TaccolaLifegate verso la Borsa, nonostante i ritardi del governo

Sull’energia rinnovabile gli operatori aspettano da mesi molti decreti attuativi. Ma questo non frena i piani di quotazione di un gruppo che è profondamente cambiato: dalla radio e consulenza per le aziende è passato ad avere come priorità l’illuminazione Led e la fornitura di gas e luce ai privati

Borsa in vista per Lifegate. Non sarà un viaggio breve – l’approdo è previsto nella primavera del 2018 – ma l’ancora è stata gettata. Siamo alle fasi iniziali di un percorso che però nasce da una profonda ristrutturazione della società, iniziata dopo gli anni bui a cavallo del 2011. Quella che all’uomo della strada è nota ancora soprattutto per essere una radio, nel tempo si è trasformata, è cresciuta anno dopo anno e ora ha l’obiettivo più ambizioso da quando è stata fondata, nel 2000: uscire dalla fornitura di servizi e consulenza solo per le aziende e aggredire il grande pubblico dei consumatori.

L’occasione è ghiotta: se il Ddl concorrenza arriverà al traguardo senza ulteriori modifiche, il 2018 sarà l’anno in cui sparirà il servizio di maggior tutela per i cittadini per la fornitura di energia e gas. Si tratterà di 20 milioni di contratti da contendersi, per un valore annuo di circa 20 miliardi di euro. Una spinta esterna che si somma alla crescita dell’interesse dei cittadini verso la sostenibilità: i sondaggi dell’Osservatorio Lifegate/Eumetra Monterosa diffusi il 31 marzo dicono che l’83% degli italiani ritiene utile investire nelle energie rinnovabili e che il 26% si dichiara disponibile ad acquistare energia proveniente da fonti rinnovabili. Un aumento di attenzione a cui hanno contribuito la conferenza ambientale Cop 21 di Parigi e lo stesso Expo 2015. Se questa è una gamba del piano di espansione di Lifegate, la seconda si chiama illuminazione Led. Secondo una previsione del World Economic Forum il 2020, con alle spalle la messa al bando delle vecchie lampadine e il loro progressivo esaurimento, sarà un anno di vero boom per l’illuminazione Led. Poi il mercato si assesterà, ma chi si sarà mosso per tempo avrà un vantaggio sugli altri.

L’occasione è ghiotta: se il Ddl concorrenza arriverà al traguardo senza ulteriori modifiche, il 2018 sarà l’anno in cui sparirà il servizio di maggior tutela per i cittadini per la fornitura di energia e gas. Si tratterà di 20 milioni di contratti da contendersi, per un valore annuo di circa 20 miliardi di euro

Per arrivare a questi risultati servono capitali e la quotazione è il mezzo prescelto per raccoglierli. A seguire la società c’è KT & Partners, in qualità di advisor. La Borsa servirà anzitutto a dare un valore al brand Lifegate, perché oggi il valore di iscrizione a bilancio del marchio (soli costi di registrazione) è di poche migliaia di euro. «Sarà molto interessante capirne il valore reale di mercato, visto che in questi anni abbiamo investito tutto su questo», spiega l’amministratore delegato di Lifegate spa, Enea Roveda. In secondo luogo «servirà a finanziare la nostra espansione, anche all’estero».

Oggi il gruppo è in mano per il 48% alla famiglia Roveda: oltre a Enea c’è il padre, il fondatore e presidente Marco, che la lanciò nel 2000 con il ricavato della vendita al Gruppo Heinz di Fattoria Scaldasole (fondata a sua volta nel 1986). C’è un 37% attualmente in mano a “business angels” ma anche un 15% rappresentato da dipendenti e collaboratori. «Abbiamo deciso di far aumentare la loro quota detenuta da dipendenti e collaboratori, i quali possono entrare nel capitale attraverso un sistema premiante», spiega Roveda. Quale sarà la quota di flottante, cioè delle azioni liberamente contendibili sul mercato, non è ancora stato deciso. «Noi come famiglia staremo sempre poco sotto il 50%». Il mercato di approdo sarà l’Aim, quello che Borsa Italiana dedica alle piccole e medie imprese, sull’esempio dell’equivalente della Borsa di Londra, proprietaria della società che gestisce le negoziazioni a piazza Affari.

La società è nota al grande pubblico soprattutto per una radio che si è sempre distinta per una programmazione musicale ricercata (dal blues di Fabio Treves alle cover acustiche, passando per jazz e musica elettronica) e programmi a tema ambientale. Ma lo schema che vedeva una semplice separazione tra la divisione dei media e quella della consulenza per le aziende sul fronte ambientale è stata superata. Oggi Lifegate spa è una holding e ha al suo interno sette società, tra cui una “esco” (servizi energetici) e una società di consulenza. L’ultima nata, nel gennaio 2016, è proprio dedicata alla fornitura a privati di energia, prodotta da fonti rinnovabili.

