Trivelle Cosa c’è sotto le trivelle

Dal numero delle concessioni in mare ai pozzi di terra in attività, dalla produzione in barili al consumo: tutti i numeri sulle trivelle in Italia

Il referendum del 17 aprile sulle trivellazioni riguarda solo le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare entro le 12 miglia marine dalla costa italiana. Il quesito interessa tutti i titoli abilitativi all’estrazione e alla ricerca di idrocarburi già rilasciati e interviene sulla loro data di scadenza. Non ha invece effetto sulle concessioni a terra né su eventuali nuove richieste di concessione entro 12 miglia dalla costa: la Legge di Stabilità 2016, infatti, ha modificato il d.l. 152/2006 e – a prescindere dal risultato del referendum – vieta il rilascio di nuove concessioni entro le 12 miglia.

Attualmente, le concessioni per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in mare sono in tutto 69. Solo 35 di queste si trovano entro le 12 miglia. Di queste, 3 sono inattive, 5 nel 2015 sono risultate improduttive e 1 (Ombrina Mare, al largo dell’Abruzzo) è sospesa fino alla fine del 2016. Restano produttive 26 concessioni per un totale di 79 piattaforme marine (off-shore) che estraggono idrocarburi da 463 pozzi sottomarini. La maggior parte si trovano nell’Adriatico romagnolo e marchigiano (47 piattaforme alimentate da 319 pozzi). Segue l’Adriatico abruzzese (22 piattaforme collegate a 70 pozzi), il Mar Ionio (5 piattaforme e 29 pozzi) e il Canale di Sicilia (5 piattaforme e 45 pozzi). Di tutte queste piattaforme, solo 8 hanno una produzione rilevante. Fra queste, le tre più ricche sono quelle abruzzesi di Rospo di Mare: forniscono poco meno di 250 mila tonnellate equivalenti di petrolio/anno.

Attualmente, le concessioni per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi in mare sono in tutto 69. Solo 35 di queste si trovano entro le 12 miglia. Di queste, 3 sono inattive, 5 nel 2015 sono risultate improduttive e 1 (Ombrina Mare, al largo dell’Abruzzo) è sospesa fino alla fine del 2016.

A terra, abbiamo 11 pozzi estrattivi in attività (on-shore), compresi gli impianti di Trecate in provincia di Novara già quasi del tutto esauriti. 119 sono le concessioni di coltivazione (che includono gli impianti di ricerca) già autorizzate dal Ministero dello sviluppo.

L’estrazione di petrolio a terra si concentra in Sicilia (provincie di Enna, Gela e Ragusa), Basilicata (Val d’Agri) e davanti alle coste di Abruzzo e Marche. Un giacimento di dimensioni medio piccole si trova in provincia di Frosinone.

Nel dettaglio, in Sicilia, Eni è operatore in 12 concessioni di coltivazione nell’on-shore e 3 nell’off-shore siciliano; queste nel 2014 hanno prodotto circa l’11% della produzione Eni in Italia. I principali giacimenti sono Gela, Ragusa, Tresauro, Giaurone, Fiumetto e Prezioso.

Nel Mare Adriatico e Ionico i giacimenti hanno fornito nel 2014 il 46% della produzione Eni in Italia, principalmente gas. I più rilevanti sono Barbara, Annamaria, Angela-Angelina, Porto Garibaldi, Cervia, Bonaccia, Luna e Hera Lacinia. Le principali attività di sviluppo hanno riguardato il completamento dei programmi di realizzazione e la messa in produzione dei giacimenti Fauzia ed Elettra nell’off-shore Adriatico e la prosecuzione delle attività di manutenzione e miglioramento impiantistico sulle infrastrutture energetiche italiane.

