Terreni, bonifiche e progetti che iniziano a finire congelati ancora prima di cominciare. La strada del dopo Expo, lastricata dalle buone intenzioni, è più che altro avvolta nella nebbia. Nebbia che permane sulla partita delle bonifiche e sul progetto di spostare a Rho-Fiera le facoltà scientifiche dell’Università di Milano. Tentativi di sanare eventuali buchi di bilancio della manifestazione da una parte e progetti messi sulla carta con fondi non certi che finiscono nel cassetto. Insomma, la casa in Svizzera non dichiarata di Beppe Sala rimane una quisquilia da campagna elettorale. L’ex amministratore delegato potrebbe dover presto preoccuparsi di ben altri problemi, e i “gufi” non c’entrano.
Le mancate rendicontazioni sulle bonifiche
Da una parte il gruppo Cabassi, dall’altra Expo e Arexpo. La possibilità di vedere in tribunale gli ex proprietari di circa il 30% dei terreni su cui è sorta l’esposizione e la società che quella esposizione ha realizzato è sempre più alta. I costi delle bonifiche, o meglio, dei cosiddetti riporti di terra, non tornano, come non sono mai tornati. In ballo ci sono 29 milioni di euro che Arexpo, società proprietaria dei terreni che furono di Fondazione Fiera Milano e degli stessi Cabassi, pare sia determinata a chiedere a titolo risarcitorio agli stessi ex proprietari. «Una vicenda paradossale – dice a Linkiesta il legale del gruppo Cabassi Giuseppe Di Giovanna – per cui se ci sarà da andare in tribunale ci andremo».
La vicenda affonda le radici nel 2011, prima della compravendita dei terreni. Sui terreni dei Cabassi, su cui precedentemente sorgeva una azienda agricola, furono individuati, tramite le analisi del gruppo MM, tre punti di contaminazione per una bonifica prevista di 100 mila euro. Alla fine l’accordo tra Expo e il gruppo Cabassi si chiuse a quota 250 mila euro con l’accordo di una rendicontazione da parte di Expo «che mai ci è pervenuta. Oggi – spiega Di Giovanna -non abbiamo ancora compreso cosa abbiano fatto con quei denari nonostante le ripetute richieste di documentazione da parte nostra». In tutto all’avvio della manifestazione i costi stimati di bonifica a carico degli ex proprietari dei terreni ammontavano a 6 milioni, di cui 250 mila euro in capo ai Cabassi e il resto a Fondazione Fiera, che si trovava nella doppia posizione di venditore del terreno e socio di Expo.
«Stiamo ancora aspettando la rendicontazione sulle bonifiche sui nostri terreni e apprendiamo fatti e cifre dai giornali. A noi non è arrivata nessuna comunicazione in merito. Se c’è da andare in tribunale ci andremo e chiederemo il rispetto dei i termini dei contratti»
Sono poi i giornali a tirare fuori le cifre a manifestazione finita: prima 73 milioni, messo nero su bianco da un documento del Consiglio di Amministrazione di Expo Spa, che scendono a 29. «Pensavamo che Arexpo intervenisse per risolvere l’arcano, ma niente si è mosso. Ci chiediamo anche come d’un tratto questi costi di bonifica o riporto terre, che sono due cose molto differenti, siano scesi di 44 milioni», chiosa Di Giovanna. Insomma, «non vorremmo essere noi a farci carico di un buco di bilancio e che in realtà tutto sia un enorme problema di comunicazione».
Senza dimenticare le impennate dei costi per la “rimozione delle interferenze”, cioè la pulizia dei terreni, per cui la Cmc di Ravenna alla fine ha messo nero su bianco varianti per 77 milioni di euro.
La Statale a Expo finisce nel cassetto
La sabbia nella clessidra ha cominciato a scorrere alla fine di ottobre ma sul dopo Expo, nonostante i roboanti annunci di Matteo Renzi, si è mosso poco e niente, tanto che il progetto di portare le facoltà scientifiche dell’Università Statale di Milano sui terreni che furono dell’esposizione è a serio rischio naufragio. Costi troppo alti (350 milioni di euro), intenti rimasti sulla carta e conti fatti su fondi tutti da rimediare. Il tutto condito da un segnale inequivocabile: la prosecuzione, scrive Il Sole 24 Ore, della ristrutturazione dei locali dell’ateneo nel quartiere di Città Studi con un investimento da 40 milioni.
Dalla chiusura dei cancelli dell’esposizione il rettore della Statale Gianluca Vago ha espresso dubbi sul piano a più riprese, soprattutto in tema di finanziatori e fondi. Secondo il dossier presentato a giugno dello scorso anno da Agenzia del Demanio e Cassa Depositi e Prestiti l’Ateneo avrebbe dovuto trovare le risorse tramite valorizzazione e dismissioni degli immobili dell’Ateneo per circa 200 milioni di euro.
Insomma la Statale si sarebbe autofinanziata lo spostamento mettendo sul mercato i propri beni. Su quel mercato però pare non arrivare nessuno di interessato, nonostante ci sia in campo anche il decreto cosiddetto Sblocca-Italia che agevolerebbe gli iter urbanistici e la rimozione di vincoli storico-artistici per il riutilizzo degli spazi degli enti sul mercato privato. Oltre ai 200 milioni supposti, e che tardano ad arrivare, derivanti dalla vendita degli edifici di Città Studi altri 160 milioni sarebbero dovuti arrivare presumibilmente da Cassa Depositi e Prestiti, in cui Giuseppe Sala mantiene un ruolo in Consiglio di Amministrazione senza colpo ferire.
Conti fatti senza l’oste. In meno di un anno i numeri si sono ribaltati, portando a 100 milioni i ricavi previsti per la vendita degli immobili di proprietà dell’Ateneo e a 250 milioni il finanziamento di Cassa Depositi e Prestiti. Anche in questa situazione però nessuno si affaccia alla finestra e la Statale si prepara a congelare il progetto lasciando così un buco importante nei 500mila metri quadrati di eredità. Il progetto sponsorizzato in lungo e in largo da Matteo Renzi, quello dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, infatti occupa circa 30mila metri quadrati dell’intero terreno su cui è sorta l’esposizione, quindi una piccolissima parte.