Altro che i salami di Cruciani, il vegetarianismo ha una cultura prestigiosa

Da Plutarco a Ovidio, fino a Machiavelli e a Tasso, vegani, vegetariani e animalisti lo sappiano o meno, sono eredi di una storia millenaria che si è incrinata solo con il meccanicismo cartesiano

Inutile brandire salami come armi e farsi fotografare con conigli morti per irritare la sensibilità animalista, come ha fatto un noto conduttore radiofonico. È grottesco trattare gli animalisti come ignoranti settari e aggressivi spuntati dal nulla.

Perché hanno alle spalle antenati illustri. È ridicolo anche trincerarsi dietro la gastronomia spacciandola per tradizione, quando qui c’è da scendere a patti con Aristotele e Plutarco. La domanda se gli animali abbiano o no un’anima se la sono posta fior fior di filosofi. Altro che paté de fois gras e trippa: qui si tratta di pesi massimi. Vegani, vegetariani e animalisti lo sappiano o meno, sono eredi di una storia millenaria che si è incrinata solo con il meccanicismo cartesiano.

Ma procediamo per ordine, come accade nel libro pubblicato da Mimesis: Bestie, filosofi e altri animali, a cura di Felice Cimatti, Stefano Gensini e Sandra Plastina (pp. 304 € 24). La filosofia “esiste perché c’è il ragno”, scrivono gli autori nell’introduzione con una certa ironia, perché l’uomo ha preso coscienza di se paragonandosi agli altri animali. Non a caso Aristotele incastra “l’animale linguistico”, cioè l’uomo, tra le sue definizioni per generi e differenze, di cui fanno parte i quattro zampe. Il libro attraversa oltre duemila anni di storia, a partire dal IV secolo avanti Cristo, per portarci a scoprire che lo sfruttamento intensivo degli animali discende dal meccanicismo cartesiano, quindi da una visione moderna e poi materialista della vita. Se si nega che l’uomo abbia un’anima, figuriamoci che trattamento si può riservare agli animali. Nei secoli precedenti, la teoria della differenza tra due e quattro zampe è sfociata in un “vero e proprio discontinuismo filosofico”; da una parte stavano quanti impugnavano la mancanza di logos per sancire l’inferiorità dell’animale, dall’altra c’era chi accentuava gli elementi comuni: anche gli animali, provano amore, gioia, dolore e, se non parlano, dispongono di altri mezzi espressivi.

Lo sfruttamento intensivo degli animali discende dal meccanicismo cartesiano, quindi da una visione moderna e poi materialista della vita

Si scade nell’ovvio a rammentare i difensori delle creature più deboli, ma vale la pena farlo: il vegetariano Plutarco, autore di “un manifesto animalista che godrà di grande fortuna”; la difesa delle capacità cognitive del cane di Sesto Empirico; il mito della permanenza dell’animale nelle Metamorfosi di Ovidio. È un crescendo di pensieri a favore dei figli minori di Dio che passa per Gassendi, Machiavelli, Tasso, la francese Madeleine de Scudery.

C’è poi Nietzsche profeta dell’animalità umana e il sommo compositore Richard Wagner, autore di Lettera aperta al signor Ernst von Weber autore dello scritto ‘le camere della tortura’, primo a inorridire di fronte alla vivisezione, espressione di una visione strumentale della natura e della tecnica che avrebbe condotto alla distruzione. Ce n’è per far tacere tanti urlatori, fino a Noam Chomsky e all’animalismo contemporaneo.

Molti grandi della storia hanno amato gli animali e pochi lo sanno, da ambo le parti della barricata. Che di questo si tratta, come accade spesso in Italia: ci si divide in gruppuscoli di litiganti e ci si insulta, ma gli argomenti seri sono pochi. Questo libro ne offre parecchi. Che altro dire? Buona lettura.

X