Nel settore dell’Appennino Centro-Meridionale, Eni è operatore della concessione Val d’Agri (col 60,77%) in Basilicata. La produzione proveniente dai giacimenti Monte Alpi, Monte Enoc e Cerro Falcone è trattata presso il centro olio di Viggiano. Prosegue il programma di sviluppo oggetto di accordo con la Regione Basilicata nel 1998: i lavori per l’installazione di una nuova linea di trattamento gas continuano con l’obiettivo di migliorare le performance ambientali della centrale di trattamento; continua e viene ulteriormente migliorato il Piano di Monitoraggio Ambientale: un progetto di eccellenza a tutela dell’ambiente. Inoltre, attraverso il Piano d’Azione per la Biodiversità in Val d’Agri, Eni persegue le migliori pratiche di tutela dell’ambiente naturale. Intanto, proseguono le azioni a supporto dello sviluppo culturale, sociale e turistico oltre che interventi a sostegno delle attività agricole e agroalimentari.

Secondo gli ultimi rilevamenti disponibili, in Italia sono presenti riserve per 619 milioni di barili di petrolio. Queste vengono estratte al ritmo di 114.000 barili al giorno. L’Italia però consuma 1.235.000 barili al giorno (nel 2000 prima delle crisi erano oltre 1.854.000) pari a 7,42 barili di petrolio per ogni cittadino ogni anno (nel 2000 erano quasi 12).

Secondo gli ultimi rilevamenti disponibili, in Italia sono presenti riserve per 619 milioni di barili di petrolio. Queste vengono estratte al ritmo di 114.000 barili al giorno. L’Italia però consuma 1.235.000 barili al giorno (nel 2000 prima delle crisi erano oltre 1.854.000) pari a 7,42 barili di petrolio per ogni cittadino ogni anno (nel 2000 erano quasi 12).

Sul fronte del gas, invece, in Italia si trovano riserve per 53 miliardi di metri cubi di gas. Questi vengono estratti al ritmo di 6.98 miliardi di metri cubi all’anno.

Però consumiamo 995 metri cubi di gas a testa ogni anno. Gran parte dell’energia siamo costretti a comprarla all’estero: siamo il quarto paese importatore a livello mondiale con 54,47 miliardi di metri cubi all’anno; battuti, in questa triste gara alla dipendenza energetica, solo da Giappone, Germania e Stati Uniti. In particolare, ne importiamo dalla Russia 26,2, dall’Algeria 6,4 dalla Libia 6,5, dai Paesi scandinavi 11,4 dalla Croazia 0,3. Come Gas Naturale Liquefatto ne importiamo 4,4 dal Qatar e 0,5 dall’Algeria.

Per questo negli ultimi anni – anche in seguito alle instabilità nei Paesi esportatori – sono aumentati gli investimenti per la ricerca di idrocarburi entro i confini nazionali. Seppure con alcuni limiti: come abbiamo detto, nell’ultima Legge di Stabilità sono state bloccate le ricerche e le estrazioni in mare entro 12 miglia dalla costa: era questo l’estremo tentativo del governo di evitare il Referendum anti trivellazioni. La consultazione era stata richiesta da 9 consigli regionali: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Assenti proprio la Sicilia e l’Abruzzo dove sono concentrati i pozzi e le piattaforme più produttive. Degli otto quesiti originali, la Corte Costituzionale ha ammesso il Referendum solo per un unico quesito. Il 17 aprile gli italiani dovranno dire sì o no al rinnovo di sole 21 concessioni estrattive già in essere per giacimenti entro le 12 miglia dalla costa.

Il comitato promotore sostiene che per la scansione dei fondali viene utilizzato l’air gun che danneggia pesantemente l’ambiente marino. Ci guadagnano solo le compagnie petrolifere e il greggio individuato è insufficiente per il fabbisogno italiano. Le riserve equivalgono a 6-7 settimane di consumi di petrolio e 6 mesi di gas.

Per i contrari al Referendum, fermare le estrazioni significherebbe perdere investimenti e posti di lavoro. Il rischio di incidenti nel settore è molto basso: solo 3 negli ultimi 65 anni. Due a terra (Cortemaggiore nel 1950 e Trecate nel 1994 e 1 in mare a Ravenna nel 1965).

Comunque vada il Referendum, la disponibilità di fonti energetiche è fondamentale per il progresso del Paese e per il benessere della comunità. Quando decidiamo cosa fare il 17 aprile, ricordiamoci che il nostro Paese, denuclearizzato in forza di un altro Referendum nel 1987, dipende principalmente dall’estero per la propria Energia, e la importa soprattutto da Paesi inaffidabili.

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