«Il centrodestra per come lo abbiamo conosciuto è finito, e non da oggi». Marcello Veneziani, saggista, giornalista, studioso della destra italiana, non sembra sorpreso dalle ultime vicende romane. Il passo indietro del candidato sindaco Guido Bertolaso, il sostegno di Forza Italia ad Alfio Marchini e la definitiva rottura del Cavaliere con l’asse Salvini-Meloni. «Da qualche tempo – continua – Silvio Berlusconi non ha un progetto politico. Ormai segue solo le sue premure aziendali e gli interessi del gruppo che ha intorno».
Nel 1993, alle amministrative di Roma, nasceva il centrodestra italiano. Oggi, nella stessa partita, quella pagina si chiude per sempre?
Quel centrodestra è definitivamente tramontato. Nato con Silvio Berlusconi, non esiste più. Si tratta solo di prenderne atto. Da anni Berlusconi persegue una linea che non ha nulla di politico. Segue solo un percorso personale, le premure delle sue aziende e del gruppo che ha intorno. Ma sono anche finiti tutti i protagonisti di quel centrodestra, da Fini a Bossi. Ripeto, si tratta di prenderne atto. La vicenda romana ha solo ratificato questa evidenza.
Guido Bertolaso costretto a un passo indietro. Paga le ultime gaffe o dietro questa decisione c’è un preciso disegno?
Il suo passo indietro era nell’aria da alcuni giorni. Si cercava solo il momento giusto per renderlo pubblico. Berlusconi si è reso conto che il suo candidato era troppo giù nei sondaggi ed era scivolato in troppe dichiarazioni temerarie. Ma già una recente intervista di Alfio Marchini, un vero e proprio peana al Cavaliere, aveva anticipato l’esito della vicenda.
Marchini parte da un 10 per cento di consenso personale. Quella è l’unica certezza. Sul sostegno degli elettori di Forza Italia sarei molto cauto. Almeno metà di quei voti potrebbe convergere su Giorgia Meloni
Adesso Marchini può vincere le elezioni e diventare sindaco di Roma?
In partenza è molto difficile. Per quanto possa risalire nei sondaggi, vedo complicato un suo arrivo al ballottaggio. Certo, Marchini parte da un 10 per cento di consenso personale. Quella è l’unica certezza. Sul sostegno degli elettori di Forza Italia sarei molto cauto. Almeno metà di quei voti potrebbe convergere su Giorgia Meloni. Non è una sorpresa: da una prospettiva nazionale la candidatura di Alfio Marchini è molto più vicina al renzismo che all’elettorato di centrodestra.Ha ragione Giorgia Meloni quando lascia intendere che la giravolta di Forza Italia anticipa un’intesa tra Berlusconi e Renzi?
È un po’ la prova generale. Ma non credo che Berlusconi abbia un progetto politico. Sta dismettendo le sue aziende, Forza Italia con queste. Il Milan va ai cinesi e Roma a Marchini. Parlano di un fronte moderato. Ma anche queste parole paludate – moderati – non dicono nulla.La Meloni può arrivare al ballottaggio: ha un suo seguito popolare, una certa efficacia mediatica, richiama quella destra che a Roma è sempre stata radicata.
E Giorgia Meloni?
Tra i candidati del centrodestra di un tempo è quella che ha più possibilità di arrivare al ballottaggio. Ha un suo seguito popolare, una certa efficacia mediatica, richiama quella destra che a Roma è sempre stata radicata. La candidatura di Giorgia Meloni almeno rispecchia una proposta politica: segna la fine della leadership di Berlusconi e la nascita di un nuovo soggetto, insieme a Matteo Salvini, vicino alle destre populiste europee e più distante da quella palude centrista che in Italia è rappresentata da Angelino Alfano. La difficoltà, secondo me, sarà tradurre questo progetto politico in una proposta amministrativa.Secondo lei le ultime novità agevolano o complicano la partita della grillina Raggi, finora in testa a tutti i sondaggi?
Lo scenario è così mobile che non mi sentirei di scommettere. La candidata Cinque Stelle parte da una doppia condizione di forza. Primo, i sondaggi la danno in testa. Secondo, se dovesse arrivare al ballottaggio contro un esponente di centrodestra o centrosinistra potrebbe polarizzare su di lei il voto dell’elettorato senza rappresentanza. Ma se al ballottaggio arriva Alfio Marchini, la sorpresa può essere lui. Insomma, la partita è ancora apertissima. Anni dopo, in contesti molto diversi, Roma si conferma città aperta.