Classica e rock, le barriere stanno crollando

Il bassista e contrabbassista Simone Masina si racconta: 25 anni su palchi classici, jazz e rock, dall'Italia al Giappone. «Ma in realtà la differenza è sempre minore: Lucio Dalla era un artista pop, ma la sua musica ha lo stesso valore della classica»

Nel suo nuovo libro «Beethoven e la ragazza coi capelli blu» (Mondadori 2016) l’autore, il direttore d’orchestra e pianista Matthieu Mantanus, mette al centro della storia una giovane musicista che suona ad alto livello sia il basso elettrico in una rock band sia il contrabbasso in un’orchestra sinfonica. Musicisti “di confine”, ma non così rari come si potrebbe pensare. Con la rubrica #Beethoveninblue il JeansMusic Lab raccoglie e racconta le loro storie in una serie di interviste “crossover”

Simone Masina, bolognese, ha quasi 40 anni e da venticinque ha la musica che gli scorre nelle vene. Ha iniziato con il rock per poi passare attraverso la classica e il pop. Oggi, dopo aver suonato in molte orchestre, è membro fondatore del Ludus Gravis, formazione composta da otto contrabbassi; di Peekaboom, un duo di voce e contrabbasso combinato alla musica elettronica; e della cover band Muppets. I prossimi mesi si prospettano impegnativi: in estate uscirà il primo disco del Ludus Gravis per la prestigiosa etichetta ECM, e ai concerti dell’ottetto si alterneranno il tour dei Peekaboom e quello dei Muppets.

“Inizialmente volevo solo divertirmi senza studiare troppo. Poi la mia famiglia, che non finirò mai di ringraziare per il supporto, mi disse “Se vuoi fare questa cosa, falla bene” e così a 19 anni, subito dopo la maturità, iniziai a frequentare una scuola di musica privata”


Simone Masina

Quando e perché ha cominciato a suonare?
Avevo circa 15 anni: il mio migliore amico, con cui condividevo la passione per l’heavy metal, decise di avvicinarsi alla chitarra. Io invece fui immediatamente incuriosito da quello strumento con le corde “grosse” e dal ruolo non immediatamente intellegibile. Poco dopo ebbi l’occasione di mettere le mani su quello che sarebbe diventato il mio primo basso e fu subito amore a prima vista. Frequentavo una scuola d’arte, ma decisi subito di abbandonare gli studi artistici per concentrarmi su quelli musicali.

Quindi ha cominciato prima con il rock?
Esatto. Inizialmente volevo solo divertirmi senza studiare troppo. Poi la mia famiglia, che non finirò mai di ringraziare per il supporto, mi disse “Se vuoi fare questa cosa, falla bene” e così a 19 anni, subito dopo la maturità, iniziai a frequentare una scuola di musica privata. Lì mi sono avvicinato allo studio del contrabbasso e ho preparato i primi esami che ho conseguito da privatista al conservatorio. Non ero molto interessato alla musica classica, ma il mio insegnate di contrabbasso mi disse “Questo è uno strumento ad arco, e se lo vuoi studiare devi studiare l’arco”. Lo feci, e fu così che iniziai i miei studi classici.

C’è un professore che ricorda in maniera particolare?
Per me la definizione di “maestro” è di una figura che decidi di seguire in ogni modo, di cui segui i consigli senza porti troppe domande, perché sai che puoi fidarti. È importante avere una figura del genere nel proprio percorso artistico, perché sono quelle che ti fanno raggiungere nuovi obiettivi. Daniele Roccato, mio insegnante di contrabbasso, rappresenta proprio questa figura: non risparmia mai critiche costruttive nei miei confronti. Con lui mi sono laureato in contrabbasso presso il conservatorio di Perugia. E recentemente ho conseguito una seconda laurea in basso elettrico jazz presso il conservatorio di Ferrara.

Perché tra tanti strumenti classici ha scelto proprio il contrabbasso?
Adoro le note basse, trovarsi in una fila di otto contrabbassi che suonano una sinfonia e avvolgono di suono tutta la sala è un’esperienza strepitosa. Oggi non potrei mai pensarmi senza il mio strumento. Mi sento molto più a mio agio con il contrabbasso a fianco che senza!

Perché il contrabbasso? Perché adoro le note basse: trovarsi in una fila di otto contrabbassi che suonano una sinfonia e avvolgono di suono tutta la sala è un’esperienza strepitosa.


