Il maiale italiano attraversa un momento difficile. «Giovedì, a Mantova, siamo scesi sotto la linea dell’1,20 euro al chilo per i suini atti alle produzioni DOP», dice Giorgio Apostoli, responsabile zootecnia di Coldiretti. «Una mezza catastrofe: per noi i centesimi sono molto importanti. Siamo abbondantemente sotto i costi di alimentazione degli animali», che pesano per il 60-65 per cento del costo totale.
L’allevamento di suini, in Italia, è in media di nove milioni di capi, con la provincia di Brescia in testa (seguono Mantova, Cuneo, Reggio Emilia e Modena). L’80 per cento serve per i prodotti DOP italiani, come il prosciutto di Parma e il San Daniele, ma anche i salumi calabresi. Per garantire la loro qualità, la produzione deve seguire un rigido disciplinare, che regola le modalità di allevamento e in particolare l’alimentazione. I disciplinari garantiscono che i DOP siano fatti con la carne di maiali allevati in Italia.
Ma come dice il proverbio, del maiale non si butta via niente (lo scriveva già Plinio il Vecchio nella Naturalis historia, nel primo secolo d.C.). E molti altri prodotti suini ricadono invece sotto il marchio IGP, come la mortadella di Bologna, lo speck, lo zampone di Modena: in questo caso, l’obbligo di allevamento in Italia non c’è. Lo stesso vale per le carni suine fresche, come la fettina o il lombo.
Gran parte degli animali, per quelle produzioni, provengono dall’estero, che è in grado di fare prezzi più bassi. In concreto, nel 2014 sono stati importati 62,3 milioni di cosce di maiali dall’estero per essere stagionate o cotte, a fronte di una produzione italiana di circa 23 milioni.
***
Il Porco è ghiotto e tiene in allegrezza / la casa tutta, e quanto egli è più grasso /
tantopiù ciaschedun l’ama e l’apprezza
La storia del maiale, in Europa, si intreccia con quella dell’uomo. Fu addomesticato intorno al VII-VI millennio a.C., quando l’uomo divenne sedentario. «Fino a quando gli uomini sono stati nomadi, i maiali sono rimasti selvatici», scrive Michel Pastoureau ne Il maiale. Storia di un cugino poco amato (Ponte alle Grazie, 2014). Pastoureau è un antropologo, storico e araldista francese, classe 1947, che si è meritato la definizione di «uno dei più autorevoli esponenti mondiali di colori e animali». Nel suo libro, Pastoureau mostra la grande fortuna simbolica del porco fin dai tempi più antichi.
Poiché il maiale non poteva transumare, è stato addomesticato dopo la pecora, il cane e la capra. Era l’allevamento per eccellenza dei popoli sedentari del bacino del Mediterraneo antico, e in quanto tale visto con antipatia da chi ancora era legato al nomadismo. Forse è per l’odio nei confronti degli stanziali Cananei che la religione del popolo ebraico, rimasto nomade più a lungo, ha istituito un rigido divieto di alimentazione – e anche di semplice contatto – nei confronti del suino.
Divieto che è arrivato fino alla proibizione assoluta di allevamento dei maiali nel neonato stato di Israele, subito dopo la Seconda guerra mondiale, che in forma attenuata dura ancora oggi. Ma la questione è molto dibattuta tra gli storici, anche perché il divieto non sembra discendere da motivazioni igieniche e altri popoli del Medio Oriente antico facevano largo consumo della carne di maiale.
Per tutto il Medioevo, il maiale era una presenza familiare tanto nei boschi – per secoli il luogo del pascolo per eccellenza dei suini – quanto nelle città. Gli editti delle autorità contro il razzolare libero dei maiali nei centri urbani francesi non si contano, segno da un lato di quanto fosse una pratica comune e dall’altro dei grandi problemi che causava il circolare libero del porco per le strade, i giardini, i parchi, persino i cimiteri.
Nel 1131, il figlio del re di Francia Luigi VI il Grosso, il quindicenne principe Filippo, morì in seguito a una caduta da cavallo dopo aver urtato un maiale errante in un sobborgo di Parigi. Sarebbe entrato nei libri di storia, lui e il maiale, come Rex Philippus a porco interfectus, “il re Filippo ucciso da un suino”.
Chi possedeva un maiale, durante il Medioevo, era ricco. Fino allo sviluppo dell’allevamento industriale, nelle campagne il porco di casa viveva separato dagli altri animali, in uno spazio a lui riservato vicino all’abitazione dei padroni. Ancora oggi, in tedesco, si usa l’espressione Schwein haben (letteralmente “avere un maiale”) per significare “aver fortuna”.
È il motivo per cui i primi salvadanai ebbero la forma del maiale e i porcelli diventarono, per esteso, di ricchezza spropositata o di gretta avarizia. Quando George Harrison scrisse Piggies, uno dei brani del White Album, con l’intento esplicito di fare una satira sociale, non fece altro che dare altra fortuna all’antica simbologia.
***
Le mascelle del Porco servono a coloro che fanno carte da giocare,
perché con esse fregandole le danno il lustro e
le fanno più domestiche da maneggiare
Oggi il mercato dei suini è europeo e gli allevamenti italiani soffrono la concorrenza. Nel complesso, più di un terzo del nostro fabbisogno è importato da Germania, Spagna, Olanda e Danimarca. Ma se la maggioranza della nostra produzione è destinata ai prodotti DOP di qualità, che deve essere allevato in Italia, perché anche il prezzo cala così tanto?
