La figura dello scrittore nell’iconografia comune – scontroso, cupo e solitario – mal si concilia con la spettacolarizzazione della propria vita tipico di Instagram, nonostante i tavolini cosparsi di carte dove magari passeggia un gatto – con perché no sullo sfondo l’opera omnia di Arbasino – vadano a braccetto con moltissimi filtri digitali. Al tempo stesso, insospettabili e variegate sono le connessioni fra il social network nato nel 2010 e l’arte libresca.
Muovo a sostegno di questa tesi una prova. Ho fatto un esperimento che potete provare anche voi facilissimamente a casa: ho preso La società dello spettacolo, di Guy Debord, e ho sostituito la parola spettacolo con la parola Instagram. E il libro non perde in efficacia. Anzi dice cose bellissime, come per esempio
“Instagram si presenta nello stesso tempo come la società stessa, come una parte della società, e come strumento di unificazione. In quanto parte della società esso è espressamente il settore che concentra ogni sguardo e ogni coscienza.”
“Instagram non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini”
“Il carattere fondamentalmente tautologico di Instagram deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono al tempo spesso il suo scopo. Esso è il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna. Esso copre l’intera superficie del mondo e si bagna indefinitivamente della propria gloria”
E siamo solo a pagina tre.
Qualcuno fra i più spericolati ha suggerito anche l’esercizio letterario di rileggere e riscrivere i classici della letteratura includendo i vari strumenti di interazione mediata da uno schermo. Che ne sarebbe stato, con Tinder, di Emma Bovary? E se Charles le avesse sgamato i messaggi sul cellulare a cento pagine della fine? Chi può negare che Lolita, per esempio, con snapchat, ne avrebbe guadagnato in scorrevolezza della trama? Che ne sarebbe stato di Swann, paparazzato su Dagospia? Ma è un esercizio sterile, e qua a Finzioni gli esercizi sterili sono guardati dall’alto al basso.
Instagram dunque può essere metodo di osservazione dell’umanità, non solo ricercando il termine #breakfast all’ora in cui i giapponesi fanno colazione, ma anche studiando la vita di qualche autore contemporaneo. Gli scrittori su Instagram ci sono, se pur pochini. Ma lottano insieme a noi. Eccone un parziale censimento.
Bret Easton Ellis
La vita di Bret abbraccia un’estetica figlia dell’edonismo reganiano, di un certo stile di vita americano a noi giunto, in forma di ombre fuori dalla caverna, attraverso Baywatch, Beverly Hills 90210, Orange County e Thomas Pynchon.
La crisi dei mutui subprime ha avuto apparentemente una risonanza marginalissima sul lifestyle del cantore dei biglietti da visita. Bret ama la bella vita, Los Angeles, l’arte, rilassarsi con Dawson di Dawson’s Creek.
Oppure consumare pasti in ristoranti di cucina messicana-vegana accompagnato a popolarissimi attori porno, indossare un abito da sera alla festa dei Golden Globes, alla cena di Art Basel, bere molto Martini, confermare quel famoso mot secondo il quale i mercanti d’arte altro non sono che venditori d’auto usate che si danno delle arie. Bret, infatti, è anche artista, va in mostra in questi giorni a Beverly Hills, alla Gagosian Gallery, con un’esibizione il cui invito recita:
Dal suo profilo Instagram, dunque, si direbbe che Ellis abbia perso un filo della spontaneità di Meno di zero. Tuttavia, a volte, è come me e come te. Legge Il Cardellino, Knausgard,Purity e Ben Lerner, fuma White Widow guardando il Superbowl e se spende 22 sterline per un Oaxley Martini, poi se ne dispiace.
Bonus: Ellis si aggiudica manu militari, senza discussione, il premio Osvaldo Soriano.