Sostiene VoltolinaQuando lo stato licenzia per una scartoffia: ieri il professore, oggi l’ostetrica

Quando lo Stato licenzia qualcuno, di solito lo fa per un'inezia. Incapace il più delle volte di liberarsi di assenteisti e lavativi, diventa integerrimo quasi a casaccio

«Si comunica che alla signoria vostra medesima è stata irrogata la sanzione del licenziamento senza preavviso». A un dipendente pubblico? Ma quando mai. Quelli sono inamovibili, impossibile licenziarli.

In linea generale non si può negare che sia così. Eppure di lettere così ne arrivano anche agli “statali”, e paradossalmente quando lo Stato licenzia qualcuno di solito lo fa per un’inezia. Incapace il più delle volte di liberarsi di assenteisti, lavativi, timbrilcartellininpigiamisti, diventa invece inspiegabilmente integerrimo a casaccio – andando a colpire persone normali, che fanno il loro mestiere dignitosamente, e che magari han commesso qualche errore, qualche leggerezza, dimenticato di firmare un foglio, di richiedere un timbro.

«Io a volte la Pubblica Amministrazione non la capisco. E non capisco questo Paese e il dibattito perennemente oscillante tra “dipendenti fannulloni” e ingiustizie palesi che si consumano senza che nessuno ne parli».


Paola Natalicchio

Un caso nei mesi scorsi ha fatto scalpore: quel professore di filosofia licenziato dalla scuola superiore dove insegnava a Bergamo perché aveva omesso di dichiarare che, sorpreso anni prima a fare pipì dietro un cespuglio, per quell’episodio aveva ricevuto una condanna. Impermeabile alla ragionevolezza, malgrado il fatto non avesse nulla a che fare con il percorso professionale del docente e malgrado inoltre quel docente fosse preparato e scrupoloso e benvoluto da colleghi e allievi, qualche burocrate aveva sancito che avendo dichiarato il falso in atto pubblico, il prof meritasse senz’altro il licenziamento.

Molte manifestazioni di studenti, articoli di giornali e mesi dopo, il Tribunale del lavoro lo scorso gennaio ha messo fine alla vicenda reintegrando il docente in ruolo.

Ora una sorte simile sembra toccare a un’ostetrica romana, Chiara Pizzi. Colpevole di aver seguito al di fuori dell’orario di servizio tre parti in casa (permessi ovviamente dalla legge). Nei primi due casi in maniera gratuita; nel terzo caso invece rendicontando con regolare ritenuta d’acconto. Attenzione: non in nero, perché lei non pensava di fare nulla di male. Ma tecnicamente non avrebbe potuto effettuare quelle prestazioni professionali, se non richiedendo una specifica autorizzazione.

Il punto è che l’ostetrica in questione è adorata dagli utenti, passati e presenti, del consultorio in cui fino a pochi giorni fa prestava servizio. Tra cui spicca un nome noto: quello di Paola Natalicchio, giornalista, scrittrice, oggi sindaco di Molfetta, che a Chiara deve – letteralmente – la vita di suo figlio. Fu lei infatti proprio durante una visita in consultorio ad accorgersi, quando il piccolo aveva pochi mesi e inspiegabilmente non prendeva peso, che c’era qualcosa di grave, e a suggerire un esame urgente. Che rivelò un tumore, e permise di salvare il bimbo.

L’associazione Pachamamma, che sta seguendo con attenzione il caso, chiede il reintegro immediato di Chiara Pizzi sul posto di lavoro.

Il sindaco Natalicchio l’altroieri si è presa qualche ora di congedo, ha inforcato un aereo e dalla Puglia è salita a Roma per essere presente alla manifestazione di fronte al consultorio. «Chiara ha subito un ingiusto licenziamento dalla sua Asl. Una storia assurda: le contestano la “colpa” di aver fatto senza autorizzazione tre parti a domicilio, due dei quali completamente gratuiti. Tutti e tre riusciti al meglio» ha spiegato sulla sua pagina Facebook: «Per questioni burocratiche, legate a una mancata autorizzazione, la Asl l’ha messa alla porta, con un telegramma, privando il Consultorio di Roma Bravetta della sua anima».

La stessa ostetrica aveva raccontato qualche settimana fa in prima persona l’accaduto: «Sono stata ufficialmente licenziata in tronco dalla ASL Roma D con la motivazione di aver svolto attività libero professionale incompatibile con il mio contratto di lavoro. Le accuse si riferiscono all’assistenza al parto domiciliare di due mie care amiche avvenute nel 2013 e nel 2014 che ho svolto gratuitamente e fuori dall’orario di servizio, e per l’assistenza ad un altro parto domiciliare avvenuta nel 2012 per il quale ho emesso regolare ritenuta d’acconto».