E qui cominciano i problemi, che Roveda non nasconde. Si chiamano ritardi del governo e in particolare del ministero dello Sviluppo economico. Linkiesta ha già avuto modo di elencarli in un’inchiesta di qualche giorno fa. Uno di questi riguarda il decreto attuativo sul “biometano”, ossia sulla trasformazione del biogas (prodotto da scarti animali e vegetali) in gas metano da inserire nelle condutture. Tra passaggi ministeriali e uno stop dalla Commissione europea, tutto è fermo da oltre un anno e mezzo. «Abbiamo iniziato il percorso per la fornitura di energia ai privati due anni fa ed è stato un grande lavoro. Sul biogas siamo fermi in attesa del decreto attuativo. Ma noi partiremo lo stesso, con l’offerta di energia elettrica rinnovabile e gas ad impatto Zero», dice Roveda.

«Abbiamo iniziato il percorso per la fornitura di energia ai privati due anni fa ed è stato un grande lavoro. Sul biogas siamo fermi in attesa del decreto attuativo. Ma noi partiremo lo stesso, con l’offerta di energia elettrica rinnovabile e gas ad impatto Zero»


Enea Roveda, ad Lifegate spa

L’amministratore delegato di Lifegate non nasconde la sua amarezza verso le politiche del governo. «In Italia oggi non c’è una strategia nazionale sull’energia che abbia un senso». Non si tratta, aggiunge, «di rinunciare di punto in bianco alle fonti di energia fossile. Ma di fare investimenti sulle energie rinnovabili, per rispettare gli accordi della Cop 21 e perché se non andiamo verso una politica ambientale sostenibile finiamo tutti con le gambe all’aria». Invece, accusa Roveda, «sembra che gli investimenti vadano dove decidono alcune aziende», riferendosi ai colossi degli idrocarburi, a partire da Eni ed Enel. «Sono le stesse società che stanno portando il governo a mandare centinaia di soldati in Libia, dove già ci sono truppe a difendere le basi petrolifere e piattaforme offshore. Perché questi interventi li devono pagare tutti gli italiani e non invece le società petrolifere, a cui i soldi di certo non mancano?». Sulle promesse di accelerare sul fronte delle energie rinnovabili, rinnovate dal premier Renzi a New York alla vigilia della firma dell’accordo sul clima, Roveda non si sbilancia: «Finché c’è vita c’è speranza».

C’è spazio anche per una critica e autocritica al comitato referendario anti-trivelle, di cui è stata chiamata a fare parte anche Lifegate: «Il comitato ha sbagliato il messaggio. [Invece che insistere sui rischi ambientali, ndr] bastava dire che non può esistere, in nessun settore, un contratto senza scadenza, come quello che si offre alle società di estrazione di gas e petrolio».

Con le associazioni ambientaliste, aggiunge, i rapporti sono andati migliorando molto con il passare degli anni. «All’inizio erano diffidenti, perché ci siamo sempre dichiarati una società profit con finalità ambientaliste. Poi hanno capito che quella è una strada percorribile e che noi non abbiamo scheletri nell’armadio: non abbiamo mai avuto multe dall’Authority (dell’Energia e gas, ndr) e ci siamo sempre dimostrati una società pulita». Sono in atto progetti comuni con Legambiente e Slowfood e c’è un buon rapporto anche con Ong come Greenpeace.

«In Italia oggi non c’è una strategia nazionale sull’energia che abbia un senso. Sembra che gli investimenti vadano dove decidono alcune aziende. Sono le stesse società che stanno portando il governo a mandare centinaia di soldati in Libia»


Enea Roveda

Nel nuovo corso di Lifegate c’è stato anche chi ha perso: la radio. La scelta strategia, spiega Roveda, è stata quella di concentrare le risorse per i media sul digitale. Sono state quindi vendute le frequenze radiofoniche fuori dall’area Nielsen 1 (Lombardia, Piemonte, Val d’Aosta, Liguria) e ridimensionati gli organici e il numero di programmi. Una perdita anche per le migliaia di ascoltatori ma che Roveda difende: «Oggi l’aver spostato sul digitale la comunicazione ci permette di avere molti più contatti: abbiamo 350mila ascoltatori medi alla settimana per la radio, un milione di utenti mensili del sito, 450mila contatti sui social network. In totale la nostra è una community da cinque milioni di persone». Tutti, potenzialmente, futuri clienti.