E’ possibile sfottere bellamente la retorica della promozione alla lettura, quella del teatro-performance contemporeneo, un già-classico della letteratura di oggi, e il pubblico in sala? Sì è possibile. Ed è possibile tra gli sfottò seminare un mondo di curiosità ed amore per quel classico? A quanto pare sì, anche questo è possibile.
Se volete scoprire come, dovete fare un salto al teatro Litta, a Milano (ma solo fino a stasera). Vi faranno sedere in una sala dal pavimento di legno e per un’oretta e mezza sarete spettatori (e in un certo senso co-protagonisti) di The Bolaño project, Progetto teatrale su 2666, appunto di Roberto Bolaño. L’intoccabile, magistrale Dante Alighieri dei nostri tempi. Qualche tempo fa uscì un articolo sul Guardian dell’americano Robert Fall che parlava proprio della difficoltà di rappresentare 2666: “E l’ultima cosa che penseresti di rappresentare a teatro: a parte la lunghezza, Bolano è tematico e discorsivo, e non presenta in una forma narrativa”. (Fall l’ha poi fatto, e il progetto è durato 10 anni).
La scena si apre con una donna che ritrae dal vivo un uomo nudo, solo che sulla tela c’è rappresentato un maiale. La correlazione tra i due, che sono gli unici attori della pièce, si capisce solo da una certa prospettiva (quella della foto). La correlazione, generica, tra uomo e animale percorre l’intera rappresentazione. La correlazione tra l’attore “maiale” e l’attrice “pittrice”, che sono marito e moglie nella vita è una metafora della vita di coppia. Non c’è palcoscenico, come avvennavamo, lo spazio è una galleria dove ci sono diversi dipinti che raffigurano animali (lupo, stella marina, aragosta, delfino). Una voce impostata legge le parti più barocche di “La parte di Amalfitano”.
La scena si apre con una donna che ritrae dal vivo un uomo nudo, solo che sulla tela c’è rappresentato un maiale
Laia Fabre e Thomas Kasebacher, marito e moglie, l’uno austriaco e l’altra spagnola, sono i due attori che si sono presi la responsabilità di dare forma scenica a quello che non è nemmeno un romanzo: per complessità e incompiutezza, è più simile alla vita che a una storia strutturata alla Franzen (per citare solo un mago del tout se tient). (E questa incompiutezza è mimesi perfetta con la vita, va detto, Bolaño – Franzen 1-0).
Il progetto è allo stadio iniziale, recitano i due attori, dura 5 anni, come le sezioni del libro, e ne ripercorre tutti i capitoli. Sono coinvolti 5 diversi artisti. Quello che rappresentano in questi giorni a Milano è un’ introduzione, fatta di suggestioni. I capitoli vengono spiegati. L’attore inizialmente si scusa, ha il gesso perché – racconta- l’hanno pestato con i cocci di una “coronita” rotta in un ristorante messicano di via Savona, e quindi non potrà fare tutte le mosse che fa di solito. Finge? Fa sul serio? No spoiler.
E’ tutto in vendita. Ci chiedono di identificarci con un animale che vediamo rappresentato sulle tele che fanno da scenografia – poi proveranno a vendercelo alla fine dello spettacolo, 800 euro – e ci raccontano i passaggi del libro. La scena madre del primo capitolo è quella del taxi: gli accademici protagonisti sono in taxi e parlano di sesso, a Londra. Il tassista chiede loro di smetterla per ragioni religiose. Loro – accademici rispettabili, insospettabili – non la smettono. Gli accademici riducono il tassista in fin di vita: “tirano fuori la parte animale”, ci dicono i due attori, che per spiegarci una threesome “animale” effettuano delle posizioni di yoga (il cobra, “il maiale”, il cane). Poi vanno avanti con i capitoli, e per spiegarci il deserto ci fanno sentire tre odori (spoiler alert): quello del deserto, quello del carbone e quello dell’animale, di una stalla – saranno presto in vendita anche questi (“poco, 50 euro”).
A un certo punto ci chiedono di strappare una pagina del quarto capitolo, il capitolo dedicato alla violenza (“Dalla parte dei delitti”). Una spettatrice rossa di capelli lo fa con molta forza, vuole attirare l’attenzione: sta sicuramente flirtando con l’attore uomo. Non provano a venderci il libro (Abbiamo strappato un Adelphi!!!). Ci mostrano un giardino di cactus per spiegarci “Santa Teresa”, la città in cui si svolge “La parte di Amalfitano”. Provano ad appendere un libro a una corda proprio come fa Amalfitano, uno degli accademici protagonisti: non ce la fanno.Ci fanno sentire in colpa perché abbiamo strappato le pagine del libro: ci riescono. Dicono che il pubblico tedesco all’idea di strappare un libro reagisce con terrore e rifiuto
Ci ritroviamo a mangiare nachos (patatine) e a bere mezcal (vodka) e ci dicono che si sono dimenticati di spiegarci il terzo capitolo. Parlano come una coppia. Ci fanno sentire in colpa perché abbiamo strappato le pagine del libro: ci riescono. Dicono che il pubblico tedesco all’idea di strappare un libro reagisce con terrore e rifiuto. L’attrice-moglie-gelosa si rivolge alla spettatrice rossa dicendole: “E’ come se avessi commesso un crimine, uno dei crimini del capitolo “La parte dei delitti”. L’attore-marito-innamorato-della-moglie se ne frega abbastanza e continua a spiegare il libro. Per qualche verso siamo al teatro borghese.
E per altri siamo a Woody Allen. “Mi hai detto che sono un maiale, e pensavi che non capissi perché l’hai detto in spagnolo”, dice lui. “I maiali sono intelligenti, sono geneticamente simili all’uomo”, si difende lei. Ah. Poi solo alla fine – quasi come se non avesse tutta tutta questa importanza – ci spiegano qual è la queste (la trama di fondo) del libro: trovare Arcimboldi, l’autore tedesco studiato dagli accademici. Ma è incompiuto. Siamo in 2666. Ci salutano con una canzone voce e chitarra. E sì, provano a venderci delle birre.