«Una vicenda che, pur formalmente forse ineccepibile, ha delle esagerazioni. É vero che c’è stato un problema, però è anche vero che la pena che ne è seguita pare eccessiva e sovradimensionata»


Marta Bonafoni

«Lavoratrice della pubblica amministrazione, al servizio delle mamme e dei papà di ogni fascia sociale e di ogni età, in un pezzo nascosto della periferia di Roma dove ho abitato dieci anni e dove quel consultorio è un presidio di buona sanità pubblica per l’intero quartiere» così Paola Natalicchio descrive Chiara Pizzi e la sua professionalità: «Un’ostetrica di 39 anni, che ha salvato una vita, certamente, quella di mio figlio, ha aiutato tanti bambini a venire al mondo, tante mamme a fare corretta prevenzione, ad allattare correttamente al seno, a vivere nel benessere psicologico la fase pre e post gravidanza viene espulsa dalla Pubblica Amministrazione. Non richiamata, non sospesa, non sanzionata o multata. Licenziata in tronco “per non aver rispettato il contratto”. Questa ingiustizia assoluta sarà certamente chiarita in un’aula di Tribunale».

La Natalicchio sottolinea anche come non sia «stata violata alcuna norma» e come la stessa ostetrica avesse « lei stessa istruito le pratiche di quei parti in Asl, questo a testimoniare l’assoluta buona fede del tutto. Avrebbe dovuto chiedere un permesso all’azienda, dicono. Va bene. Va bene che le abbiano fatto un “disciplinare”. Ma senza nemmeno il tempo di chiarire le cose Chiara è stata messa alla porta».

«Io a volte la Pubblica Amministrazione non la capisco» si rammarica la Natalicchio: «E non capisco questo Paese e il dibattito perennemente oscillante tra “dipendenti fannulloni” e ingiustizie palesi che si consumano senza che nessuno ne parli». In bocca a lei, che è sindaco di una città, la riflessione acquista un senso ancor maggiore.

«Una vicenda che, pur formalmente forse ineccepibile, ha delle esagerazioni» è la considerazione di Marta Bonafoni, consigliera regionale in Lazio in quota Sinistra ecologia e libertà, anche lei presente alla manifestazione a sostegno dell’ostetrica licenziata: «É vero che c’è stato un problema, però è anche vero che la pena che ne è seguita pare eccessiva e sovradimensionata».

Dopo la manistazione una delegazione composta dalla Natalicchio, in rappresentanza degli utenti del consultorio e dell’associazione Pachamamma che sta seguendo con attenzione il caso e che da subito ha fatto partire una campagna per il reintegro immediato dell’ostetrica licenziata, dai due consiglieri regionali – oltre alla Bonafoni era presente anche Fabio Bellini del PD – e dall’assessora municipale alla scuola del municipio 12 è stata ricevuta dal personale del consultorio di via della Consolata e si è interfacciata con una funzionaria regionale delegata a seguire la vicenda. «La Asl se vuole può ritirare il licenziamento» chiarisce Paola Natalicchio: «Dunque abbiamo chiesto di valutare la strada dell’annullamento in aututela del provvedimento, o una qualsiasi soluzione amministrativa che possa portare all’immediato ritorno di Chiara. La funzionaria ha evidenziato che di fatto il procedimento è stato seguito dall’ufficio disciplinare della Asl, e ha promesso che si sarebbe fatta portavoce delle nostre istanze».

La prossima mossa sarà quella di richiedere un incontro con la direzione generale dell’Asl Roma 3. Nel frattempo, i due consiglieri regionali attiveranno ogni canale diplomatico col dipartimento Salute della Regione Lazio: «Un minimo di speranza c’è». Perché, se l’ostetrica ha già impugnato il provvedimento di licenziamento attraverso un avvocato, «la strada del tribunale rimane aperta ma la speranza di tutti è che non sia un giudice ma la ragionevolezza della pubblica amministrazione a mettere la parola fine a questa situazione pazzesca» auspica la Natalicchio.

Le analogie tra questa vicenda e quella del professore di filosofia di Bergamo sono molto forti. In entrambi i casi c’è un dipendente pubblico che formalmente ha, in effetti, sbagliato: non si è attenuto alla procedura, e non ha fornito una informazione che era obbligatorio fornisse. Ma in entrambi i casi la sanzione appare – e in un caso è stata anche giudicata da un Tribunale – completamente sproporzionata rispetto all’infrazione commessa, con ripercussioni non solo sul singolo lavoratore, privato del posto e dello stipendio, ma anche dei suoi utenti: da una parte gli studenti, dall’altra i pazienti del consultorio.

Così è questo il rovescio della medaglia; a fronte dei tanti statali inamovibili (basti ricordare, un esempio per tutti, il professore assenteista seriale più volte raccontato da Pietro Ichino sul Corriere della Sera negli anni passati) vi sono situazioni in cui il sistema impazzisce, e licenzia anche per delle inezie. Quanti altri casi come questi accadono ogni anno? Possibile che non si riesca a trovare un punto di equilibrio e di buon senso?

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