Una serata a suo modo storica quella che ha visto protagonista il Presidente della Bundesbank Jens Weidmann, in visita lo scorso 26 aprile a Villa Almone, la residenza romana dell’ambasciatore tedesco. Una serata sul cui significato bisognerà riflettere. Perché o tutto è frutto del caso oppure c’è qualche movimento profondo che sta attraversando la politica europea e di cui questa visita è solo la punta dell’iceberg. La scelta della data, a meno di un mese dal tradizionale appuntamento con le Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. La scelta della città- Roma e non Milano o un’altra città più “neutrale” – e della sede – l’ambasciata e non una università.
Nessun controllo di documenti all’ingresso, misure di sicurezza nulle o così discrete da risultare invisibili. Parla appoggiandosi ad un leggio, in mezzo al pubblico e con le prime file a meno di un metro. Non ha timore di dire quello che pensa e si esprime con un linguaggio semplice, facendo ricorso a metafore bibliche (i pesci, la manna, …). Accetta le domande dal pubblico e risponde con educazione ma senza alcuna volontà di compiacere la platea. Un leader, insomma, che si sente e agisce come se fosse a casa propria. E la fase del Q&A, con le osservazioni molto critiche di Fabio Panetta, membro del Direttorio della Banca d’Italia, toglie ogni dubbio che lo speach sia stato concordato con Banca d’Italia.
Una serata sul cui significato bisognerà riflettere. Perché o tutto è frutto del caso oppure c’è qualche movimento profondo che sta attraversando la politica europea e di cui questa visita è solo la punta dell’iceberg
Ma entriamo nel merito del suo discorso, che si caratterizza per la critica alla politica monetaria ultra-espansiva condotta da Mario Draghi, alla interpretazione politica del ruolo della Commissione nell’analisi delle finanze pubbliche dei paesi dell’area euro e alla adozione di politiche basate sull’Europa dei sogni e non sull’Europa “reale”.
Weidmann sostanzialmente rimprovera a Draghi che il tempo fatto guadagnare agli Stati più deboli, attraverso la politica dei tassi negativi e il quantitative easing, non solo è stato sprecato dai governi nazionali ma rischia di creare una sorta di macro regulatory capture. La Bce potrebbe trovarsi nella situazione di non poter rialzare più i tassi d’interesse, per le conseguenze che ciò avrebbe sugli spread degli stati spendaccioni e, quindi, sulla sopravvivenza dell’euro. Una sorta di ricatto, di trappola alla Varoufakis, l’ex-ministro delle Finanze che lo scorso anno spinse la Grecia sull’orlo del default nella convinzione (errata) che a Bruxelles e a Francoforte nessuno avrebbe avuto il coraggio di tirare il grilletto. Il problema non è contingente, ma strutturale. La combinazione di una politica monetaria comune e 19 politiche economiche separate crea un problema di “moral hazard”, dove i singoli governi scaricano sui partner i costi e i rischi di una spesa pubblica insostenibile.
Usando le parole di Weidmann, è una tragedia che può essere risolta in soli due modi. O facendo fare un balzo in avanti all’Unione monetaria, trasformandola in una unione fiscale. O imponendo ai singoli Stati il rispetto stringente delle “regole” e l’adozione di comportamenti responsabili. Ed è qui che, nel concreto, emerge la prima grossa differenza tra il pensiero del Governatore tedesco e quello del governo italiano. In assenza di un ministero unico delle Finanze, la Commissione non dovrebbe effettuare, secondo Weidmann, un esame politico dei conti pubblici dei paesi aderenti all’euro, ma limitarsi alla sfera puramente tecnica della verifica del rispetto delle regole concordate. Proprio l’esatto opposto della visione del governo italiano e di come il Presidente Jean-Claude Juncker sta interpretando il suo mandato.
Si può criticare quanto si vuole la rigidità tedesca, ma il punto sollevato da Weidmann è di importanza capitale. C’è, infatti, qualcuno che crede ancora che i patti in Europa siano rispettati? Il debito pubblico italiano sta crescendo ininterrottamente da quasi dieci anni eppure non è mai scattata la procedura per debito eccessivo. La Francia è in procedura di deficit eccessivo, ma il piano di rientro è stato ritagliato sugli obiettivi che lo stesso governo francese ha di volta in volta stabilito. Finché i mercati sono tranquilli e i tassi sono negativi, non c’è problema: qualunque livello di debito è sostenibile e qualunque spesa pubblica è finanziabile. Ma i mercati spesso vanno in crisi e i tassi negativi sono un unicum nella storia del capitalismo moderno che speriamo venga presto consegnato alla Storia.