Simone Masina

Non capita tutti i giorni che un musicista classico suoni anche altra musica… i suoi colleghi “classici” cosa dicono?
Recentemente ho rivisto parecchi colleghi ad un’audizione e ho ricevuto molti complimenti per i miei video! Credo che la figura del musicista classico poco incline a considerare gli altri generi stia sparendo. Tutti sono più “aperti” ed è una cosa positiva! Anche quando si tratta di ascoltare musica, io ascolto di tutto! Dalla dance pop più banale per accompagnare i lunghi viaggi alla più complessa musica contemporanea, quando ho voglia di qualcosa di più impegnativo.

Si sente diverso per questa capacità di praticare più generi?
Ho lavorato con musicisti strepitosi che hanno dedicato tutta la loro carriera allo studio di un determinato periodo storico musicale. Altri, come me, amano “investire” le proprie energie diversificando. Suonare tanti “generi” diversi porta sicuramente tanti vantaggi, ma è importante affacciarsi ad ogni stile con rispetto per la tradizione e senza presunzione o superficialità.

Cosa le trasmette il pop che la classica non le dà?
Studiare classica ti permette di conoscere in maniera “intima” musica senza tempo, i capolavori dei più grandi musicisti. La musica popolare è un modo di esprimere poesie e arrivare facilmente con la musica al cuore di chi ascolta. Ma in realtà la differenza è sempre minore: Lucio Dalla era un artista pop, ma la sua musica ha lo stesso valore della “classica”.

“Il frac è scomodo e lo riserverei solo a particolari occasioni ed eventi. Se chi paga per un tuo concerto è in jeans e camicia, perché non lo puoi essere anche tu che suonerai? Il look è importante ma non deve essere imposto”


Simone Masina

Il rapporto con il pubblico cambia quando suona in orchestra o nei Peekaboom o nel Ludus Gravis?
Certo! Per esempio, io adoro interagire con il pubblico dopo un concerto. Ma questo non succede quasi mai dopo un concerto classico, purtroppo. Invece dovrebbe accadere più spesso, in fondo pubblico e orchestra sono presenti entrambi in sala! È come parlare di un film appena visto al cinema, ognuno avrebbe un’osservazione interessante da fare, poco importa se fosse sul palco o in platea.

Qualche momento importanti della sua vita professionale?
Uno in particolare: lavorare a stretto contatto con Stefano Scodanibbio, genio del contrabbasso, durante la composizione della sua opera Ottetto. Sebbene provato dalla malattia degenerativa, la Sla, ogni giorno scriveva pagine e pagine di musica meravigliosa ed attendeva con l’entusiasmo di un bambino che noi del Ludus Gravis gliela suonassimo nel soggiorno di casa sua.

Quali differenze ha notato fuori dall’Italia nel modo di percepire la musica classica?
Suono spesso e volentieri all’estero: ho lavorato come primo contrabbasso per un breve periodo in Giappone, mentre con il Ludus Gravis ho suonato in Spagna, Norvegia, Danimarca, Germania, Lituania e Lettonia. In generale, il pubblico del nord e est Europa è molto più attento a qualsiasi scena musicale, probabilmente perché la cultura è considerata un bene prezioso. Noi italiani non siamo una causa persa, ma semplicemente siamo vittime di una cattiva educazione musicale/artistica che andrebbe completamente riconsiderata.

Qual è a suo avviso il social network più importante per veicolare la sua musica?
YouTube e Facebook sono importanti, ti offrono possibilità altrimenti impensabili di raggiungere pubblico e colleghi con i tuoi progetti. Ma rimango tuttavia spesso basito nel vedere la facilità e superficialità con cui la gente pubblica le proprie “discutibili” performance sul web. Qualcuno dovrebbe farglielo notare!

Abbigliamento e assenza di video e luci nei concerti classici allontanano i giovani?
Il frac è scomodo e lo riserverei solo a particolari occasioni ed eventi. Se chi paga per un tuo concerto è in jeans e camicia, perché non lo puoi essere anche tu che suonerai? Il look è importante ma non deve essere imposto. Quanto a luci e video, se usate con parsimonia hanno un potenziale enorme. D’altronde bisognerebbe ricordarsi che il concerto nasce come forma di intrattenimento: alla fine l’unica cosa che conta è solo la qualità della musica.

Le viene in mente qualche esempio in cui il look non è imposto nei concerti classici?
A parte la Jeans Symphony Orchestra del maestro Mantanus, non conosco altre orchestre che si esibiscono in abiti “casual”. Ma, lo ripeto, non ci vedrei nulla di male a modernizzare il look di un’orchestra, se la motivazione di base è valida!

Intervista di Marianna Lepore per JeansMusic Lab

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