Quesiti linguisticiSalviamoci dal “salvo”: l’Accademia della Crusca spiega come

Quando ha valore di “eccetto che” e quando quello di “fermo restando che“? E ancora: quando può essere declinato e quando no?

A differenza di quello che di solito si dice, non tutte le leggi sono scritte male. Ce n’è qualcuna che potrebbe essere presa a modello per la linearità della costruzione del periodo, la sinteticità delle frasi, la chiarezza del lessico, nonostante il ricorso, quando è necessario, alle parole tecniche. La Costituzione soprattutto, nella versione uscita dai torchi dell’Assemblea costituente nel 1947; e anche il Codice civile del 1942: forse non sarà proprio come quello francese del 1804 che serviva a Stendhal come lettura preparatoria per prendere il ritmo giusto nella stesura della pagina della Certosa di Parma, ma è un bell’esempio di lingua legislativa precisa e sintetica, e che per di più fa un uso appropriato delle risorse che il lessico offre; comprese quelle parole che sono aggettivi, ma all’occorrenza possono essere anche preposizioni o congiunzioni; e che hanno vita propria anche al di fuori dei confini della lingua giuridica.

Salvo, appunto. Il quale quando è inteso come aggettivo si declina, quando come preposizione no. Il primo caso: «I beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali» (art. 830 c. I). Il secondo: «Salvo diverse norme di legge, la locazione non può stipularsi per un tempo eccedente i trenta anni. Se stipulata per un periodo più lungo o in perpetuo, è ridotta al termine suddetto» (art. 1573 c. I). Cambia il significato complessivo dell’inciso?

Per i beni degli enti pubblici non territoriali c’è una regola generale, la loro sottoposizione alle norme del Codice civile, e ci possono essere delle specifiche eccezioni stabilite da altre leggi, le quali vengono fatte salve, cioè ‘non derogate’ dal disposto dell’art. 830; il legislatore introduce una costruzione simile all’ablativo assoluto latino, secondo una tradizione antichissima, tipica della tecnica legislativa fin dai suoi esordi, come molti provvedimenti normativi trecenteschi (e anche più antichi) potrebbero confermare; per tutti uno statuto bilingue fiorentino del 1356: «salve quelle provisioni, petitioni o proposte le quali già etc.» = «Salvis illis provisionibus, petitionibus seu propositis que dudum (…)».

A proposito della locazione, la regola generale che la sua durata non possa superare trent’anni trova eccezione in specifiche norme di legge: salvo prep. ha il valore di ‘fuorché, tranne, eccetto’.

Tanto nell’uno che nell’altro caso salvo – sia come preposizione, sia come aggettivo nella costruzione simile all’ablativo assoluto – serve a mettere un confine, a tenere fuori certe situazioni o certe norme dalla portata di una (altra) norma, sia che voglia dire in senso figurato ‘sottratto ad ogni pericolo’, cioè ‘tutelato, rispettato’, e dunque ‘non derogato’, sia che voglia dire ‘fuorché, tranne, eccetto’. Il valore complessivo dell’inciso rimane dunque lo stesso (anche se con il salvo prep. si fa un rinvio più generico; con il salvo agg. invece è come se il legislatore mostrasse di avere ben presenti tutte «le disposizioni delle leggi speciali», quasi mettendole in fila una dietro all’altra nella sua mente onnisciente).

Immaginiamo – per introdurre un altro esempio, ancora giuridico – di essere titolari di un credito non ancora scaduto e di volerlo immediatamente tradurre in moneta sonante e ballante. Non possiamo rivolgerci al nostro debitore perché quest’ultimo avrebbe buon gioco a respingere la nostra richiesta di pagamento eccependo che non sia scaduto ancora il termine. Possiamo però cedere il nostro credito a una banca: naturalmente non ci verrà corrisposto l’intero ammontare del credito, ma una somma minore perché la banca vorrà pure riprendere almeno le spese dell’operazione. E naturalmente la banca acconsentirà allo scambio a condizione che alla scadenza il credito le sia regolarmente e integralmente pagato dal debitore, cioè a condizione che il credito vada a “buon fine”; se ciò non dovesse avvenire, dovremmo restituirle la somma che ci ha anticipato. Il Codice civile descrive questo complesso di operazioni in modo più sintetico, definendo il contratto di sconto all’articolo 1858: «Lo sconto è il contratto col quale la banca, previa deduzione dell’interesse, anticipa al cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, del credito stesso».

Ecco ancora un salvo ma che, questa volta, non significa né ‘fuorché, tranne, eccetto’, né tantomeno ‘non derogato’; non serve a mettere un paletto o un confine, ma introduce un avvenimento al quale è subordinata l’efficacia della disposizione; fissa cioè una condizione che incide sulla produzione degli effetti. Nella pagina di un dizionario a salvo in questo caso dovrebbe corrispondere il significato di ‘a condizione di’. Non è un uso isolato; lo si incontra anche nella Costituzione, all’art. 42 III c.: «La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvoindennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale»; cioè: il proprietario può sì vedersi spogliato del suo bene in presenza d’un interesse pubblico, ma ‘a condizione’ che gli venga riconosciuta e corrisposta una somma commisurata al valore della cosa. E anche al comune cittadino, che per sua fortuna non abbia come lettura abituale il Codice civile (o la Costituzione), sarà pure capitato di imbattersi e magari anche di sottoscrivere offerte di vendita nelle quali campeggiasse – per modo di dire, visti i caratteri microscopici nelle quali di solito sono scritte – la clausola salvo approvazione della casa, o salvo approvazione della finanziaria: appunto, la vendita si conclude non con la semplice adesione del cittadino all’offerta, ma solo se interverrà (‘a condizione che intervenga’, anche se qui non siamo in presenza di una condizione in senso tecnico, ma si tratta di concludere il processo di formazione dell’accordo che costituisce il contratto) l’approvazione del fornitore o del finanziatore.

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