Weidmann sostanzialmente rimprovera a Draghi che il tempo fatto guadagnare agli Stati più deboli, attraverso la politica dei tassi negativi e il quantitative easing, non solo è stato sprecato dai governi nazionali ma rischia di creare una sorta di macro regulatory capture
Lo stesso fiscal compact fu varato quando i mercati avevano perso totalmente fiducia nell’Europa ed era necessario rendere credibili l’impegno dei governi europei a perseguire piani pluriennali di rientro. Dopo che si è dimostrato che anche i vincoli costituzionali, come quello del pareggio di bilancio, possono essere facilmente elusi, i mercati crederanno ancora alle promesse dei governi se e quando le cose volgeranno al peggio?
Per quanto riguarda l’alternativa della cessione di sovranità fiscale ad un’entità sovranazionale europea, attraverso ad esempio la creazione di un super-ministro europeo delle Finanze, Weidmann ritiene che non appartenga all’orizzonte degli eventi per il futuro prevedibile. Tale alternativa richiederebbe una variazione dei trattati europei e delle Costituzioni. Anche in questo caso è difficile dargli torto. Nell’Europa “vera” e non in quella “sognata”, nell’Europa cioè dove in UK si vota per il Brexit e nella Mitteleuropa si seppellisce Schengen, qualcuno pensa veramente che sia possibile intraprendere un processo di modifica delle Costituzioni nazionali per devolvere la politica fiscale ad un organismo tecnocratico basato a Bruxelles?
Basare le politiche economiche e sociali sul presupposto di una Europa che nei fatti non esiste è estremamente pericoloso. E anche in questo caso Weidmann ha parlato come mai nessun altro banchiere centrale aveva fatto. Alla domanda se l’euro è reversibile, Weidmann ha risposto dicendo che la decisione di uscire dall’euro come quella di aderire è una decisione politica. Insomma, se qualcuno pensa che l’euro sia eterno, si sbaglia.
Non è una minaccia, ma un avvertimento. Se l’euro non è eterno e una decisione politica può portare alla sua dissoluzione, allora è necessario tener conto dell’opinione pubblica e delle diverse sensibilità culturali. Nei giorni scorsi Weidmann ha dovuto difendere la Bce dagli attacchi a cui è stata sottoposta in Germania, dando l’impressione di volersi distanziare dalla posizione del potente ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble. In queste sue parole, è invece possibile intravvedere una sostanziale sintonia di fondo tra i due.
Alla domanda se l’euro è reversibile, Weidmann ha risposto dicendo che la decisione di uscire dall’euro come quella di aderire è una decisione politica. Insomma, se qualcuno pensa che l’euro sia eterno, si sbaglia
Su un punto, tuttavia, Weidmann commette un errore, andando in contraddizione con la sua stessa logica. In assenza di una cessione di sovranità fiscale, la sua idea di assoggettare i titoli di Stato presenti nei bilanci bancari alle altre tipologie di strumenti finanziari, imponendo quindi limiti di concentrazione e fattori di assorbimento di capitale, non è perseguibile. Le banche e il sistema finanziario hanno bisogno di un’attività che sia liquida e risk-free. E lo Stato ha bisogno di un sistema bancario che, accedendo al rifinanziamento della banca centrale, sia in grado di contrastare attacchi speculativi e di annullare i meccanismi perversi delle aspettative auto-realizzantesi che potrebbero colpire il mercato dei titoli di Stato.
Il nesso tra banche e rischio sovrano è in altre parole inscindibile. D’altro canto, come ha sottolineato Fabio Panetta, se lo Stato italiano dovesse fallire (NdR in assenza di un’autorità sovranazionale in grado di assicurare trasferimenti sufficienti per tenere in piedi la macchina amministrativa e un minimo di welfare state), non c’è banca italiana che possa sopravvivere, con o senza titoli di Stato in portafoglio. E il legame stato-banche funziona ovviamente anche in senso inverso, come le recenti vicende delle quattro banche e del fondo Atlante dimostrano.
Un’ultima nota di colore sull’ipotesi che la Bce possa ricorrere dopo il quantitative easing ad una qualche forma di helicopter money per rivitalizzare la crescita e far ripartire l’inflazione. Si tratta di distribuire pacchi di banconote agli angoli delle strade o di finanziare la spesa pubblica stampando moneta. Non sorprende che molti economisti universitari di casa nostra abbiano iniziato ad innamorarsi di quella che appare come la soluzione delle soluzioni. E non sorprende che su di essa Weidmann abbia calato la mannaia. Con una battuta fulminante l’ha descritta come un sogno e come tutti i sogni sarebbe utile rimetterlo al più presto nel cassetto. Ancora una volta, per rendere il messaggio chiaro, ha fatto ricorso ad una metafora biblica, quella della manna che scende dal cielo. E ancora una volta viene da chiedersi se abbia così torto.