Il problema sta nel fatto che i prosciutti più pregiati si fanno con le sole cosce. Gli animali italiani sono mediamente di 165-175 chili, molto pesanti proprio per avere due grandi cosce. «Poi c’è tutto il resto del corpo che bisogna valorizzare», spiega Apostoli della Coldiretti. Il prezzo delle cosce, prima del Duemila, equivaleva al 40 per cento di quello del resto del corpo, ma la percentuale negli ultimi anni si è andata abbassando. Allo stesso tempo, la carne estera, non legata ai rigidi disciplinari di produzione, fa calare il prezzo delle altre parti. Di conseguenza, tutto l’animale vale di meno.
«Non c’è paragone tra l’allevamento italiano e come viene fatto all’estero», sottolinea Apostoli. Fuori dall’Italia, non legati alla necessità di avere due grosse cosce per i prosciutti pregiati, gli animali sono più piccoli e vengono fatti crescere più in fretta. Gli incrementi di peso sono di solito sopra il chilo al giorno, mentre negli allevamenti nostrani si resta di solito sotto, e si fa un uso molto più massiccio di antibiotici, in particolare in Germania. Anche l’alimentazione è molto diversa. All’estero, i maiali «mangiano anche gli scarti degli scarti dell’industria alimentare», dice Apostoli.
***
Hor che ve ne pare di questo galante bestiolo? Parvi che la madre Natura
l’habbia adornato di tutte quelle belle qualità
che dare si possono a un altro animale irragionevole?
Nei secoli e nelle culture il maiale, scrive Pastoureau, ha sempre oscillato tra l’essere un simbolo molto positivo e uno molto negativo. È una caratteristica comune a molti animali, ma nel caso del suino a prevalere sono stati alla fine i caratteri negativi. Il caso dell’antico Egitto è esemplare: il consumo della carne del maiale diminuì fino a scomparire intorno alla metà del II millennio a.C., mentre il suo uso religioso si trasformò. Da essere l’animale dato in sacrificio al dio del Nilo, Osiride, il porco diventò l’offerta per la divinità demoniaca Seth, che a volte veniva rappresentato come un maiale nero che divora la luna.
Animale sfortunato, insomma, il nostro porco. Se nell’immaginario di oggi associamo il maiale – oltre che alla sporcizia e all’avarizia – anche alla lussuria, non è stato sempre così: prima che diventasse l’amico dell’uomo per eccellenza, il simbolo degli smodati appetiti sessuali era il cane. Poi il cane entrò nelle nostre case, pensare di usarlo per fini alimentari diventò una barbarie, e il maiale, che rufolava per le strade e le piazze, si addossò anche il peso di essere la bestia lasciva per eccellenza.
Per le involontarie ironie della storia, il maiale è anche stato considerato, per moltissimo tempo, l’animale dall’anatomia più simile all’uomo. Gli studi più recenti – oltre a confermare la sua intelligenza – sembrano indicare che la percentuale del DNA in comune tra l’uomo e il suino è di poco inferiore a quella in comune con lo scimpanzé.
Gli autori medici greci e arabi scrissero che la disposizione degli organi interni era la stessa, e nel corso del Medioevo, visto il divieto ecclesiastico, nelle università si faceva lezione agli studenti dissezionando un porco. Ricordate il famoso quadro di Rembrandt che ritrae la lezione di anatomia? Pochi decenni prima, su quel tavolo ci sarebbe stato un suino.
***
Al Porco dunque primamente daremo titolo e nome
di buon musico per la gorga e la buona dispositione;
e ha un basso profondissimo e un falsetto mirabile
Come fu per lo sfortunato re di Francia, la storia del maiale e quella dell’uomo si intrecciano a livelli inaspettati. Le difficoltà dell’allevamento suino italiano hanno a che fare con quanto avvenuto ai confini dell’Europa nel 2014. «Una buona parte di questa crisi – dice Apostoli – sta nella chiusura del mercato russo»: la ritorsione contro le sanzioni internazionali a causa dell’annessione della Crimea ha portato a una stretta dei prodotti alimentari importati dall’Europa.
L’esportazione verso la Russia non era particolarmente importante per il mercato italiano, quanto per gli altri Paesi di allevamento del suino. In particolare la Germania, la Spagna e l’Olanda ora fanno pressione per esportare al di qua delle Alpi quantità maggiori di prodotto, portando a un abbassamento dei prezzi. A conti fatti, negli anni della crisi l’allevamento di maiali italiani è calato di 7-800 mila capi all’anno, mentre la Spagna ha visto un exploit a doppia cifra.
Gli allevatori chiedono alle autorità italiane che venga messo in etichetta il paese di provenienza dell’animale. Sapere che un prosciutto crudo o cotto è fatto con maiali polacchi o spagnoli, dicono, sarebbe già una misura sufficiente per portare i consumatori a scegliere più spesso prodotti italiani, che sono più cari ma non temono confronti sulla qualità. Plinio il Vecchio scriveva che la carne di maiale ha cinquanta sapori diversi; gli altri animali, al contrario, soltanto una. La storia del nobile suino ha almeno attrettante sfumature – ed è una storia che continua.
* Le citazioni nel corso del testo provengono da L’Eccellenza e Trionfo del Porco, di Giulio Cesare Croce (Pendragon, 2012)