condizioni possibili nel negoziato.

«Nella futura trattativa Putin si è ritagliato un ruolo da protagonista», ribadisce Neri. «Può far pesare da un lato del tavolo che è stato il suo intervento a salvare Assad quando sembrava stesse per cadere, e dall’altro il fatto che il vuoto di potere lasciato in Medio Oriente dall’attuale amministrazione americana è stato da lui abilmente riempito (anche a livello di installazioni militari) e che pertanto le sue ragioni non potranno essere ignorate da nessuno, nemici o alleati. Con questo intervento in Siria – conclude Neri – Putin è definitivamente rientrato nel gioco diplomatico internazionale, costringendo gli americani a considerarlo come un attore di primo piano e uscendo dal pantano in cui era sprofondato dopo l’annessione della Crimea».

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